2023-12-13
Vogliono educare al rispetto. Però dei loro comandamenti
Carlo Rovelli (Getty images)
Il circolino che ha espulso Carlo Rovelli per le uscite dissonanti sulla guerra l’ha riammesso dopo un «esilio» mediatico. Perché chi predica il dialogo, poi non lo ammette. E così Matteo Bassetti può dire che sul Covid è «tutto dimenticato».non ci vengono richiesti dialogo, elaborazione e rispetto, ma silenzio e rimozione. State zitti, dimenticate, cancellate. Questo è l’ordine, nemmeno troppo mascherato, impartito dal pensiero prevalente. Il quale impone costantemente di rientrare nei confini del consentito, entro i quali tutto è concesso e fuori dai quali è solo disprezzo e ferocia. È emblematica, a tale proposito, la vicenda del fisico Carlo Rovelli. Mesi fa, per aver osato prendere posizione sulla guerra in Ucraina (una posizione non conforme al discorso dominante, ovviamente) è stato trattato come un paria, svillaneggiato persino dopo l’intervento al concertone del primo maggio, privato di un incarico onorifico che gli era stato concesso dall’associazione degli editori in virtù del suo indubbio prestigio, e gli è stato revocato a causa delle sue idee «difformi». A un certo punto, fors’anche perché comprensibilmente aveva altro di cui occuparsi, Rovelli ha smesso di intervenire con frequenza e determinazione sul tema bellico, si è dedicato ai fatti suoi, e ha pubblicato nuovi libri. Ebbene ieri, come se nulla fosse accaduto, il Corriere della Sera pubblicava una sua intervista addirittura leggera, intitolata «Vi svelo il grande amore della mia vita». Il paria è tornato presentabile, ha solo dovuto evitare l’esposizione su argomenti fastidiosi. In parte è capitato così anche a Giorgio Agamben. Dopo una serie di preziosi e lucidissimi interventi sul regime sanitario, è stato indicato come un vecchio rincoglionito, lui che era considerato forse il più influente filosofo italiano in vita. Di nuovo, esaurito il tempo dell’esposizione battagliera e trascorso il giusto periodo di silenzio sullo sgradevole argomento covidesco, ecco che sui grandi giornali i fini intellettuali hanno potuto riprendere a parlare dei libri di Agamben con la dovuta ammirazione. Quanto era accaduto nella strana bolla spazio temporale della pandemia è stato, con estrema serenità, inciso e rimosso. Facciamo sempre così. Ci riempiamo la bocca con parole dolci quali ascolto, confronto, riflessione… Ma quel che ci è davvero richiesto è di dimenticare, e passare oltre, a prescindere dalle ferite riportate. L’esempio da seguire è, più o meno, quello di Matteo Bassetti. Il noto televirologo, qualche giorno fa, ha pubblicato un singolare post su X. «Stasera con amici ho avuto una discussione sui vaccini e sulla loro importanza», ha scritto Bassetti, «ho capito però che la contrapposizione, a volte ideologica, che travalica scienza e buon senso, non porta da nessuna parte. Ognuno è libero di fare quello che vuole e di vaccinarsi o non vaccinarsi o, ancora, di pensare quello che vuole», ha concluso il medico. «Io rimango dalla parte della scienza, ma rispetterò chi la pensa diversamente. Non mi sentirete più parlare di no vax». Le considerazioni che si possono fare su queste frasi sono molteplici, e toglieremo dal campo quelle che prevedono la cattiva fede (vogliamo dare per scontato, cioè, che quella di Bassetti non sia una maldestra e grottesca captatio benevolentiae). Agghiaccia, prima di tutto, che ci sia voluto così tanto tempo al virologo star per accorgersi dell’esistenza di opinioni diverse dalla sua, e soprattutto di sensibilità differenti. È come se solo parlando con i suoi amici Bassetti si fosse davvero reso conto che alle altre persone bisogna riconoscere, a prescindere, rispetto e dignità. A ben vedere, questo è un problema che ha riguardato la gran parte degli italiani: è come se per tre anni avessero sospeso la propria umanità e messo in pausa l’empatia, trattando come bestie i non vaccinati. In molti lo fanno ancora, ogni volta che il pensiero prevalente indica un nuovo nemico (il putiniano, il negazionista climatico, il filopalestinese etc etc): cancellano ogni umana pietà, interrompono il dialogo e la comprensione, e con la bava alla bocca si scagliano contro il bersaglio di turno, il quale di solito ha qualche venatura di fascismo. Su questi meccanismi sarebbe forse il caso di interrogarsi, e anche a fondo, se non altro per elaborare quanto di doloroso accaduto dal 2020 a oggi. Invece niente, parlare non si deve, non più, e chi lo fa è uno scocciatore ossessionato. Tocca seguire l’esempio di Bassetti: lui ha avuto l’illuminazione a cena, e non parlerà più di no vax, avanti con la prossima pratica, tutto è cancellato, tutto è perdonato. E il rispetto? Il dialogo? Il confronto? Che fine fanno? Li invochiamo in continuazione, almeno quando si tratta di gestire le polarità maschile/femminile. Ma su altro genere di polarità, e di divisioni, guai ad aprire bocca. O, meglio, guai a pronunciarsi in maniera diversa da quella prevista dai circoli che contano. Chi lo fa, rischia grosso. Se non ci credete, andate a rileggervi il messaggio nemmeno troppo in codice che lunedì Paolo Mieli ha inviato al Partito democratico, ovvero a quelle componenti dem che hanno provato ad alzare la testolina sull’Ucraina. È bastato che qualche esponente - per altro fuori tempo massimo, anche se con un certo coraggio - proponesse una riflessione interna a proposito della guerra per suscitare un editoriale di prima pagina del Corriere della Sera parecchio minaccioso, il cui senso era: cambiare idea non si può, la linea da seguire l’ha già data Enrico Letta e quella deve rimanere. Come vedete, siamo sempre lì: bello il confronto, ma sempre all’interno del recinto. Non sorprende: la cultura che parla di educare al rispetto in realtà vuole solo educarci al rispetto degli ordini.
«It – Welcome to Derry» (Sky)
Lo scrittore elogia il prequel dei film It, in arrivo su Sky il 27 ottobre. Ambientata nel 1962, la serie dei fratelli Muschietti esplora le origini del terrore a Derry, tra paranoia, paura collettiva e l’ombra del pagliaccio Bob Gray.
Keir Starmer ed Emmanuel Macron (Getty Images)
Ecco #DimmiLaVerità del 24 ottobre 2025. Ospite Alice Buonguerrieri. L'argomento del giorno è: " I clamorosi contenuti delle ultime audizioni".
C’è anche un pezzo d’Italia — e precisamente di Quarrata, nel cuore della Toscana — dietro la storica firma dell’accordo di pace per Gaza, siglato a Sharm el-Sheikh alla presenza del presidente statunitense Donald Trump, del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del turco Recep Tayyip Erdogan e dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. I leader mondiali, riuniti per «un’alba storica di un nuovo Medio Oriente», come l’ha definita lo stesso Trump, hanno sottoscritto l’intesa in un luogo simbolo della diplomazia internazionale: il Conference Center di Sharm, allestito interamente da Formitalia, eccellenza del Made in Italy guidata da Gianni e Lorenzo David Overi, oggi affiancati dal figlio Duccio.
L’azienda, riconosciuta da anni come uno dei marchi più prestigiosi dell’arredo italiano di alta gamma, è fornitrice ufficiale della struttura dal 2018, quando ha realizzato anche l’intero allestimento per la COP27. Oggi, gli arredi realizzati nei laboratori toscani e inviati da oltre cento container hanno fatto da cornice alla firma che ha segnato la fine di due anni di guerra e di sofferenza nella Striscia di Gaza.
«Tutto quello che si vede in quelle immagini – scrivanie, poltrone, arredi, pelle – è stato progettato e realizzato da noi», racconta Lorenzo David Overi, con l’orgoglio di chi ha portato la manifattura italiana in una delle sedi più blindate e tecnologiche del Medio Oriente. «È stato un lavoro enorme, durato oltre un anno. Abbiamo curato ogni dettaglio, dai materiali alle proporzioni delle sedute, persino pensando alle diverse stature dei leader presenti. Un lavoro sartoriale in tutto e per tutto».
Gli arredi sono partiti dalla sede di Quarrata e dai magazzini di Milano, dove il gruppo ha recentemente inaugurato un nuovo showroom di fronte a Rho Fiera. «La committenza è governativa, diretta. Aver fornito il centro che ha ospitato la COP27 e oggi anche il vertice di pace è motivo di grande orgoglio», spiega ancora Overi, «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico. Quelle scrivanie e quelle poltrone hanno visto seduti i protagonisti di un accordo che il mondo attendeva da anni».
Dietro ogni linea, ogni cucitura e ogni finitura lucidata a mano, si riconosce la firma del design italiano, capace di unire eleganza, funzionalità e rappresentanza. Non solo estetica, ma identità culturale trasformata in linguaggio universale. «Il marchio Formitalia era visibile in molte sale e ripreso dalle telecamere internazionali. È stata una vetrina straordinaria», aggiunge Overi, «e anche un riconoscimento al valore del nostro lavoro, fatto di precisione e passione».
Il Conference Center di Sharm el-Sheikh, un complesso da oltre 10.000 metri quadrati, è oggi un punto di riferimento per la diplomazia mondiale. Qui, tra le luci calde del deserto e l’azzurro del Mar Rosso, l’Italia del saper fare ha dato forma e materia a un simbolo di pace.
E se il mondo ha applaudito alla firma dell’accordo, in Toscana qualcuno ha sorriso con un orgoglio diverso, consapevole che, anche questa volta, il design italiano era seduto al tavolo della storia.
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