2020-02-03
Con proiettili di gomma e cariche, Macron mette il bavaglio al popolo francese
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Gli episodi che hanno visto coinvolti due cronisti, Jean Ségura e Taha Bouhafs, danno un'idea concreta di come gli agenti transalpini trattino i giornalisti durante le manifestazioni.Nicolas Descottes, il fotografo freelance ferito gravemente durante una protesta dei gilet gialli: «Non ho perso la vista solo perché il proiettile mi ha colpito qualche centimetro sotto l'occhio».Non solo botte e manganellate: sui professionisti dell'informazione incombe anche il rischio di incappare nelle sanzioni previste dalla legge sulle fake news, approvata dalla maggioranza macronista a fine 2018.Ivan Rioufol, editorialista di Le Figaro, scrive: «Le botte ai giornalisti sono una dimostrazione del fatto che il potere attuale è allo stremo».Lo speciale contiene quattro articoli.Essere giornalisti in Francia, nel 2020, può costare caro perché la polizia non esita a usare le maniere forti con cronisti, fotografi, videocineoperatori freelance, titolari del tesserino della stampa transalpina o meno. Uno degli episodi più recenti si è verificato il 9 gennaio 2020 quando, il giornalista indipendente del collettivo Reporters en Colère (reporter arrabbiati, ndr) Jean Ségura è stato placcato a terra dalla polizia mentre era impegnato a seguire una manifestazione contro la riforma delle pensioni. Gli agenti che hanno violentemente immobilizzato il cronista, gli hanno anche distrutto un cellulare e danneggiato una macchina fotografica. In seguito lo hanno trasferito in un commissariato di polizia, dove è stato trattenuto in stato di fermo per circa 24 ore. In una conferenza stampa improvvisata, tenuta dopo il suo rilascio, Ségura ha raccontato di essere stato immobilizzato mentre tentava di soccorrere un altro giornalista. Il freelance ha dichiarato che, mentre veniva bloccato al suolo, uno dei poliziotti gli ha chiesto «sei sempre un giornalista, stronzo?». Qualche giorno dopo, un altro freelance, Taha Bouhafs, è stato prelevato dalla polizia in un teatro parigino. La sua colpa? Aver scritto su Twitter di essere «tre file dietro al presidente della Repubblica» e di aver segnalato la presenza di oppositori alla riforma pensionistica nelle vicinanze del teatro. Secondo alcune fonti, questa figura del giornalismo indipendente è controversa. Ad esempio, il settimanale L'Obs lo presenta come un ventiduenne militante antirazzista che lavora per il sito d'informazione Là-bas si j'y suis. Tuttavia, il suo fermo è apparso fin da subito supportato da deboli motivi. Tra l'altro si è scoperto che, qualche minuto prima del cinguettio del giornalista, ce n'era stato un altro che segnalava già la presenza del capo dello Stato.Questi due episodi danno un'idea concreta di come la polizia transalpina tratti i giornalisti, in ossequio agli ordini impartiti, per la gestione delle manifestazioni, dal ministro dell'interno Christophe Castaner e, prima ancora, dal presidente Emmanuel Macron. Come riportato più volte da La Verità, con la nascita del movimento di protesta dei gilet gialli - il 17 novembre 2018 - le forze dell'ordine d'Oltralpe hanno assunto un atteggiamento estremamente repressivo nei confronti dei manifestanti, in generale, e dei giornalisti in particolare. Come è possibile constatare in un video pubblicato da La Verità il 24 novembre 2018 nei pressi degli Champs Elysées, la polizia ha caricato anche il corrispondente del quotidiano mentre stava registrando un video ( https://www.laverita.info/video-gilet-gialli-2621384209.html )Con l'avvio della contestazione al progetto di riforma delle pensioni - iniziato il 5 dicembre 2019 - il comportamento della polizia nei confronti della stampa non è cambiato. Questo nonostante, negli ultimi mesi, anche l'Ong Reporters Sans Frontières (Rsf) - impegnata nella difesa dei giornalisti in tutto il mondo - abbia lanciato vari allarmi. Dall'inizio della contestazione in giallo, «Rsf ha registrato 54 casi di giornalisti feriti e più di 120 incidenti che hanno coinvolto le forze dell'ordine», dichiarava l'associazione in una nota del 15 novembre 2019. «Che siano professionisti o no, titolari di un tesserino della stampa o meno - continuava Rsf - numerosi giornalisti testimoniano di essere stati oggetto di violenze ingiustificate da parte delle forze dell'ordine». Nella stessa nota, l'associazione proponeva al ministero dell'interno di diffondere una circolare destinata agli agenti «imponendo loro di rispettare l'esercizio dell'attività giornalistica nelle manifestazioni». La stessa circolare avrebbe dovuto anche «riaffermare la necessità di preservare la funzione informativa dei giornalisti nelle manifestazioni». Rsf ha reclamato anche delle sanzioni disciplinari «prese sistematicamente» per punire i poliziotti o i gendarmi che hanno fatto ricorso «ad atti di violenza e coercizione illegittime contro dei giornalisti». Una violenza che include anche «la confisca di materiale, gli ostacoli alla libertà di circolazione sui luoghi in cui si svolgono le manifestazioni o la copertura volontaria del numero di matricola».Nonostante queste richieste, il ministero dell'interno, governo e la presidenza non hanno risposto. Tant'è che, già dodici giorni dopo l'inizio della contestazione contro la riforma pensionistica Rsf ha dovuto suonare di nuovo un campanello d'allarme rilevando «una banalizzazione delle violenze nei confronti della professione (giornalistica)». Senza giri di parole l'associazione di difesa dei giornalisti ha scritto che «non si contano più le testimonianze di conseguenze fisiche» come «ematomi causati da manganellate, bruciature causate dall'esplosione di granate usate per rompere gli accerchiamenti». Rsf ha anche denunciato «ostacoli all'esercizio del lavoro giornalistico in seguito alla distruzione di attrezzature o a causa di fermi di polizia». Il 9 gennaio scorso, il giornalista Rémy Buisine del media online Brut, è stato fermato e portato in commissariato con l'accusa di detenere «un'arma da guerra». Tale «arma» era una maschera anti gas. Il giornalista l'aveva con se solo per proteggersi dai lacrimogeni, usati abbondantemente dalla polizia praticamente in ogni manifestazione.Libre à l'instant après 2H30 sans être libre de mes mouvements après une interpellation et direction le commissariat du 11eme pour le port d'un masque à gaz. Matériel saisi par l'OPJ.J'essaye de rejoindre le cortège au + vite pour un Live à suivre sur @brutofficiel. (📸@bi1192) pic.twitter.com/Nw4mkYLHbP— Remy Buisine (@RemyBuisine) January 9, 2020 Dopo la diffusione di video che mostravano violente reazioni di alcuni poliziotti, il 14 gennaio 2020, Emmanuel Macron ha chiesto al governo, guidato da Edouard Philippe, di presentare delle proposte per «migliorare la deontologia dei poliziotti». Poi, nelle manifestazioni, si è assistito ad un timido cambiamento di atteggiamento nei confronti dei contestatori. Il 26 gennaio 2020, il ministro Castaner ha chiesto l'interruzione "immediata" dell'uso delle granate lacrimogene modello Gli-F4. E' un primo passo verso l'eliminazione delle armi non letali, dalle dotazioni delle forze dell'ordine. In effetti, secondo un rapporto della polizia stessa citata dal Défenseur des Droits - l'authority transalpina per la difesa dei diritti dei cittadini - «la Francia è il solo Paese d'Europa a usare le munizioni esplosive» contro dei manifestanti, nelle operazioni di mantenimento dell'ordine. C'è da sperare che questa, non resti una misura isolata e che altri giornalisti non rimangano vittime delle violenze della polizia. Perché informare è un diritto e un dovere. In particolare nella patria della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo.Les forces de l'ordre matraquent les observateurs de la LDH. Puis ils me matraquent aussi, alors que je suis identifié presse. #Acte46 #GiletsJaunes #toulouse pic.twitter.com/Z5Zboevs2i— Frédéric RT France (@frederic_RTfr) September 28, 2019 <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/violenze-polizia-contro-la-stampa-2644940011.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="testimonianza-di-nicolas-descottes-fotografo-freelance-ferito-l-8-dicembre-2018" data-post-id="2644940011" data-published-at="1757688491" data-use-pagination="False"> Testimonianza di Nicolas Descottes, fotografo freelance ferito l'8 dicembre 2018 In occasione del quarto atto della protesta dei gilet gialli, svoltosi a Parigi l'8 dicembre 2018, il fotografo freelance Nicolas Descottes è stato ferito gravemente da un proiettile di gomma, sparato da un poliziotto con un fucile Lbd-Lanceur de Balles de Défense. Il colpo è arrivato sullo zigomo destro del fotografo, provocandogli un grande ematoma. «Sono stato fortunato perché il proiettile mi ha colpito qualche centimetro sotto l'occhio, per questo non ho perso la vista» racconta a La Verità Descottes. «Dopo aver seguito le manifestazioni dei gilet gialli del 23 novembre e quella del 1 dicembre 2018 - ricorda il fotografo - ho deciso di occuparmi anche di quella dell'8 dicembre, così sono andato sugli Champs Elysées». Arrivato sulla celebre avenue parigina, Descottes ha ottenuto il permesso di accedere alla zona della manifestazione dai poliziotti Crs (qualcosa di simile alla Celere italiana, ndr), pur avendo con sé un casco protettivo. In effetti, con il susseguirsi degli "atti" in giallo, gli agenti hanno sistematicamente sequestrato questo tipo di protezioni o fermato chi le portava. Questo perché la presenza di caschi fa rientrare il soggetto che lo porta nella categoria dei disturbatori potenziali. «Era la prima volta che mettevo un casco, in vita mia, per seguire una manifestazione» spiega il fotografo «quel giorno ho sentito che la tensione era più forte, rispetto ai sabati precedenti». Questo anche perché «il governo aveva dispiegato gli agenti della Bac (Brigata anti criminalità) che hanno una scarsa esperienza della gestione delle manifestazioni e, a dire il vero, sono ultra violenti». Con l'evolversi della situazione Descottes si è spostato fino ad arrivare all'incrocio tra gli Champs Elysées et l'avenue George V. «Avevo notato che i poliziotti effettuavano delle incursioni per cercare di catturare dei manifestanti considerati violenti e ho continuato a fare delle fotografie». «Nel mio penultimo scatto - ricorda ancora il fotografo - si vede un poliziotto che mi prende di mira». Poi l'impatto. Prima del ferimento, le foto di Nicolas Descottes erano state pubblicate da varie testate francesi, come ad esempio il quotidiano Libération. Ma il colpo di proiettile di gomma ricevuto in faccia, lo ha obbligato ad osservare un periodo di pausa. Uno stop che si è protratto praticamente fino alle manifestazioni contro la riforma delle pensioni delle ultime settimane. Per avere un'idea del clima di quel sabato «in giallo», è utile leggere l'edizione del 7 dicembre 2019 di Le Monde, nella quale è pubblicata un'inchiesta sulle azioni della polizia di un anno prima. La testata ricorda che dopo «il saccheggio dell'Arco di Trionfo», avvenuto il primo dicembre 2018, «le autorità hanno modificato la loro strategia nei confronti dei gilet gialli». Per il quotidiano, le forze dell'ordine hanno effettuato degli «arresti basati su motivi opachi» e praticato delle «dispersioni e tiri di Lbd». In totale, in quella sola giornata, sono stati registrati 126 feriti. D'altra parte, secondo Le Monde, il comando delle operazioni di polizia - esattamente alle 13:06 di quel sabato - ha comunicato ai poliziotti un messaggio chiaro: «non esitate a percuotere coloro che entrano in contatto con voi [...] farà riflettere quelli che verranno dopo». Una parafrasi di «colpirne uno per educarne cento?». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/violenze-polizia-contro-la-stampa-2644940011.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="il-caso-di-rt-france-e-le-leggi-contro-le-fake-news" data-post-id="2644940011" data-published-at="1757688491" data-use-pagination="False"> Il caso di RT France e le leggi contro le fake news Fare i giornalisti in Francia, nel 2020, non significa solo rischiare di prendersi delle manganellate dalla polizia o avere delle chance di finire in cella per aver documentato una manifestazione. Sui professionisti dell'informazione transalpina incombono anche altri rischi, come quello di incappare nelle sanzioni previste dalla legge sulle fake news, approvata dalla maggioranza macronista a fine 2018. In un futuro non troppo lontano, inoltre, i giornalisti potrebbero essere puniti con le sanzioni che stanno delineandosi nel dibattito parlamentare sul progetto di legge contro l'odio in rete nota come la legge Avia, dal nome della sua promotrice : la deputata di maggioranza Laetitia Avia.Il testo della legge contro le fake news autorizza i giudici a far cessare la diffusione di «allegazioni o imputazioni inesatte o capaci di indurre in errore su un fatto capace di alterare la sincerità dello scrutinio». In altre parole, se un candidato si ritiene leso da una presunta fake news, può chiedere a un magistrato di bloccarne la diffusione nei tre mesi precedenti ad un'elezione. In questo modo la verità viene stabilita con una sentenza. La stessa legge prevede per i social network e i motori di ricerca, l'obbligo di fornire le informazioni ai committenti delle pubblicità politiche a pagamento. Devono anche rendere noto il costo degli spot elettorali e i nomi dei committenti. Per finire, la legge francese contro le fake news prevede che il Consiglio Superiore dell'Audiovisivo (una sorta di Commissione di vigilanza Rai, ma con poteri estesi anche ai canali tv privati, ndr) possa sospendere la diffusione in Francia di canali «controllati da uno Stato straniero o sotto l'influenza» di una potenza estera nel caso trasmettesse in modo deliberato false informazioni. Senza dirlo, questa parte della legge mira a silenziare la versione francese di RT France (Russia Today). I giornalisti di questo canale - tutti cittadini francesi titolari del tesserino della stampa transalpino - non hanno l'accreditazione all'Eliseo e sono stati spesso respinti dai meeting elettorali macronisti, ad esempio durante la campagna delle europee 2019. E pensare che, anche in Francia, aveva fatto discutere l'espulsione in diretta dalla sala stampa della Casa Bianca decisa dal presidente Usa Donald Trump, del giornalista della Cnn Jim Acosta. Da quando è stato eletto, Emmanuel Macron non ha mai fatto mistero della sua voglia di mettere la museruola alla stampa. Come scriveva La Verità già all'inizio dell'anno scorso, Monsieur le Président rifletteva alla possibilità di piazzare nelle redazioni dei giornalisti stipendiati dallo Stato. Tutto è nato durante un incontro, tenutasi all'Eliseo, tra il capo di Stato francese e un ristretto gruppo di giornalisti selezionati. Tra essi c'era anche Etienne Gernelle, direttore del settimanale Le Point, che ha riportato le dichiarazioni del presidente, nell'edizione del 3 febbraio 2019 del giornale da lui diretto. «Il bene pubblico è l'informazione - aveva dichiarato Macron - e forse è ciò che lo Stato deve finanziare» aggiungendo poi che «bisogna assicurarsi che [l'informazione] sia neutra. Finanziare delle strutture che assicurino la neutralità. Per quanto riguarda la verifica delle informazioni, che ci sia una forma di sovvenzionamento pubblico accettata, con dei garanti che siano dei giornalisti. Questa remunerazione deve essere svincolata da qualsiasi interesse. Ma da un certo punto di vista, questo deve venire anche dalla professione». Per ora questo progetto non è stato realizzato ma, nel corso dell'ultimo anno, non sono mancate prese di posizione apertamente filo governative, da parte di varie "star" dell'informazione transalpina. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/violenze-polizia-contro-la-stampa-2644940011.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="la-violenza-poliziesca-serve-a-mettere-il-bavaglio-al-popolo" data-post-id="2644940011" data-published-at="1757688491" data-use-pagination="False"> «La violenza poliziesca serve a mettere il bavaglio al popolo» Uno degli osservatori dell'ondata di contestazioni che hanno attraversato la Francia in questi ultimi anni è Ivan Rioufol, editorialista di Le Figaro. Già in occasione del primo sabato di protesta dei gilet gialli, ha seguito i manifestanti per cercare di decifrare questo movimento. Da allora, ha seguito una quarantina di manifestazioni dei cittadini in giallo. Rioufol ha raccolto queste osservazioni in un libro appena arrivato nelle librerie francesi intitolato: Les Traîtres (edizioni Pierre Guillaume de Roux). Tradotto in italiano, il titolo significa «I traditori». In esso, il giornalista parla del «popolo arrabbiato che ha scosso il potere macronista» e che «non ha fretta di tornare a stare in silenzio». Parlando con La Verità del trattamento riservato alla stampa, dalla polizia francese, nel corso delle manifestazioni, Ivan Roufiol ritiene che sia «una cosa desolante». «Le botte ai giornalisti sono una dimostrazione del fatto che il potere attuale è allo stremo». L'editorialista ammette che ci siano stati anche «dei comportamenti vergognosi da parte dei manifestanti nei confronti di alcuni giornalisti» ma riconosce che la stampa alternativa, attiva soprattutto sui social network, «abbia talvolta obbligato i grandi media ad occuparsi di certe vicende». Tra queste, ricorda Rioufol, figura il presunto assalto dell'ospedale parigino de La Pitié Salpetriere, a opera dei gilet gialli, il primo maggio 2019. Quel giorno, alcuni manifestanti in giallo erano penetrati all'interno del reparto di rianimazione chirurgica. Quando ancora non si conosceva ancora esattamente la dinamica dei fatti, il ministro dell'interno Christophe Castaner aveva scritto su Twitter che il nosocomio era stato attaccato. Secondo il titolare del Viminale transalpino inoltre, il personale sanitario era stato aggredito. Poche ore dopo Martin Hirsch, il direttore degli ospedali parigini, aveva rincarato la dose parlando di «un tentativo di intrusione violenta».In seguito Le Monde ha potuto visionare dei video che mostravano una situazione molto diversa da quella descritta dal ministro e dal direttore. In realtà, i manifestanti stavano cercando di trovare un riparo per evitare di subire un intenso lancio di lacrimogeni da parte della polizia che non faceva alcuna differenza tra gilet gialli e black block. Insomma la fake news non era stata creata dai media ma dalle autorità.Per il giornalista di Le Figaro tuttavia, il comportamento della polizia all'ospedale della Pitié Salpétrière e in molti altri casi, non dipende dalla responsabilità degli agenti. «La violenza poliziesca - spiega Rioufol - è stata provocata dal rigetto del potere da parte del popolo, perché doveva evitare che il popolo prendesse la parola». Per l'editorialista, la reazione violenta del governo di fronte alla folla illustra bene un vecchio detto francese: «se si vuole annegare il proprio cane, lo si accusa di avere la rabbia». In altre parole, per sbarazzarsi di qualcuno che rappresenta un pericolo, si inventano delle false accuse capaci di giustificare l'eliminazione.
Giorgia Meloni al Forum della Guardia Costiera (Ansa)
«Il lavoro della Guardia Costiera consiste anche nel combattere le molteplici forme di illegalità in campo marittimo, a partire da quelle che si ramificano su base internazionale e si stanno caratterizzando come fenomeni globali. Uno di questi è il traffico di migranti, attività criminale tra le più redditizie al mondo che rapporti Onu certificano aver eguagliato per volume di affari il traffico di droga dopo aver superato il traffico di armi. Una intollerabile forma moderna di schiavitù che nel 2024 ha condotto alla morte oltre 9000 persone sulle rotte migratorie e il governo intende combattere. Di fronte a questo fenomeno possiamo rassegnarci o agire, e noi abbiamo scelto di agire e serve il coraggio di trovare insieme soluzioni innovative». Ha dichiarato la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante l'intervento al Forum della Guardia Costiera 2025 al centro congresso la Nuvola a Roma.
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