2023-06-21
Sulla Via della Seta si sveglia pure Prodi: «Non ci dà benefici»
Il Professore cambia idea solo adesso sull’accordo con Pechino. Ma dietro l’offensiva della Cina sui porti non vede alcun pericolo.Pirelli: dopo la mossa del governo sul golden power lascia l’ad designato Giorgio Bruno, che avrebbe dovuto prendere il timone in base agli accordi tra i cinesi e Marco Tronchetti Provera. Al suo posto arriverà Andrea Casaluci.Lo speciale contiene due articoli.La firma del memorandum d’intesa sulla Via della Seta con la Cina, «benefici all’Italia non ne ha dati», dice Romano Prodi intervistato da Federico Rampini sul Corriere della Sera. Una pagina intera dedicata al professore e al suo «ricordo degli anni Ottanta, quando alla guida dell’Iri aiutò una Cina povera ma già laboriosa e più efficiente della Russia; e il leader comunista Deng Xiaoping gli chiese di portare Maradona a Pechino. L’imprudenza dell’Italia nel firmare il memorandum del 2019 con Xi Jinping. L’illusione di Emmanuel Macron di contare da solo. L’importanza dell’Europa per salvare il mondo dalla guerra». In realtà questi temi Prodi li affronta in un’intervista televisiva, registrata prima della scomparsa di sua moglie Flavia, mandata in onda su La7 in due puntate firmate proprio da Rampini sul viaggio nei due imperi rivali, America e Cina. Ma al netto del mezzo, e dei suggestivi (nonché accuratamente selezionati) amarcord), è interessante il «risveglio» prodiano sulla Belt and road initiative, firmata nel 2019 dal governo gialloblù di Giuseppe Conte e lasciata in sospeso da Mario Draghi. L’accordo, ricordiamolo, scade a marzo 2024 ma si rinnova automaticamente alla fine di quest’anno a meno che una delle due parti non comunichi un passo indietro. Roma ha quindi tempo fino a dicembre per decidere. Prodi si accorge che la Cina di oggi non è più quella di quando era premier e nemmeno quella di quando presiedeva la Commissione Ue. «C’era il comunismo, ma c’era quasi un’ammirazione verso i sistemi occidentali, una curiosità estrema per l’Unione europea. L’attenzione per l’euro. Eravamo un modello», dice il professore. Quindi, sintetizzerebbero i più maligni, anche se erano comunisti andavano bene perché ci ammiravano. Ma ora le cose si sono complicate, prosegue Prodi, per il passaggio dalla priorità dell’economia alla priorità della politica. «Da quando c’è Xi Jinping il linguaggio è diverso; è una Cina assertiva, che dice: noi abbiamo tirato fuori dalla miseria 800 milioni di persone. Voi litigate, andate lentamente. Il mondo guarderà a noi e non a voi». Piccola parentesi: a fine febbraio c’era anche Prodi, in piedi in prima fila, al ricevimento romano organizzato dal nuovo ambasciatore cinese in Italia, Jia Guide, per il suo insediamento. Aveva pure rilasciato delle dichiarazioni all’agenzia di stampa cinese Xinhua, sottolineando che «in questo momento la ripresa della Cina è indispensabile per la ripresa dell’Europa» e aggiungendo che i due Paesi devono rafforzare la loro cooperazione con la Belt and road initiative. Chiudiamo la parentesi e torniamo al risveglio di ieri sulla Via della Seta. «Se lei fosse stato premier avrebbe firmato? Abbiamo avuto benefici?», chiede Rampini. E il prof risponde: «Benefici all’Italia non ne ha dati. Dato il mio passato e la coscienza che ho sui rapporti di forza del mondo, io avrei firmato insieme agli altri Paesi europei. Noi dobbiamo lavorare con la Germania e con la Francia e con la Spagna perché questo è il blocco nostro. Però anche qui il fariseismo è arrivato molto in fondo. Si accusa l’Italia di aver firmato ma nel 2020 - nell’intervallo fra Donald Trump e Joe Biden - l’Unione europea, cioè in quel caso la Germania, aveva preparato un protocollo con la Cina denominato Comprehensive agreement on investment, che era molto più che la Via della Seta. Appena è arrivato il nuovo presidente americano al potere, il protocollo è stato eliminato». Quindi il governo giallorosso firmava i trattati senza accorgersi di cosa c’era scritto. E con in cambio zero benefici. Ci chiediamo perché affermarlo solo adesso e non quando di benefici parlava anche il presidente della Repubblica e persino papa Francesco. Prodi lo fa adesso, confermando che rinnovare un accordo inutile non ha senso. Senza parlare delle prevedibili reazioni degli Stati Uniti. Tanto che Washington, sottolinea lo stesso Rampini, mette in guardia l’Europa sugli investimenti cinesi nelle infrastrutture. «Sulle tecnologie e le imprese occorre prudenza perché entrano nella fascia della strategia», commenta l’ex premier. Ma sui porti i toni tornano quelli del Prodi pre risveglio. «Se dei qatarini o dei cinesi comprano delle ville in Sardegna o dei nostri porti, mica ce li portano via. Noi possiamo controllarli se abbiamo la testa per controllarli. Il buon andamento dell’economia della Grecia deriva dal fatto che il Pireo è diventato il porto più forte di rapporti con la Cina e con l’Est del Mediterraneo». Sui porti italiani, in particolare su quelli pugliesi come Taranto, in realtà il Dragone ha già messo le mani senza grosse resistenze (anzi) da parte degli enti locali. E negli ultimi mesi sono spuntate nuove società: il caso più curioso, raccontato dalla Verità, è quello della italocinese Progetto internazionale 39, che ha vinto la gara per aggiudicarsi la piattaforma logistica del porto pugliese. Un dettaglio non irrilevante considerando che Taranto ospita la base Nato che controlla una parte rilevante del Mediterraneo. E che sempre a Taranto i cinesi hanno già messo un piede nel 2020 con l’insediamento di Ferretti, il costruttore di barche di lusso controllata dalla società statale cinese. Quanto alla Grecia, è esagerato attribuire al Pireo - porto controllato dalla cinese Cosco - la crescita del Pil, cui l’intero comparto dello shipping contribuisce al massimo per il 6 per cento.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/via-seta-prodi-non-benefici-2661653943.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-golden-power-da-la-scossa-a-pirelli" data-post-id="2661653943" data-published-at="1687350007" data-use-pagination="False"> Il golden power dà la scossa a Pirelli Il golden power deciso qualche giorno fa dal governo Meloni per stoppare le velleità dei cinesi di Sinochem-ChemChina ha sparigliato le poltrone al vertice della Pirelli. Camfin indicherà Marco Tronchetti Provera e Andrea Casaluci per i ruoli, rispettivamente di vicepresidente esecutivo e di amministratore delegato nel prossimo cda. Lascia invece il gruppo l’ad designato, Giorgio Bruno, proposto dallo stesso Tronchetti Provera nel suo piano di successione. Lo ha comunicato ieri la società in una nota a precisazione delle indiscrezioni apparse su Bloomberg relative all’imminente addio di Bruno che dal giugno 2021 era deputy Ceo e ha manifestato la volontà di concludere il proprio mandato di componente del consiglio «per dedicarsi a proprie attività imprenditoriali» e di conseguenza la propria indisponibilità a essere indicato al timone. Bruno era stato designato da Sinochem, ma indicato da Tronchetti Provera. Avrebbe dovuto sostituire proprio quest’ultimo, alla guida dell’azienda dal 1992, in occasione dell’assemblea di fine luglio. La successione faceva parte di un accordo di governance tra la cinese Sinochem e la holding di Tronchetti, Camfin. Quanto a Casaluci, 50 anni, è nel gruppo di pneumatici dal 2002 e dal 2018 con la carica di general manager operations. Camfin, viene aggiunto, procederà a designare i propri quattro candidati, fra i quali quelli sopra indicati, a Marco Polo International Italy Srl al fine del loro inserimento nella lista che la stessa presenterà all’assemblea Pirelli, da convocarsi entro il 31 luglio per il rinnovo del consiglio di amministrazione. L’esercizio del golden power è legato ai rischi che si potrebbero materializzare per la sicurezza nazionale, dato il riferimento al governo di Pechino dell’impresa cinese che con il 37% è l’azionista di maggioranza relativa della Pirelli. Il dito sarebbe puntato sulle tecnologie adoperate per i sensori cyber degli pneumatici, suscettibili di un uso più esteso anche per la raccolta di informazioni. Sinochem può ricorrere al Tar contro la misura adottata. Intanto l’esecutivo non è arrivato a una decisione estrema, che pure avrebbe potuto assumere, quale il congelamento della partecipazione cinese, ma ha emanato una serie di prescrizioni: in particolare, quattro candidati della lista di maggioranza per l’elezione degli organi deliberativi devono essere indicati dal socio italiano Camfin, azionista con il 14%, e le decisioni strategiche dovranno avere il consenso di quattro quinti del consiglio di amministrazione; dovrà essere istituita la figura del direttore generale; le deleghe interne dovranno essere conferite a italiani e nella struttura organizzativa dovrà essere prevista un’unità ad hoc per la sicurezza. L’obiettivo è evitare che i cinesi possano esercitare tramite i loro rappresentanti attività di indirizzo e coordinamento nonché di controllo e accadere a informazioni tutelate dalla proprietà industriale. In Piazza Affari ieri il titolo Pirelli ha chiuso in ribasso dell’1,75% a 4,49 euro. Nel frattempo, il governo agita di nuovo il golden power contro Pechino anche sugli impianti italiani di Electrolux. «Nel caso, che ora riteniamo ipotetico, ci fosse la volontà, da parte di chiunque, di cedere, vendere o trasferire le aziende di Electrolux, l’esecutivo farà sentire la propria voce attraverso l’esercizio del golden power, come sta facendo in questi giorni con Pirelli», ha detto il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani. Da febbraio si rincorrono voci di un interessamento dei rivali cinesi di Midea per i 5 stabilimenti di Electrolux in Italia, trattative confermate dai media di Stato cinesi e rispetto alle quali la multinazionale scandinava ha sempre opposto un «no comment».
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Il Comune di Merano rappresentato dal sindaco Katharina Zeller ha reso omaggio ai particolari meriti letterari e culturali della poetessa, saggista e traduttrice Mary de Rachewiltz, conferendole la cittadinanza onoraria di Merano. La cerimonia si e' svolta al Pavillon des Fleurs alla presenza della centenaria, figlia di Ezra Pound.