2024-08-04
Il Vaticano alla fine rompe il silenzio e condanna la cerimonia blasfema
Il cardinale Raymond Leo Burke (Getty Images)
Dopo la lettera aperta firmata da 30 tra vescovi e cardinali, fra cui Raymond Leo Burke, la Santa Sede interviene con ben otto giorni di ritardo: «Siamo rattristati dalle scene deplorevoli che hanno offeso tanti cristiani e credenti».Con un ritardo di ben otto giorni, la Santa Sede ha condannato l’Ultima Cena gay delle Olimpiadi di Parigi. Con una nota, si è definita «rattristata da alcune scene della cerimonia di apertura» e spiega di non potersi che «unire alle voci levatesi negli ultimi giorni che deplorano l’offesa fatta a tanti cristiani e credenti di altre religioni. In un evento prestigioso dove il mondo intero si riunisce attorno a valori comuni, non si dovrebbero trovare allusioni che ridicolizzino le convinzioni religiose di molte persone». Per il Vaticano «la libertà di espressione, che ovviamente non viene messa in discussione, trova il suo limite nel rispetto per gli altri».Una presa di posizione che è arrivata solo dopo che tre cardinali e 27 vescovi e arcivescovi del mondo intero hanno sottoscritto nelle scorse ore una lettera aperta contro le blasfemie che hanno macchiato la cerimonia di apertura dei Giochi.La lettera dei presuli cattolici indignati, guidati dai cardinali Raymond Leo Burke (Usa), Wilfrid Fox Napier (Sudafrica) e Berhaneyesus Demerew Souraphiel (Africa), dà ragione alla destra e torto alla sinistra, sul carattere blasfemo delle pagliacciate macroniane e sulla evidente parodia dell’Ultima Cena di Cristo rappresentata da Leonardo e dall’arte cristiana. «Il mondo intero», scrivono i custodi del sacro, «ha assistito con sgomento alla rappresentazione grottesca e blasfema dell’Ultima Cena con cui sono stati inaugurati i Giochi Olimpici di Parigi», il 26 luglio scorso. E l’Ultima Cena, ricordano agli «artisti» smemorati di Emmanuel Macron, «è il pasto che Gesù di Nazareth prese con i suoi amici più cari la notte prima della sua morte, per loro e per noi». Secondo i presuli, «è difficile capire come i responsabili abbiano potuto intenzionalmente permettersi di profanare così facilmente la fede di più di 2 miliardi di uomini». Ma la risposta è semplice e duplice, e compare nella stessa missiva di protesta episcopale. Da un lato, un mondo che ha fatto del materialismo il suo idolo assoluto e della trasgressione morale il suo falso dio, come è il mondo progettato dai progressisti a partire dal Sessantotto, è destinato a offendere e a non rispettare nulla come «sacro» e «intoccabile», tranne i suoi propri pregiudizi. D’altra parte, come notano i 30 testimoni del Vangelo, «è difficile immaginare che qualsiasi altra religione sarebbe stata deliberatamente esposta a un tale odioso ridicolo davanti a un pubblico internazionale». Religioni più o meno rispettabili? Sì, perché a ben vedere, è solo sul cristianesimo e sui cristiani che si osa riversare quotidianamente, da Parigi a Londra, da New York a Roma, l’odio, il sarcasmo e la più becera volontà di umiliazione. E questo non è un caso fortuito, ma è il frutto di una lettura storica sbagliata, benché «progressista», secondo cui il nostro passato (cristiano) sarebbe qualcosa di brutto e di cattivo, da maledire in eterno proprio per allontanarvi quei giovani che volessero trarre da esso coscienza etica e ispirazione di vita.Nonostante il carattere anticristiano delle volgarità scientemente organizzate dal direttore artistico dei Giochi Thomas Jolly - notoriamente legato all’estrema sinistra e che già alcuni mesi fa annunciò il carattere dissacratorio della cerimonia - i vescovi scrivono che «questo atto vile rappresenta una minaccia per tutti», compresi quindi «i credenti di altre religioni e di nessuna». Perché lo scherno e l’affronto pubblico in mondovisione, «incoraggia i potenti a fare ciò che vogliono con coloro che disprezzano». Quindi davanti all’anticristianesimo come «ultimo pregiudizio ammissibile» (descritto da Philip Jenkins nel famoso pamphlet The last acceptable prejudice) la crociata di riparazione dovrebbe essere universale, in difesa del sentimento religioso ferito. E in questo caso non sono mancati esponenti del mondo ebraico, islamico e perfino ateo militante (i francesi Jean-Luc Mélenchon e Michel Onfray) che hanno duramente condannato le blasfemie.«Noi, vescovi cattolici di tutto il mondo» scrivono a futura memoria i successori degli apostoli, «chiediamo a nome di tutti i cristiani che il Comitato olimpico ripudi questo atto blasfemo e si scusi con tutti gli uomini di fede». E questo «ripudio» sarebbe importante e decisivo, un vero spartiacque per le future generazioni e per l’educazione al rispetto dei giovani. Se il massimo evento sportivo mondiale può insultare e discriminare una parte della popolazione del globo, vasta certo ma comunque minoritaria (2 miliardi su 8), allora tutte le minoranze potrebbero essere messe alla berlina, in base ai gusti di ciascuno. E questo messaggio distorto e negativo diverrebbe impossibile solo se le autorità competenti, a partire da Emmanuel Macron, condannassero pubblicamente quel che è accaduto, riconoscendone quindi la natura sacrilega, blasfema e infamante, finora negata e annacquata sotto il pretesto «artistico» e «culturale». Le pubbliche scuse richieste dai vescovi non sono poi simili a quelle che si richiedono a ogni minimo indizio di razzismo o di omofobia? E i diritti dei credenti sarebbero forse inferiori e meno degni rispetto a quelli dei migranti o a quelli delle (onnipotenti) lobby Lgbt?La conclusione, nella sua pacatezza, mostra bene quale sia la nobile causa al servizio della quale protestano i vescovi: il Vangelo e i suoi valori di pace, fratellanza e carità. Scrivono: «Chiediamo al Signore che coloro che cercano di danneggiare gli altri con il loro potere», come qui hanno fatto i libertari dissacratori anarchici, «e coloro che sono danneggiati dai potenti» come le minoranze cristiane in Francia e in Occidente, «imitino l’amore sacrificale di Cristo, affinché la pace, il decoro e il rispetto reciproco possano tornare a regnare nel mondo».
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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