
Da circa sei mesi i documenti sul disastro sono consultabili. Chi li ha letti, come Giovanardi, è sicuro: tutto porta alla pista della vendetta palestinese«Come mai tutti hanno fatto film, libri e serie tv su Ustica e fino a sei mesi fa nessuno ha mai visto una carta relativa al caso?». Carlo Giovanardi è ancora più determinato del solito. Fra pochi giorni, il 27 giugno, ricorre l’anniversario della strage di Ustica a cui l’inossidabile democristiano modenese dedica da tempo molte fatiche. Ma quest’anno c’è una novità: per la prima volta alle commemorazioni parteciperà ufficialmente l’Associazione per le verità sul disastro aereo di Ustica presieduta da Giuliana Cavazza (figlia di una vittima) e Flavia Bartolucci. Il loro gruppo è stato riconosciuto dal governo Draghi, che a quanto pare ha fatto anche qualcosa di buono, anzi di molto buono. Perché, sei mesi fa circa, ha tolto finalmente ogni forma di segreto sui documenti relativi a uno dei più grandi misteri italiani.O, meglio, su un caso che - sostiene Giovanardi - non è più così tanto misterioso. «Dal punto di vista tecnico», dice, «non c’è alcun dubbio. Quanto accaduto è indiscutibile: una bomba è esplosa nella toilette di bordo dell’aereo, ci sono 1.400 pagine di perizia che lo dimostrano. Il problema, semmai, è sapere chi ha messo la bomba. Quindi chi ha fatto libri, sceneggiati eccetera li ha fatti senza sapere nulla. I giornalisti italiani per 40 anni hanno parlato di qualcosa che era segreto e di cui dunque non potevano sapere niente. La verità è che 11 fra i maggiori periti del mondo hanno stabilito - con una certezza del 100% - che l’aereo è stato abbattuto da un’esplosione nella toilette».Queste dichiarazioni Giovanardi le ha ripetute nei giorni scorsi in qualche intervista, suscitando le ire dell’Associazione parenti delle vittime della strage di Ustica guidata da Daria Bonfietti, che da sempre sostiene posizioni molto diverse. «Bisognerà pur dire una volta per tutte a Giovanardi e ai sostenitori della bomba come causa dell’abbattimento del Dc9 Itavia nei cieli di Ustica che è la magistratura il riferimento per le sue tesi e per le prove. È la magistratura che deve essere convinta, che deve accettare le ricostruzioni», ha detto la Bonfietti un paio di giorni fa. A darle man forte ci ha pensato il deputato Pd Andrea De Maria, secondo cui quelle di Giovanardi sarebbero «tesi infondate». Per Daniele Osnato, avvocato che rappresenta un gruppo di familiari delle vittime della strage, Giovanardi racconterebbe «fandonie». L’ex esponente dell’Udc, tuttavia, prosegue granitico. «Fino a otto anni fa, su quei documenti relativi a Ustica era posto il segreto di Stato, dunque non li potevano vedere nemmeno i magistrati. Poi, tolto il segreto, sono stati classificati segreti e segretissimi, quindi vi poteva accedere solo chi, come me, ha fatto parte della commissione d’inchiesta sul caso Moro. In quanto parlamentare, io quelle carte ho potuto vederle e prendere nota. Tre anni fa venni chiamato a Roma dal governo Conte. Mi hanno fatto incontrare il capo dei servizi e il capo di gabinetto di Conte, che minacciò di avviare un procedimento penale nei miei confronti se avessi resi noto il contenuto delle carte. Poi scrissero alla signora Cavazza che per questioni di interesse nazionale nemmeno i parenti delle vittime potevano rendere pubblici i documenti».Proprio ieri Giuliana Cavazza e Flavia Bartolucci sono tornate sull’argomento, rispondendo alle accuse di Daria Bonfietti e degli esponenti Pd. «Dovremmo condividere l’obbiettivo della verità per Ustica e non esiste un monopolio del dolore», hanno scritto. «Vogliamo rassicurare la presidente Bonfietti di aver segnalato l’importanza delle carte ai magistrati inquirenti, con in quali siamo naturalmente in contatto, nella speranza di aiutarli a individuare i responsabili materiali e i mandanti della strage». Ebbene, anche secondo Cavazza e Bartolucci le carte recentemente desecretate sono fondamentali per comprendere che cosa sia davvero successo a Ustica.«Dal punto di vista tecnico», precisa Giovanardi, «questi documenti non dicono nulla che già non si sapesse, perché la commissione di indagine nel processo penale aveva già appurato la verità. La Bonfietti e Osnato continuano a parlare dell’ordinanza del giudice Priore con cui si è dato il via, a suo tempo, al procedimento penale». Solo che - come rimarcano Cavazza e Bartolucci «l’ordinanza di rinvio a giudizio del giudice istruttore Priore è stata smentita in ogni grado di giudizio, fino alla Cassazione. Non è pertanto possibile pretendere di adottarla per minimizzare l’importanza delle carte recentemente desecretate». Giovanardi, dal canto suo, rincara la dose: «Quell’ordinanza di Priore ha lo stesso valore dell’atto con cui fu rinviato a giudizio Enzo Tortora: nessuno. Nella sentenza penale su Ustica l’ipotesi che l’aereo sia stato abbattuto dopo una battaglia aerea è presentata come roba di fantascienza. Bonfieschi e gli altri continuano a richiamare non la sentenza definitiva che ha assolto i generali italiani, ma l’atto di inizio del processo. Quanto al processo civile, non si è mai interessato delle cause dell’abbattimento. Anche in virtù di alcuni errori commessi durante il procedimento, ha preso per buona una tesi ma senza svolgere alcun approfondimento».Ma che cosa c’è nelle carte desecretate di così importante? Beh, tra le altre cose c’è il carteggio tra il governo italiano dell’epoca e la nostra ambasciata a Beirut. In particolare ci sono le comunicazioni del capo centro del Sismi, il colonnello Giovannone, che tirano in ballo il noto caso dei missili di Ortona. Nella notte tra il 7 e l’8 novembre 1979 nella città abruzzese furono fermati alcuni militanti di Autonomia operaia che trasportavano due missili terra-aria spalleggiabili. A seguito di quella vicenda finì in carcere anche Abu Anzeh Saleh, cittadino giordano e referente italiano del Fronte popolare di liberazione della Palestina. Ebbene, stando alle comunicazioni del colonnello Giovannone, i palestinesi avevano più volte minacciato ritorsioni nel caso in cui Saleh non fosse stato liberato. Dal loro punto di vista erano nel giusto. In seguito a quello che fu denominato «lodo Moro», l’Italia aveva concesso ai palestinesi libertà di movimento sul territorio nazionale, in cambio di protezione dagli attentati.«Volevano che Saleh fosse liberato, altrimenti ci avrebbero colpito», ricostruisce Giovanardi, spiegando che nel dossier Ustica le segnalazioni in questo senso sono numerose. Giovannone inviò dispacci sempre più allarmati. «Il 12 maggio 1980», dice Giovanardi, «si fa presente che il 18 sarebbe scaduto l’ultimatum per la risposta da parte delle autorità italiane alla richiesta del Fronte di scarcerare Saleh. In caso di risposta negativa la maggioranza della dirigenza e la base del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina dichiarava che avrebbero ripreso, dopo sette anni, la propria libertà d’azione nei confronti dell’Italia e dei suoi interessi, con operazioni che avrebbero potuto anche colpire innocenti». Questo, in buona sostanza, sarebbe il segreto di Ustica. L’Italia, rifiutando di liberare Saleh, avrebbe contravvenuto agli accordi presi con i palestinesi - il cosiddetto «lodo Moro» - suscitando una risposta violenta: l’attentato al Dc9. Questa ricostruzione toglie di mezzo le ipotesi sugli interventi americani e francesi, e soprattutto leverebbe responsabilità ai militari italiani che nel corso degli anni sono stati coinvolti nella vicenda. Qualcuno potrebbe dire: ma se era tutto scritto lì, perché mantenere il segreto per anni? La risposta potrebbe essere fin troppo semplice: ammettere l’esistenza di accordi con i palestinesi significherebbe ammettere di aver concesso a gruppi combattenti di agire liberamente per attaccare Israele, che è nostro alleato (almeno in teoria). Meglio creare l’ennesimo mistero che rivelare verità non troppo onorevoli.
Nadia Battocletti (Ansa)
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