2023-08-31
Ustica è e resta un mistero italiano. Così è caduta la pista della bomba
Di recente si è definita «certezza assoluta» la presenza di un ordigno a bordo del Dc-9. In realtà la perizia che la sostiene è stata smontata dagli stessi pm che l’avevano chiesta. Ecco perché l’ipotesi non regge. Indro Montanelli, citando Ugo Ojetti, parlava di un’Italia senza memoria. Sarà per questo che con cadenza fissa c’è chi riprova a scrivere la storia di questo Paese. Anche quella giudiziaria. Un esempio? Il caso del Dc9 precipitato nel mare di Ustica il 27 giugno 1980 con 81 persone nella fusoliera. Una tragedia senza superstiti. La prematura scomparsa del giornalista investigativo Andrea Purgatori si è trasformata in un pretesto per mettere immediatamente in discussione il suo lavoro sul disastro aereo. I sostenitori dell’ipotesi della bomba all’interno dell’aereo, tra cui l’ex ministro Carlo Giovanardi, hanno «commemorato» Purgatori con una serie di disquisizioni sull’assoluta infondatezza della pista dell’abbattimento tramite un missile, della quale Purgatori era, a torto o a ragione, convinto.Lunedì scorso, l’Associazione per la verità sul disastro di Ustica (che, contrariamente all’Associazione parenti delle vittime, sposa la tesi dell’ordigno a bordo), in una lettera pubblicata da un quotidiano, si è spinta a scrivere: «Si può ben dire che il suo contributo sia stato determinante nella costruzione del castello di falsità attorno alla vicenda Ustica». Nella missiva si poteva anche leggere che, a giudizio insindacabile degli scriventi, nell’unico procedimento penale sulla vicenda «la sentenza fu che la battaglia aerea e i missili erano pura fantasia. Per esclusione rimaneva solo la bomba a bordo». In realtà, come vedremo più avanti, la sentenza esclude anche la pista dell’ordigno dentro al bagno.Per rafforzare il proprio assunto, i membri dell’associazione, hanno anche raccontato ai lettori che il principale sostenitore della battaglia aerea, l’ex presidente Francesco Cossiga, si sarebbe subito corretto dopo le prime esternazioni del 2008. In realtà, ancora un anno dopo, nel 2009, aveva confermato le proprie parole in un’aula di Tribunale. Ma veniamo al Santo Graal di chi crede all’esplosione interna, la cosiddetta perizia Misiti, dal nome dell’ingegnere ed ex preside della facoltà di Ingegneria di Roma, Aurelio Misiti, esperto con la passione per la politica, tanto da essere stato viceministro e sottosegretario ai Trasporti nell’ultimo governo Berlusconi. Da anni Giovanardi, anche lui sottosegretario con il Cavaliere, spaccia l’elaborato del collega come prova definitiva. L’ex parlamentare, a fine luglio, ha scritto su questo giornale: «La perizia tecnica di 1.400 pagine depositata nel processo penale a firma di 11 esperti di chiara fama, elaborata dopo che si era provveduto a recuperare in fondo al mare il relitto del Dc9, ha concluso con certezza assoluta che il Dc9 venne abbattuto dalla esplosione di una bomba collocata nella toilette posteriore di bordo». Secondo il politico «non esiste agli atti da nessuna parte una nuova perizia che smentisca quella depositata nel processo penale, meno che mai nel processo civile, che si concluse con la formula del “più probabile che non” per avallare la tesi del missile scritta a tavolino dall’avvocato Francesco Batticani di Bronte, giudice onorario aggiunto, prima che la carcassa dell’aereo fosse recuperata». I resti del Dc9 sono stati trasferiti in un hangar dell’aeroporto militare di Pratica di mare nel settembre del 1990. La perizia Misiti risale al 1994. La sentenza Batticani (peraltro quei risarcimenti sono stati confermati dalla Cassazione nel 2009 e la stessa cosa è avvenuta in altri procedimenti civili) porta la data del 25 luglio 2003. Dunque la decisione del giudice è arrivata tredici anni dopo il recupero della carcassa dell’aereo e non prima, sostenuto da Giovanardi. Che evidentemente o non ha memoria o conta sulla smemoratezza altrui. Già questo basterebbe per dubitare dell’approssimazione con cui l’ex parlamentare rilegge il contenuto degli atti processuali. Il politico peraltro non cita la sentenza del 2011 con la quale il giudice (non onorario) del Tribunale di Palermo, Paola Proto Pisani, ha condannato lo Stato a risarcire i familiari delle vittime, mettendo nero su bianco che «circa le tre possibili cause della caduta dell’aereo tecnicamente sostenibili - e cioè la quasi collisione, l’abbattimento ad opera di un missile, e l’esplosione interna […] il Tribunale ritiene potersi escludere, nel rispetto degli standard di prova sopra specificati, quella dell’esplosione interna», aggiungendo poi che «l’affermazione – in termini di maggiore probabilità- che la causa del disastro sia da individuare in un evento collegato alla presenza di velivoli militari nelle immediate vicinanze del Dc9 al momento della sua caduta deve ritenersi sufficiente - ai fini del presente giudizio civile – per l’affermazione della responsabilità dei ministeri convenuti in relazione alla caduta dell’aereo, senza che si renda necessario un ulteriore livello di analisi delle cause al fine di discriminare la maggiore probabilità tra quella della quasi collisione e quella della detonazione di un missile».Ma c’è di più. A smentire Giovanardi è la stessa sentenza di Appello del processo penale che ha assolto dalle accuse di alto tradimento i generali dell’Aeronautica Lamberto Bartolucci e Franco Ferri. Una sentenza usata dal politico per sostenere la propria posizione sfavorevole alla battaglia aerea e al missile e favorevole alla bomba di matrice palestinese sull’aereo (pista, quella Medio-orientale, sposata arbitrariamente anche per la strage di Bologna). A pagina 116 delle motivazioni si può, infatti, leggere: «Le stesse ipotesi (si sottolinea ipotesi e non certezze) dell’abbattimento dell’aereo ad opera di un missile o di esplosione a bordo non hanno trovato conferma dato che la carcassa dell’aereo non reca segni dell’impatto del missile e, nel caso della bomba all’interno dell’aereo, bisogna ritenere che l’ignoto attentatore fosse a conoscenza del dato che l’aereo sarebbe partito da Bologna con due ore di ritardo per poter programmare il timer con due ore di ritardo per l’esplosione visto che di criminali kamikaze che potessero essere a bordo allora non vi era traccia». Dunque, per i componenti del collegio giudicante che ha assolto Bartolucci e Ferri la perizia, che Giovanardi cita ogni volta che ricorda quell’assoluzione, non solo non è alla base della decisione, ma quella ricostruzione viene considerata una mera «ipotesi» che non ha «trovato conferma». Del resto, a mettere in dubbio la perizia Misiti non era stata solo la monumentale sentenza istruttoria vergata da Rosario Priore, ma anche la requisitoria dei pm Settembrino Nebbioso, Vincenzo Roselli e Giovanni Salvi. Scrivono, infatti, i pm: «In buona sostanza, dei numerosi reperti esaminati e indicati come utili per l’individuazione degli effetti di un’onda di sovrappressione, solo due sono stati effettivamente considerati tali dal collegio peritale. Gli altri, infatti, sono del tutto equivoci o possono fondare un giudizio del tutto opposto, oppure sono in contrasto con altri reperti analoghi, che recano deformazioni del tutto divergenti, oppure, infine, non differiscono nelle deformazioni patite da altri reperti siti in luoghi assai distanti dell’aereo». E ancora: «Le risposte ai quesiti a chiarimenti che furono formulati dal giudice istruttore non hanno consentito di diradare quei dubbi, come appresso si dirà. Si è anzi avuta l’impressione che il collegio peritale abbia preferito rimuovere il problema posto dalla richiesta di chiarimenti e che si sia, di conseguenza, limitato a trasformare alcune valutazioni da dubitative ad assertive, ma senza alcuna illustrazione né del percorso logico seguito per tale mutamento, né - tantomeno - degli elementi nuovi che potessero averlo indotto». I pm ricordano che «una volta formulata l’ipotesi che una bomba fosse stata posta nel vano toilette, furono avviate simulazioni e prove empiriche per individuare quali potessero essere gli effetti di una simile esplosione, dove l’ordigno potesse esser stato collocato e se i danni riscontrati sui reperti fossero o meno compatibili con le diverse ipotesi». Simulazioni e prove che «furono condotte in buon accordo con il collegio esplosivistico e in contraddittorio con le parti». Ebbene, già prima dell’inizio del processo di primo grado, era emerso come «questi accertamenti» non solo non avessero «consentito di verificare le diverse ipotesi di partenza», ma avessero «fornito elementi tali da far considerare altamente improbabile l’esplosione di un ordigno nel vano toilette». I pm evidenziano come «il collegio non ha tratto le conseguenze di questi accertamenti, che pure aveva utilizzato, ma si è limitato a formulare di volta in volta ipotesi di posizionamento dell’ordigno che si adattassero ai diversi esiti, senza tener conto che permanevano ogni volta elementi in contrasto». Per dimostrare la tesi i magistrati citano il caso del copritazza del water, recuperato del tutto integro «dove furono rinvenute le altri parti distaccatesi dalla toilette nelle primissime fasi del collasso». A seguito delle richieste di chiarimenti i periti avevano liquidato «il dato di fatto della incompatibilità dell’ipotesi accettata con i danni (non) riportati dal copritazza ponendo in dubbio - per la prima volta - che si tratti di un reperto effettivamente proveniente dal Dc9». Dunque se la tavoletta non presentava i danni supposti, anche se era stata ritrovata vicino ad altri reperti del bagni, beh, allora non era più quella dell’aereo, ma un’altra finita lì chissà come. Altro che perizia non smentita, quindi. Va anche detto che il lavoro degli «esperti di chiara fama» era stato oggetto anche di una contestazione riguardo al rapporto di due periti con gli indagati/imputati. Tanto da spingere Priore a emettere, il 19 giugno del 1995, un provvedimento di revoca e sostituzione dei due «specialisti», le cui conversazioni erano state addirittura intercettate. Addirittura uno degli indagati avrebbe definito gli esperti «periti nostri».Giovanni Salvi, uno dei pm di quel processo, oggi in pensione dopo aver ricoperto gli incarichi più prestigiosi magistratura inquirente, conclude: «Ho seguito un po’ nel tempo l’inchiesta. Non credo che ci siano elementi che abbiano superato le nostre obiezioni, che non riguardano solo la tavoletta. […] Abbiamo riprodotto l’esplosione in un ambiente analogo a quello della toilette. Abbiamo simulato, con i metodi più moderni, l’esplosione nei vari posti indicati da Taylor (Arnold Francis un componente del collegio della Misiti, ndr). Abbiamo valutato tutta una serie di elementi che a mio parere non ci danno quella certezza, anzi». Poi chiosa: «Le conclusioni dei pubblici ministeri erano state quelle che non è possibile arrivare a una conclusione definitiva».