2019-09-28
Hanno usato migliaia di ragazzi per giustificare le tasse verdi
Ai miei tempi di studente della scuola media superiore, lo sciopero era un atto di ribellione. I ragazzi rifiutavano di entrare in classe per protesta contro la riforma della scuola, contro il ministro che non aveva predisposto l'assegnazione delle cattedre, contro i professori «reazionari» o perché il preside aveva negato qualche cosa. Sì, c'era anche qualche sciopero politico, contro il governo e contro chi negava un generico diritto allo studio (un controsenso, perché si rinunciava a studiare reclamando il diritto a studiare), ma di regola l'astensione dalle lezioni e la successiva sfilata per le vie cittadine era un gesto di ribellione. Prova ne sia che quel giorno senza scuola era classificato (...)(...) come assenza e incideva sul rendimento.Oggi no. A scuola si fa sciopero ma con il consenso del ministro, della preside, dei professori e pure dei bidelli, che poi adesso non si chiamano più bidelli ma assistenti scolastici. Gli studenti che manifestano qualche dubbio circa l'utilità dello sciopero per l'ambiente sono anzi pressati a partecipare al corteo dallo stesso ministro, dai presidi, dai professori e pure dai bidelli. Lo sciopero non è più di ribellione, ma di accettazione. Del pensiero unico, ovviamente. Perché se ministro, presidi, professori e bidelli sono d'accordo, a che cosa serve saltare le lezioni? E qui siamo al ringretinimento totale, perché se una ragazzina montata - dai media e dai genitori - può anche illudersi che parlando all'Onu otterrà la riduzione di qualche chilogrammo di CO2, un ministro della Pubblica istruzione, che dovrebbe educare i giovani e non ringretinirli, dovrebbe spingere i ragazzi a studiare, a imparare, magari anche a criticare il pensiero unico. E invece il ministro dà istruzioni a presidi, insegnanti e bidelli affinché tutti si adeguino.Una prova di questo ringretinimento totale? La lettera che ieri mi ha inviato la madre di un alunno della scuola media. Ometto il nome della mamma, anche se lei non me lo ha chiesto, solo perché si potrebbe risalire a quello dello studente, che, essendo minore, in base alla Carta di Treviso va preservato e immagino che se non lo facessi avrei addosso l'intera categoria, soprattutto quella che s'inchina volentieri al ringretinimento. La signora mi ha scritto che alla scuola frequentata dal figlio, l'istituto Ghiberti di Firenze, la preside ha «imposto lo sciopero», decidendo di accorciare l'orario delle lezioni e dunque «venendo meno ai doveri educativi e negando la fruizione del servizio». E mi chiede: «Non pensa che uno sciopero di Stato, uno sciopero imposto dall'alto, richiami alla memoria certi regimi?». «Non sono qui a negare l'importanza del tema dell'ambiente», aggiunge poi, «ma rifiuto le vette del fanatismo che ormai si sono raggiunte anche - o forse soprattutto - grazie all'idea del nuovo ministro dell'Istruzione». Chiaro il concetto? Va bene l'ambiente: educhiamo i ragazzi al rispetto della natura, a non inquinare, a evitare lo spreco dell'acqua o dell'energia, ma questa pagliacciata dello sciopero, con relativi cortei che bloccano il traffico e dunque costringono le auto a rimanere in coda, che senso ha? Forse che i ragazzini indotti a fare come compito a casa una manifestazione contro l'inquinamento da stasera non useranno più il telefonino e rifiuteranno di mangiare frutta e verdura cresciuta in una serra riscaldata e illuminata, diranno di no al packaging dei loro aggeggi elettronici? Oppure eviteranno di salire a bordo dell'auto di famiglia perché va a benzina o, peggio, a gasolio? Ovvio che no. I giovani che protestano continueranno a fare selfie e postarli su Instagram, anche se questo comporta accendere un telefonino che consuma energia, e proseguiranno a usare i derivati del petrolio per le loro confezioni e gli idrocarburi per far funzionare le auto. Oppure credete che dopo essere stati ringretiniti da un bel corteo che ha inquinato con qualche chilogrammo di CO2 in più le loro città, rientreranno a casa e spegneranno il frigorifero, il computer e staccheranno la presa del condizionatore, costringendovi a tornare - se va bene - agli anni Trenta?Ecco, io penso che la mamma di Firenze abbia ragione e che se c'era un modo per educare non era chiudere la scuola per sciopero perché lo ha ordinato un ministro o un preside. Il solo modo era aiutare i ragazzi a capire, è far loro ascoltare le tesi di chi pensa che il riscaldamento globale sia opera dell'uomo e delle sue invenzioni e chi ritiene che le cose non stiano così e la nostra responsabilità sulle mutazioni climatiche sia ininfluente, tanto ininfluente che le azioni messe in atto per fermarle costano ma non producono effetto. Al contrario, invece di spingere gli studenti a studiare, a capire che cosa sta succedendo al pianeta e come possiamo aiutarlo, si è preferito optare per il pensiero unico, seguendo le teorie di una ragazza di sedici anni come se fossero un dogma. E una volta che l'ecologia è diventata legge, si passa direttamente alle tasse ecologiche. Il modo migliore, insomma, per ottenere un ringretinimento totale, passando dal luogo comunismo al menefreghismo. Perché una volta saltate le lezioni e accontentati ministri, presidi e professori, si può tornare tranquillamente alle proprie attività. Musica ragazzi. E stasera discoteca. Ecologica però.
Thierry Sabine (primo da sinistra) e la Yamaha Ténéré alla Dakar 1985. La sua moto sarà tra quelle esposte a Eicma 2025 (Getty Images)
La Dakar sbarca a Milano. L’edizione numero 82 dell’esposizione internazionale delle due ruote, in programma dal 6 al 9 novembre a Fiera Milano Rho, ospiterà la mostra «Desert Queens», un percorso espositivo interamente dedicato alle moto e alle persone che hanno scritto la storia della leggendaria competizione rallystica.
La mostra «Desert Queens» sarà un tributo agli oltre quarant’anni di storia della Dakar, che gli organizzatori racconteranno attraverso l’esposizione di più di trenta moto, ma anche con memorabilia, foto e video. Ospitato nell’area esterna MotoLive di Eicma, il progetto non si limiterà all’esposizione dei veicoli più iconici, ma offrirà al pubblico anche esperienze interattive, come l’incontro diretto con i piloti e gli approfondimenti divulgativi su navigazione, sicurezza e l’evoluzione dell’equipaggiamento tecnico.
«Dopo il successo della mostra celebrativa organizzata l’anno scorso per il 110° anniversario del nostro evento espositivo – ha dichiarato Paolo Magri, ad di Eicma – abbiamo deciso di rendere ricorrente la realizzazione di un contenuto tematico attrattivo. E questo fa parte di una prospettiva strategica che configura il pieno passaggio di Eicma da fiera a evento espositivo ricco anche di iniziative speciali e contenuti extra. La scelta è caduta in modo naturale sulla Dakar, una gara unica al mondo che fa battere ancora forte il cuore degli appassionati. Grazie alla preziosa collaborazione con Aso (Amaury Sport Organisation organizzatore della Dakar e partner ufficiale dell’iniziativa, ndr.) la mostra «Desert Queens» assume un valore ancora più importante e sono certo che sarà una proposta molto apprezzata dal nostro pubblico, oltre a costituire un’ulteriore occasione di visibilità e comunicazione per l’industria motociclistica».
«Eicma - spiega David Castera, direttore della Dakar - non è solo una fiera ma anche un palcoscenico leggendario, un moderno campo base dove si riuniscono coloro che vivono il motociclismo come un'avventura. Qui, la storia della Dakar prende davvero vita: dalle prime tracce lasciate sulla sabbia dai pionieri agli incredibili risultati di oggi. È una vetrina di passioni, un luogo dove questa storia risuona, ma anche un punto d'incontro dove è possibile dialogare con una comunità di appassionati che vivono la Dakar come un viaggio epico. È con questo spirito che abbiamo scelto di sostenere il progetto «Desert Queens» e di contribuire pienamente alla narrazione della mostra. Partecipiamo condividendo immagini, ricordi ricchi di emozioni e persino oggetti iconici, tra cui la moto di Thierry Sabine, l'uomo che ha osato lanciare la Parigi-Dakar non solo come una gara, ma come un'avventura umana alla scala del deserto».
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