2020-03-18
Usa 2020: il duello tra Trump e Biden si avvicina
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Donald Trump torna ad essere formalmente il candidato in pectore del Partito repubblicano. Con il voto di ieri sera, il presidente americano ha infatti superato la soglia dei 1.276 delegati, necessari per ottenere la nomination: secondo i conteggi di Nbc News è adesso infatti a quota 1.310. Tutto questo, mentre sul fronte opposto Joe Biden rafforza la sua posizione in vista della nomination democratica.L'ex vicepresidente americano ha vinto ieri sera in tutti gli Stati in cui si votava, espugnando l'Arizona (con il 44% dei consensi), l'Illinois (con il 59%) e la Florida (con il 62%). La situazione si sta quindi facendo sempre più traballante per Bernie Sanders che - con questa nuova serie di sconfitte - si vede ormai nei fatti impossibilitato a conquistare la nomination. Del resto, i risultati di ieri erano ampiamente previsti. Non solo - già alle primarie di quattro anni fa - quegli Stati non avevano sostenuto il senatore del Vermont ma gli stessi sondaggi della vigilia erano concordi nel predire una sua nuova debacle. In termini di conta dei delegati, il vantaggio di Biden si sta dunque facendo sempre più difficilmente colmabile. Secondo i calcoli provvisori di Nbc News, l'ex vicepresidente risulterebbe adesso a quota 1.132, laddove Sanders languirebbe a 817. Ricordiamo che il "numero magico" per ottenere la nomination democratica è di 1.991, ragion per cui a Biden non manca poi molto per arrivare al traguardo.Insomma, per ora la domanda principale di queste primarie resta una sola: Sanders resterà in gara o deciderà di farsi da parte? Il tema si era già posto la settimana scorsa, dopo i deludenti risultati che il senatore socialista aveva rimediato alle elezioni del 10 marzo. Anche allora le alte sfere del Partito democratico gli avevano insistentemente chiesto di abbandonare la corsa, ma lui ha seccamente rifiutato, lanciando nuovamente il guanto di sfida a Biden. Il punto è che il senatore del Vermont sa bene che gran parte dei suoi elettori non accetterebbe mai di sostenere l'ex vicepresidente alle elezioni di novembre. Per quanto Biden stia da giorni cercando di blandirli, invocando l'unità del partito, è improbabile che i sandersiani trasmigrino in massa tra le file di un rappresentante dell'establishment come l'ex vicepresidente. E lo stesso Sanders potrebbe non nutrire tutta questa voglia di rassegnarsi a far campagna elettorale per il suo rivale.Sotto questo aspetto, gli scenari sono quindi due. Sanders potrebbe restare per il momento in corsa, approfittando del fatto che - in svariati Stati - le primarie siano state rimandate a causa dell'emergenza da coronavirus: in tal senso, hanno già agito Louisiana, Georgia, Kentucky, Maryland e lo stesso Ohio che (originariamente) avrebbe dovuto votare ieri sera. Per quanto si tratti di Stati che è altamente improbabile lo sostengano (soprattutto Louisiana e Georgia), Sanders potrebbe usarli come giustificazione per restare in gara fino al loro pronunciamento: pronunciamento che - nella maggior parte dei casi - dovrebbe aver luogo a giugno. L'altra ipotesi è che il senatore socialista si ritiri nelle prossime ore ma, anche in questo caso, è scarsamente probabile un suo impegno concreto a sostegno di Biden. Insomma, l'eventualità che Sanders voglia continuare a logorare l'avversario da dentro resta fortemente sul tavolo. Anche perché comincia a tener banco una questione dirimente. Nel corso del dibattito televisivo, organizzato da Cnn domenica scorsa, Biden ha annunciato che sceglierà come proprio vice una donna. Ovviamente già impazza il totonomi e - secondo molti - la figura più probabile risulterebbe quella della senatrice californiana Kamala Harris. Tutto può essere ovviamente. Ma siamo sicuri che non sarà invece un'altra senatrice ad essere scelta, quella Elizabeth Warren cioè che - teorica rappresentante della sinistra - ha in realtà sempre intrattenuto stretti legami con l'establishment dell'asinello, rifiutandosi da dare il proprio endorsement a Sanders quando si è ritirata due settimane or sono? È chiaro che un simile (e non improbabile) scenario innervosirebbe ancor di più i sandersiani, con conseguenze imprevedibili per le elezioni novembrine.Al di là delle beghe interne all'asinello, inizia quindi sempre più a profilarsi un duello tra Donald Trump e Joe Biden. Un duello che, oltre alla consueta battaglia nei singoli Stati, si giocherà anche sulla spinosa questione del coronavirus. E proprio il coronavirus è già entrato pienamente all'interno della campagna elettorale per le presidenziali. Trump, dichiarando lo stato di emergenza, ha sbloccato 50 miliardi di dollari per il contrasto al morbo. Inoltre, la Casa Bianca sta fortemente caldeggiando l'approvazione al Senato di una manovra da oltre 800 miliardi di dollari, volta a sostenere l'economia e il welfare (oltre che a garantire i tamponi gratis). Misure energiche, con cui - tra le altre cose - il presidente americano vuole arginare le critiche che, proprio sulla gestione del coronavirus, gli sono piovute addosso nelle scorse settimane. Biden si ritrova infatti al momento con le armi non poco spuntate. Quello stesso Biden che, domenica scorsa, ha criticato il modello sanitario italiano, sostenendo che un sistema di sanità universale non sia stato in grado di evitare il diffondersi dell'epidemia nel nostro Paese. Di contro Trump, che viene solitamente accusato di voler smantellare sanità e welfare, sta appoggiando una misura di stimolo economico addirittura superiore a quella messa in campo da Barack Obama nel 2009 per il contrasto alla Grande Recessione. La situazione resta indubbiamente incerta e il coronavirus costituisce una seria incognita sulle speranze che Trump ha di essere rieletto. La battaglia è tuttavia aperta e il presidente sta reagendo alla crisi.Un altro aspetto dirimente di questa campagna elettorale riguarda poi proprio la Florida. Come detto, Biden ha riportato lì una vittoria schiacciante ieri. E, del resto, proprio il Sunshine State rappresenta un obiettivo fondamentale per l'asinello, visto che - qualora dovesse riuscire a strapparlo a Trump - per il presidente in carica sarebbe quasi impossibile la riconferma. Non dimentichiamo infatti che, dal 1924, nessun candidato repubblicano sia riuscito a conquistare la Casa senza vincere in Florida. Alla luce di tutto questo, Biden tenderà ovviamente a rimarcare il suo trionfo di ieri sera nello Stato. Eppure bisogna fare attenzione. In termini assoluti, l'ex vicepresidente ha ottenuto 1.070.825 voti, laddove Trump - alle locali primarie repubblicane tenutesi sempre ieri sera - ne ha ricevuti 1.160.192. D'altronde, non dimentichiamo che - proprio in quest'area - il presidente stia investendo politicamente moltissimo, facendo leva sia sul miglioramento economico per la minoranza ispanica sia su una linea marcatamente dura verso Cuba e Venezuela (notoriamente buona parte dell'elettorato della Florida è mosso da accesi sentimenti anticastristi). Insomma, il duello con Biden è ancora agli inizi. E, nonostante le difficoltà, Trump non è poi così malmesso. La parola "fine" a questa campagna elettorale è quindi ancora ben lungi dall'essere scritta.