2020-04-19
Una vita semplice nel folto del bosco lontano dalle fredde città di vetro
Il futuro prossimo immaginato da Tiziano Fratus, poeta della natura. L'epidemia ha cambiato radicalmente l'esistenza. Ora tutto, nei luoghi abitati, è trasparente. Ma pochi solitari scelgono la comunione con le piante.Le sento le gocce di pioggia che cadono sul tetto. Le sento le gocce di pioggia che scivolano, intermittenti, lungo i muri. Le sento le gocce di pioggia che cercano di incanalarsi negli spifferi delle vecchie finestre in legno. Che spanano, che origliano, che gravitano. Non vogliono lasciarmi da solo, hanno paura che tanto silenzio possa irrigidirmi, come se fossi una ninfa castigata e condannata alla durezza di un tronco d'albero.Ogni anno è la stessa storia. Poco prima della primavera si presentano nuvole scure e basse dal nord-ovest e iniziano a ingolfare il cielo. Restano lì, per giorni, a fare numero, fino a che qualcosa scatti e le renda troppo pesanti per rimanere sospese. Inizia a piovere e le gocce fanno a gara, improvvisamente incaute, per toccare il buio, ma non un buio qualsiasi, atmosferico, come dire, il contrario della luce. No, il buio che abita le persone: la paura che abita le persone. Stessa scena sei mesi dopo, quando l'autunno inizia a brillare nelle foglie che decadono, nei colori che stingono, ruggenti lampi depressi che il bosco innalza, non si capisce se rivolti all'attenzione dei popoli misteriosi del cielo, o, al contrario, ai demoni che occhieggiano, dal fondo, con questi occhi eternamente sbilenchi, cavati quasi fuori dalle orbite, le fauci schiumanti, i denti e le piccole zanne lucenti.Dopo la grande epidemia gli uomini e le donne si sono organizzati. Ora vivono circondati dalla castità del vetro. Le città sono ricoperte di vetro, i giardini e gli spazi pubblici sono stati ricreati, nel vetro. Tutto quel che deve circolare e subire una trasformazione circola ed è protetto nel vetro. I rapporti diretti sono ridotti al minimo, prima è stato il telelavoro, poi è stata la telescuola, quindi tutte le dicotomie economico-commerciali, le ramificazioni sociali, le relazioni personali. Viaggiare è un ricordo di epoche passate, come le migrazioni a dorso di elefante, o le tigri libere da uccidere per una foto trionfante nelle foreste che sbancavano sulle acque perturbanti del golfo del Bengala.Chi ha deciso, come chi sta pensando, di vivere fuori dalle città e dagli abitati sa di essere solo. Gli antichi mi avrebbero indicato come un anachoreo, o anacoreta, ovvero colui o colei che abbandona la città per vivere fuori, in un fuori spettrale, infausto. Ma in questo ho sempre ravvisato una certa ingiustizia, perché se è vero che il Creato è opera del Signore, allora questo dovrebbe essere uno specchio colmo di saggezza, di pienezza e grandezza, lode alle mille creature inventate dal Dio del mondo. Invece è una foresta impenetrabile, un deserto inamovibile, un oceano spaventoso, abissi popolati da mostri tentacolari e ghiacciai che infermano interi continenti. Ma chi è questo inventore universale, che idee passarono per la sua perfezione a noi mortali inintelligibile?Chi vive lontano dalla legge del vetro conosce che non è assicurata alcuna forma di sostegno o di aiuto, in caso di bisogno. La natura oramai, è stato accertato, è ostile. Il clima impazzito, i batteri e i virus killer, i mari che invadono Venezia e corrodono le coste o sommergono le isole. Chi non ha accolto l'invito a farsi rinchiudere in quegli eleganti e asettici zoo trasparenti, sa che gli potrebbe accadere qualsiasi cosa. Con mia vasta sorpresa ho dovuto accettare che non siamo nemmeno così pochi, noi nuovi eremiti, noi spiriti solitari, noi masticatori di voci spente. Le montagne si sono ripopolate di abitanti senza attestato di residenza, pazzi indifferenti al destino delle comunità umane, capaci o meglio, istigati al recupero di stili di vita da antenati, un vivere, nel pieno del XXI secolo, come si abitava il tempo due o trecento, quanto mille anni addietro. Cacciare nel bosco, nutrirsi di uccelli, scavare sotto le radici e aggrapparsi anche a certe credenze, a certi paganesimi umanizzanti, a certe superstizioni che la scienza aveva del tutto, o quasi, seppellito. Ma il vuoto qui sa scavare in profondità.La pioggia picchia sul tetto. Sento le tegole che miagolano. Piedi di ballerine di flamenco sui corpi lucidi dei faggi, assiepati, in circoli, a zig zag, annuvolati. Circondano la baita strappata all'espressione vorace delle radici. Le edere attendono il compiersi del giro della luce come visi di maschere del teatro giapponese. Quanta fatica in quei giorni, quando arrivai, qui, la luce a spilli negli occhi. Stanco di tutta quella vecchia vita ammuffita che stava vegetando nella casa di prima, con quella persona di prima, in quel necrologio di desideri e speranze che mi ero invenato, iniettati nell'abitudine. Pensavo fossero autentici desideri. Autentiche speranze. Invece era tutto previsto, era tutto finto, era tutto parte di quel meccanismo che vede ogni cittadino anzitutto proiettato all'interno di un mercato delle attese e delle necessità. Chi si è sospinto nelle campagne o fra le montagne, ha deciso di ritornare a confezionare, per così dire, la varietà eventuale e possibile dei propri elementari desideri, le speranze, le attese, le… necessità. Queste pareti erano un nido di ragno, il tetto sprofondato dal chiacchiericcio dei merli. In soggiorno radicava soavemente un pioppo gatterino a cui ho tagliato il collo e sradicato il piede, non prima di ringraziare il Sovrano delle Selve che da queste parti è vivo e veleggia fra ramo e ramo. E anche la notte sa visitare i sogni e se vuole trasformarli in incubo. Come dicevo, le antiche superstizioni.La pioggia ha ingrossato il torrente che serpeggia fra le pietre e i muschi, a poche decine di metri di distanza. Quando è così ciarloso il suo corpo fluido è ingrossato, porta a spasso i fianchi larghi, incattiviti, blatera quella sua lingua perigliosa. Nel caso in cui la pioggia non la smettesse, potrebbe sbandare e far visita alle case di noi umani. Un movimento ondoso nelle stalle delle bestie. Non si può mai dire cosa farà un torrente indispettito, allarmato e sbronzato, dopo tutta questa festa delle nubi basse e scure!Vorrei uscire e andare a passeggiare nel bosco. Fra i faggi ve ne sono di vetusti. Vetusto vuol dire vecchio assai, antico. Prima dell'epidemia era una riserva nota ai turisti con uno spiccato interesse ecologico. La domenica, anzitutto. Oggi è uno dei tanti terminali boscosi completamente dimenticati. Magari i ragazzi condividono fotografie degli alberi presenti in questa selva, ma non ci metteranno piede. Non lo sanno, non gli importa. Oramai vivono esistenze asettiche, disincarnate, sono fluidi esistenziali che crescono e invecchiano in uno stato di perenne intoccabilità. Se qualcosa disturba semplicemente si elide. La realtà si è molto rimpicciolita.Quando non piove e fa caldo, talvolta resto a dormire nel cuore del bosco. Nel suo intestino ombroso. Resto lì, dentro, ad ascoltare il cambio di orchestra. Via gli uccelli e i canti e i guaiti diurni. A nascondersi nelle tane, sottopelle, negli anfratti, nei tronchi spaccati. Finché ecco arrivare e diffondersi i suoni dei rapaci notturni, gli strappi improvvisi e muti dei roditori dagli occhi ciechi, le volpi spettrali, i lupi sulle creste più alte che riempiono lo spazio fra la terra e la luna di arcaici motivi religiosi. Se tendi l'orecchio e socchiudi le palpebre li potresti anche percepire.Cosa accade nello spartito notturno di un bosco? Quali note sommergono le altre? Quali pause, quali strumenti, quali e quanti assoli? La necromassa degli alberi spenti, la carne frolla dei decaduti. Le muffe aggrediscono e gli insetti si nutrono, è una trasformazione in assenza che mi ha sempre affascinato, fin da bambino. Gli alberi cadavere diventano più vivi di prima. A quel tempo mio nonno mi conduceva nel bosco e raccontava le storie della guerra, i soldati russi, i soldati tedeschi, i fascisti, anche quelli come lui che avevano combattuto per il re e per il regime fino all'8 settembre. In molti erano tornati a casa, come da una vacanza al mare, non bella, nemmeno comoda, ovviamente. Lo ascoltavo, la sua bocca assiepata di bianco, e credevo, lettera per lettera, al mondo che mi disegnava. Poi ascoltavo il sussurro delle foglie e credevo anche a quello. La matita era leggera e sottile.Ora però tutto è avvolto e insidiato dalla pioggia. La pioggia continua a cadere. La pioggia appesantisce i tetti e schiaccia le case nella terra. Impregna le montagne e le distende, in un mutamento geologico, maestoso, inarrestabile.
Jose Mourinho (Getty Images)