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2021-10-28
Un patto ha trasformato l’Italia nell’apripista dei Paesi del signorsì
Getty images
Stanno aumentando i contagi; il film continua. Come in un kolossal dell'Istituto Luce, l'Italia prosegue imperterrita nella sua produzione cinematografica legata alla pandemia, assegnandosi anche tutti i premi della critica.
C'è da sorridere a volte leggendo le notizie di questi giorni; un primario di cardiochirurgia di Torino che, sue parole, vive con la mascherina incorporata, si è ritrovato positivo a otto mesi dal vaccino e non riesce a capacitarsi su come si sia potuto infettare.
In realtà da sorridere non c'è niente, perché se questo medico, che ha sempre utilizzato, in maniera maniacale, tutte le attenzioni per evitare il contagio ne è rimasto vittima, significa che ormai bisogna convivere con il virus, a prescindere dal vaccino.
E significa che la scelta della Gran Bretagna, dove non esiste nessuna emergenza, è l'unica possibile. Tornare a vivere, curare i malati e non terrorizzare i sani.
Ma qui il film ha preso un'altra piega e i suoi protagonisti non intendono certo cambiare l'unico copione che hanno imparato a memoria da due anni.
È passata sotto traccia la notizia dei due impianti per la produzione di vaccini che stanno nascendo a Monza e ad Anagni; nessuno, tantomeno le multinazionali attente al business, investirebbe mai milioni senza avere la garanzia di un mercato. È lo stesso copione delle mascherine; quando l'allora capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, e molti dei medici diventati poi protagonisti del film ne negavano l'utilità, la Fca e altre realtà imprenditoriali decisero di creare impianti per produrre centinaia di milioni di mascherine al giorno. Che grandi imprenditori, che visionari, quasi come Elon Musk ormai lanciato nello spazio, i nostri grandi capitani d'impresa intravidero che il film sarebbe presto diventato una serie, lunga ma con pochi colpi di scena e quindi le mascherine sarebbero state una grande opportunità.
In pochi dissentono in questo Paese, un Paese in cui molti hanno qualcosa da perdere o vogliono sedersi al nuovo tavolo, fatto di economia del malessere e di varie transizioni, digitali ed ecologiche, totalmente dissociate, soprattutto se imposte in tempi così rapidi, dalla realtà italiana, che non è rappresentata dai quattro grattacieli di Milano, ma è articolata e con tantissime sfumature che ne hanno da sempre rappresentato la forza.
Ma perché l'Italia è la domanda che molti si pongono. Perché l'Italia è così rigida, così militare, così efficiente nel perseguire un obiettivo, quello della vaccinazione generalizzata, visto che siamo sempre stati in fondo a quasi tutte le classifiche legate alle funzioni pubbliche come sanità, giustizia, istruzione etc.? La risposta va forse cercata lontano; era il settembre 2014, quando l'allora ministro della sanità Beatrice Lorenzin, ricevette alla Casa Bianca, durante un Global health summit, un incarico. Il nostro Paese avrebbe guidato le strategie e le campagne vaccinali nel mondo per i successivi cinque anni. Ovvio che in quegli anni, le relazioni, i rapporti e gli accordi presi nel nostro Paese, alla luce del sole o molto più probabilmente in qualche sala meno luminosa andassero in quella direzione, e cioè quella di spingere il più possibile le campagne vaccinali. Chi poteva essere quindi, se non l'Italia, il candidato numero uno tra i Paesi occidentali a fare da apripista alla campagna vaccinale anti Covid, senza se e senza ma?
Se si parte da quel punto è evidente che l'aspetto sanitario sia ormai da molto tempo un problema poco rilevante rispetto a scelte che nulla hanno a che fare con politiche in grado di affrontare e ridurre i danni da coronavirus.
L'Italia è sempre stata un Paese provinciale, ma in questi ultimi 20 mesi è imbarazzante quanto si sia chiusa su sé stessa; i fondi del governo agli organi di informazione per veicolare messaggi pro emergenza infinita sono forse solo un aspetto di questa chiusura. Nessuno parla più di Israele, dove è sempre più evidente il limite di una campagna anti Covid fondata solo sui vaccini, si inventano fandonie sul Regno Unito e sui Paesi dell'est, dove comunque il tasso di mortalità per milione di abitanti è in molti casi inferiore al nostro (ad esempio in Russia il tasso è 1.594 per milione, in Italia 2.186). Cosa c'è dietro questa follia quindi ?
Qual è il patto segreto che si è sottoscritto per trasformare l'Italia? Sono forse i miliardi del Recovery plan, subordinati al raggiungimento di una vaccinazione di tutti i cittadini, per vedere come un popolo possa essere piegato dal potere dello Stato, stravolgendo qualunque principio e diritto che sembrava acquisito fino a venti mesi fa?
Mario Draghi non si può contestare, ha potere assoluto in questo momento; è un uomo determinato, insensibile agli effetti collaterali; la sua strategia di salvataggio della Grecia fu un bagno di sangue per quel Paese. Draghi presidente Bce sarà ricordato come il presidente dei tassi negativi; un provvedimento che ha senso in caso di emergenza, per un periodo limitato, ma che invece è ormai in essere da dieci anni e che ha avuto come esito la transumanza dei risparmi degli italiani dai titoli di Stato, negativi, a titoli molto più rischiosi; il risparmio è diventato una colpa. Quante colpe vengono addossate ai cittadini: non spendono, non stanno chiusi in casa, emettono anidride carbonica, alcuni non si vogliono vaccinare. Il film è ancora lungo.
«A Trieste lo tsunami dei 40.000»
Quello fatto recapitare al governo di Mario Draghi dai camalli di Stefano Puzzer è un ultimatum più che una richiesta: «No green pass e niente obbligo vaccinale, altrimenti la protesta andrà avanti a oltranza». La proposta di un accordo sui tamponi gratuiti, insomma, verrebbe rispedita al mittente. In attesa di una risposta, il corteo di ieri, con un migliaio di manifestanti scortatissimi dalla polizia, è partito da Domio, Comune alle porte dell'area industriale triestina, alle 9.20, e un'ora dopo ha raggiunto il parcheggio della Risiera, non troppo lontano dalle reti che delimitano la zona di proprietà della Siot, azienda scelta come simbolo della protesta per gli interessi economici che rappresenta per lo scalo, a due passi dall'ingresso del Porto. Alle 10 la Questura ha cominciato a fare i primi conti e dai circa 1.000 della prima stima si è passati a 2.000. Gli organizzatori, invece, ritengono che ci fossero 4.000 partecipanti.
In prima fila le pettorine gialle di una cinquantina di portuali ma, stando agli organizzatori, al corteo hanno preso parte anche lavoratori provenienti da altri settori: autisti della Trieste trasporti, operai della Flex e della Wartsila. I più numerosi erano comunque i No green pass, triestini e veneti. Con Puzzer, portavoce del Coordinamento 15 ottobre, alla testa della marcia: «Domani (oggi per chi legge, ndr) avremo la risposta da parte del Consiglio dei ministri e poi deciderà il consiglio del popolo. Se il governo rigetterà le richieste che abbiamo fatto sabato scorso al ministro Stefano Patuanelli noi andremo avanti nella nostra protesta, lo faremo pacificamente, anche in porto, ma sempre con le stesse modalità, senza però bloccare mai nessuno. Noi non siamo qui per mettere in crisi la nostra città, per dar fastidio ai cittadini che non la pensano come noi. Quindi se potremo evitare disagi alla cittadinanza lo faremo sicuramente». L'appuntamento è per oggi alle 17 a Campo San Giacomo, a poca distanza dal centro cittadino. Dal Comitato 15 ottobre è già partita anche una proposta di sciopero del green pass per venerdì. L'invito, per coloro che ne sono provvisti, è di non esibirlo laddove viene richiesto.
Puzzer ha annunciato anche che il Comitato 15 ottobre sta mettendo su «un ufficio tecnico sanitario», una sorta di Cts, «in risposta a quello del governo». E ha fatto sapere che sarà composto da scienziati e da personalità italiane non allineate, i cui nomi, per ora, sono top secret.
Il corteo, tra gli slogan e il ritornello «la gente come noi non molla mai», che è diventato l'inno della protesta, e tra immagini sacre e cartelli «No green pass» e «Libertà», è andato avanti per le vie della città in modo pacifico. Alla tappa finale i manifestanti hanno trovato una barriera di agenti di polizia, pronti a intervenire se qualcuno avesse tentato l'ingresso nell'area del porto. «Volevano creare una trappola a Trieste», ha detto Puzzer riferendosi alla manifestazione annullata perché erano previste infiltrazioni dei black bloc, «ma noi abbiamo la responsabilità anche per tutta la città: volevano creare un G8 di Genova e non lo abbiamo permesso». Secondo il movimento 3V, che ha lanciato nei giorni scorsi la mobilitazione, oggi, però, sono attese 40.000 persone. Ugo Rossi, leader del Movimento 3V a Trieste, ha annunciato: «Replicheremo lo tsunami di oltre 40.000 umani dell'ultima volta» e ha invitato i No green pass da tutta la regione e da tutto il Nord Est con questo richiamo: «No al ricatto lavorativo, no al green pass, no all'obbligo vaccinale, per la libera scelta, per la solidarietà, contro le discriminazioni». L'ennesimo stress test per il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese.
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La scelta della Gran Bretagna, tornare a vivere, curare i malati e non terrorizzare i sani, è l'unica possibile. Ma da noi si seguono linee dettate da altri. E in tanti vogliono sedersi al tavolo dell'economia del malessereRossi, leader del movimento 3V, ha invitato per oggi i No green pass di tutto il Nord Est Per Puzzer, portavoce dei portuali, sta nascendo un Cts alternativo a quello del governoLo speciale contiene due articoli Stanno aumentando i contagi; il film continua. Come in un kolossal dell'Istituto Luce, l'Italia prosegue imperterrita nella sua produzione cinematografica legata alla pandemia, assegnandosi anche tutti i premi della critica.C'è da sorridere a volte leggendo le notizie di questi giorni; un primario di cardiochirurgia di Torino che, sue parole, vive con la mascherina incorporata, si è ritrovato positivo a otto mesi dal vaccino e non riesce a capacitarsi su come si sia potuto infettare.In realtà da sorridere non c'è niente, perché se questo medico, che ha sempre utilizzato, in maniera maniacale, tutte le attenzioni per evitare il contagio ne è rimasto vittima, significa che ormai bisogna convivere con il virus, a prescindere dal vaccino.E significa che la scelta della Gran Bretagna, dove non esiste nessuna emergenza, è l'unica possibile. Tornare a vivere, curare i malati e non terrorizzare i sani.Ma qui il film ha preso un'altra piega e i suoi protagonisti non intendono certo cambiare l'unico copione che hanno imparato a memoria da due anni.È passata sotto traccia la notizia dei due impianti per la produzione di vaccini che stanno nascendo a Monza e ad Anagni; nessuno, tantomeno le multinazionali attente al business, investirebbe mai milioni senza avere la garanzia di un mercato. È lo stesso copione delle mascherine; quando l'allora capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, e molti dei medici diventati poi protagonisti del film ne negavano l'utilità, la Fca e altre realtà imprenditoriali decisero di creare impianti per produrre centinaia di milioni di mascherine al giorno. Che grandi imprenditori, che visionari, quasi come Elon Musk ormai lanciato nello spazio, i nostri grandi capitani d'impresa intravidero che il film sarebbe presto diventato una serie, lunga ma con pochi colpi di scena e quindi le mascherine sarebbero state una grande opportunità.In pochi dissentono in questo Paese, un Paese in cui molti hanno qualcosa da perdere o vogliono sedersi al nuovo tavolo, fatto di economia del malessere e di varie transizioni, digitali ed ecologiche, totalmente dissociate, soprattutto se imposte in tempi così rapidi, dalla realtà italiana, che non è rappresentata dai quattro grattacieli di Milano, ma è articolata e con tantissime sfumature che ne hanno da sempre rappresentato la forza.Ma perché l'Italia è la domanda che molti si pongono. Perché l'Italia è così rigida, così militare, così efficiente nel perseguire un obiettivo, quello della vaccinazione generalizzata, visto che siamo sempre stati in fondo a quasi tutte le classifiche legate alle funzioni pubbliche come sanità, giustizia, istruzione etc.? La risposta va forse cercata lontano; era il settembre 2014, quando l'allora ministro della sanità Beatrice Lorenzin, ricevette alla Casa Bianca, durante un Global health summit, un incarico. Il nostro Paese avrebbe guidato le strategie e le campagne vaccinali nel mondo per i successivi cinque anni. Ovvio che in quegli anni, le relazioni, i rapporti e gli accordi presi nel nostro Paese, alla luce del sole o molto più probabilmente in qualche sala meno luminosa andassero in quella direzione, e cioè quella di spingere il più possibile le campagne vaccinali. Chi poteva essere quindi, se non l'Italia, il candidato numero uno tra i Paesi occidentali a fare da apripista alla campagna vaccinale anti Covid, senza se e senza ma?Se si parte da quel punto è evidente che l'aspetto sanitario sia ormai da molto tempo un problema poco rilevante rispetto a scelte che nulla hanno a che fare con politiche in grado di affrontare e ridurre i danni da coronavirus.L'Italia è sempre stata un Paese provinciale, ma in questi ultimi 20 mesi è imbarazzante quanto si sia chiusa su sé stessa; i fondi del governo agli organi di informazione per veicolare messaggi pro emergenza infinita sono forse solo un aspetto di questa chiusura. Nessuno parla più di Israele, dove è sempre più evidente il limite di una campagna anti Covid fondata solo sui vaccini, si inventano fandonie sul Regno Unito e sui Paesi dell'est, dove comunque il tasso di mortalità per milione di abitanti è in molti casi inferiore al nostro (ad esempio in Russia il tasso è 1.594 per milione, in Italia 2.186). Cosa c'è dietro questa follia quindi ? Qual è il patto segreto che si è sottoscritto per trasformare l'Italia? Sono forse i miliardi del Recovery plan, subordinati al raggiungimento di una vaccinazione di tutti i cittadini, per vedere come un popolo possa essere piegato dal potere dello Stato, stravolgendo qualunque principio e diritto che sembrava acquisito fino a venti mesi fa?Mario Draghi non si può contestare, ha potere assoluto in questo momento; è un uomo determinato, insensibile agli effetti collaterali; la sua strategia di salvataggio della Grecia fu un bagno di sangue per quel Paese. Draghi presidente Bce sarà ricordato come il presidente dei tassi negativi; un provvedimento che ha senso in caso di emergenza, per un periodo limitato, ma che invece è ormai in essere da dieci anni e che ha avuto come esito la transumanza dei risparmi degli italiani dai titoli di Stato, negativi, a titoli molto più rischiosi; il risparmio è diventato una colpa. Quante colpe vengono addossate ai cittadini: non spendono, non stanno chiusi in casa, emettono anidride carbonica, alcuni non si vogliono vaccinare. 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In attesa di una risposta, il corteo di ieri, con un migliaio di manifestanti scortatissimi dalla polizia, è partito da Domio, Comune alle porte dell'area industriale triestina, alle 9.20, e un'ora dopo ha raggiunto il parcheggio della Risiera, non troppo lontano dalle reti che delimitano la zona di proprietà della Siot, azienda scelta come simbolo della protesta per gli interessi economici che rappresenta per lo scalo, a due passi dall'ingresso del Porto. Alle 10 la Questura ha cominciato a fare i primi conti e dai circa 1.000 della prima stima si è passati a 2.000. Gli organizzatori, invece, ritengono che ci fossero 4.000 partecipanti. In prima fila le pettorine gialle di una cinquantina di portuali ma, stando agli organizzatori, al corteo hanno preso parte anche lavoratori provenienti da altri settori: autisti della Trieste trasporti, operai della Flex e della Wartsila. I più numerosi erano comunque i No green pass, triestini e veneti. Con Puzzer, portavoce del Coordinamento 15 ottobre, alla testa della marcia: «Domani (oggi per chi legge, ndr) avremo la risposta da parte del Consiglio dei ministri e poi deciderà il consiglio del popolo. Se il governo rigetterà le richieste che abbiamo fatto sabato scorso al ministro Stefano Patuanelli noi andremo avanti nella nostra protesta, lo faremo pacificamente, anche in porto, ma sempre con le stesse modalità, senza però bloccare mai nessuno. Noi non siamo qui per mettere in crisi la nostra città, per dar fastidio ai cittadini che non la pensano come noi. Quindi se potremo evitare disagi alla cittadinanza lo faremo sicuramente». L'appuntamento è per oggi alle 17 a Campo San Giacomo, a poca distanza dal centro cittadino. Dal Comitato 15 ottobre è già partita anche una proposta di sciopero del green pass per venerdì. L'invito, per coloro che ne sono provvisti, è di non esibirlo laddove viene richiesto. Puzzer ha annunciato anche che il Comitato 15 ottobre sta mettendo su «un ufficio tecnico sanitario», una sorta di Cts, «in risposta a quello del governo». E ha fatto sapere che sarà composto da scienziati e da personalità italiane non allineate, i cui nomi, per ora, sono top secret. Il corteo, tra gli slogan e il ritornello «la gente come noi non molla mai», che è diventato l'inno della protesta, e tra immagini sacre e cartelli «No green pass» e «Libertà», è andato avanti per le vie della città in modo pacifico. Alla tappa finale i manifestanti hanno trovato una barriera di agenti di polizia, pronti a intervenire se qualcuno avesse tentato l'ingresso nell'area del porto. «Volevano creare una trappola a Trieste», ha detto Puzzer riferendosi alla manifestazione annullata perché erano previste infiltrazioni dei black bloc, «ma noi abbiamo la responsabilità anche per tutta la città: volevano creare un G8 di Genova e non lo abbiamo permesso». Secondo il movimento 3V, che ha lanciato nei giorni scorsi la mobilitazione, oggi, però, sono attese 40.000 persone. Ugo Rossi, leader del Movimento 3V a Trieste, ha annunciato: «Replicheremo lo tsunami di oltre 40.000 umani dell'ultima volta» e ha invitato i No green pass da tutta la regione e da tutto il Nord Est con questo richiamo: «No al ricatto lavorativo, no al green pass, no all'obbligo vaccinale, per la libera scelta, per la solidarietà, contro le discriminazioni». L'ennesimo stress test per il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese.
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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Ecco #DimmiLaVerità del 10 dicembre 2025. Con il nostro Alessandro Rico analizziamo gli ostacoli che molti leader europei mettono sulla strada della pace in Ucraina.