2021-10-28
Un patto ha trasformato l’Italia nell’apripista dei Paesi del signorsì
La scelta della Gran Bretagna, tornare a vivere, curare i malati e non terrorizzare i sani, è l'unica possibile. Ma da noi si seguono linee dettate da altri. E in tanti vogliono sedersi al tavolo dell'economia del malessereRossi, leader del movimento 3V, ha invitato per oggi i No green pass di tutto il Nord Est Per Puzzer, portavoce dei portuali, sta nascendo un Cts alternativo a quello del governoLo speciale contiene due articoli Stanno aumentando i contagi; il film continua. Come in un kolossal dell'Istituto Luce, l'Italia prosegue imperterrita nella sua produzione cinematografica legata alla pandemia, assegnandosi anche tutti i premi della critica.C'è da sorridere a volte leggendo le notizie di questi giorni; un primario di cardiochirurgia di Torino che, sue parole, vive con la mascherina incorporata, si è ritrovato positivo a otto mesi dal vaccino e non riesce a capacitarsi su come si sia potuto infettare.In realtà da sorridere non c'è niente, perché se questo medico, che ha sempre utilizzato, in maniera maniacale, tutte le attenzioni per evitare il contagio ne è rimasto vittima, significa che ormai bisogna convivere con il virus, a prescindere dal vaccino.E significa che la scelta della Gran Bretagna, dove non esiste nessuna emergenza, è l'unica possibile. Tornare a vivere, curare i malati e non terrorizzare i sani.Ma qui il film ha preso un'altra piega e i suoi protagonisti non intendono certo cambiare l'unico copione che hanno imparato a memoria da due anni.È passata sotto traccia la notizia dei due impianti per la produzione di vaccini che stanno nascendo a Monza e ad Anagni; nessuno, tantomeno le multinazionali attente al business, investirebbe mai milioni senza avere la garanzia di un mercato. È lo stesso copione delle mascherine; quando l'allora capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, e molti dei medici diventati poi protagonisti del film ne negavano l'utilità, la Fca e altre realtà imprenditoriali decisero di creare impianti per produrre centinaia di milioni di mascherine al giorno. Che grandi imprenditori, che visionari, quasi come Elon Musk ormai lanciato nello spazio, i nostri grandi capitani d'impresa intravidero che il film sarebbe presto diventato una serie, lunga ma con pochi colpi di scena e quindi le mascherine sarebbero state una grande opportunità.In pochi dissentono in questo Paese, un Paese in cui molti hanno qualcosa da perdere o vogliono sedersi al nuovo tavolo, fatto di economia del malessere e di varie transizioni, digitali ed ecologiche, totalmente dissociate, soprattutto se imposte in tempi così rapidi, dalla realtà italiana, che non è rappresentata dai quattro grattacieli di Milano, ma è articolata e con tantissime sfumature che ne hanno da sempre rappresentato la forza.Ma perché l'Italia è la domanda che molti si pongono. Perché l'Italia è così rigida, così militare, così efficiente nel perseguire un obiettivo, quello della vaccinazione generalizzata, visto che siamo sempre stati in fondo a quasi tutte le classifiche legate alle funzioni pubbliche come sanità, giustizia, istruzione etc.? La risposta va forse cercata lontano; era il settembre 2014, quando l'allora ministro della sanità Beatrice Lorenzin, ricevette alla Casa Bianca, durante un Global health summit, un incarico. Il nostro Paese avrebbe guidato le strategie e le campagne vaccinali nel mondo per i successivi cinque anni. Ovvio che in quegli anni, le relazioni, i rapporti e gli accordi presi nel nostro Paese, alla luce del sole o molto più probabilmente in qualche sala meno luminosa andassero in quella direzione, e cioè quella di spingere il più possibile le campagne vaccinali. Chi poteva essere quindi, se non l'Italia, il candidato numero uno tra i Paesi occidentali a fare da apripista alla campagna vaccinale anti Covid, senza se e senza ma?Se si parte da quel punto è evidente che l'aspetto sanitario sia ormai da molto tempo un problema poco rilevante rispetto a scelte che nulla hanno a che fare con politiche in grado di affrontare e ridurre i danni da coronavirus.L'Italia è sempre stata un Paese provinciale, ma in questi ultimi 20 mesi è imbarazzante quanto si sia chiusa su sé stessa; i fondi del governo agli organi di informazione per veicolare messaggi pro emergenza infinita sono forse solo un aspetto di questa chiusura. Nessuno parla più di Israele, dove è sempre più evidente il limite di una campagna anti Covid fondata solo sui vaccini, si inventano fandonie sul Regno Unito e sui Paesi dell'est, dove comunque il tasso di mortalità per milione di abitanti è in molti casi inferiore al nostro (ad esempio in Russia il tasso è 1.594 per milione, in Italia 2.186). Cosa c'è dietro questa follia quindi ? Qual è il patto segreto che si è sottoscritto per trasformare l'Italia? Sono forse i miliardi del Recovery plan, subordinati al raggiungimento di una vaccinazione di tutti i cittadini, per vedere come un popolo possa essere piegato dal potere dello Stato, stravolgendo qualunque principio e diritto che sembrava acquisito fino a venti mesi fa?Mario Draghi non si può contestare, ha potere assoluto in questo momento; è un uomo determinato, insensibile agli effetti collaterali; la sua strategia di salvataggio della Grecia fu un bagno di sangue per quel Paese. Draghi presidente Bce sarà ricordato come il presidente dei tassi negativi; un provvedimento che ha senso in caso di emergenza, per un periodo limitato, ma che invece è ormai in essere da dieci anni e che ha avuto come esito la transumanza dei risparmi degli italiani dai titoli di Stato, negativi, a titoli molto più rischiosi; il risparmio è diventato una colpa. Quante colpe vengono addossate ai cittadini: non spendono, non stanno chiusi in casa, emettono anidride carbonica, alcuni non si vogliono vaccinare. Il film è ancora lungo.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/un-patto-ha-trasformato-litalia-nellapripista-dei-paesi-del-signorsi-2655418703.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="a-trieste-lo-tsunami-dei-40-000" data-post-id="2655418703" data-published-at="1635400793" data-use-pagination="False"> «A Trieste lo tsunami dei 40.000» Quello fatto recapitare al governo di Mario Draghi dai camalli di Stefano Puzzer è un ultimatum più che una richiesta: «No green pass e niente obbligo vaccinale, altrimenti la protesta andrà avanti a oltranza». La proposta di un accordo sui tamponi gratuiti, insomma, verrebbe rispedita al mittente. In attesa di una risposta, il corteo di ieri, con un migliaio di manifestanti scortatissimi dalla polizia, è partito da Domio, Comune alle porte dell'area industriale triestina, alle 9.20, e un'ora dopo ha raggiunto il parcheggio della Risiera, non troppo lontano dalle reti che delimitano la zona di proprietà della Siot, azienda scelta come simbolo della protesta per gli interessi economici che rappresenta per lo scalo, a due passi dall'ingresso del Porto. Alle 10 la Questura ha cominciato a fare i primi conti e dai circa 1.000 della prima stima si è passati a 2.000. Gli organizzatori, invece, ritengono che ci fossero 4.000 partecipanti. In prima fila le pettorine gialle di una cinquantina di portuali ma, stando agli organizzatori, al corteo hanno preso parte anche lavoratori provenienti da altri settori: autisti della Trieste trasporti, operai della Flex e della Wartsila. I più numerosi erano comunque i No green pass, triestini e veneti. Con Puzzer, portavoce del Coordinamento 15 ottobre, alla testa della marcia: «Domani (oggi per chi legge, ndr) avremo la risposta da parte del Consiglio dei ministri e poi deciderà il consiglio del popolo. Se il governo rigetterà le richieste che abbiamo fatto sabato scorso al ministro Stefano Patuanelli noi andremo avanti nella nostra protesta, lo faremo pacificamente, anche in porto, ma sempre con le stesse modalità, senza però bloccare mai nessuno. Noi non siamo qui per mettere in crisi la nostra città, per dar fastidio ai cittadini che non la pensano come noi. Quindi se potremo evitare disagi alla cittadinanza lo faremo sicuramente». L'appuntamento è per oggi alle 17 a Campo San Giacomo, a poca distanza dal centro cittadino. Dal Comitato 15 ottobre è già partita anche una proposta di sciopero del green pass per venerdì. L'invito, per coloro che ne sono provvisti, è di non esibirlo laddove viene richiesto. Puzzer ha annunciato anche che il Comitato 15 ottobre sta mettendo su «un ufficio tecnico sanitario», una sorta di Cts, «in risposta a quello del governo». E ha fatto sapere che sarà composto da scienziati e da personalità italiane non allineate, i cui nomi, per ora, sono top secret. Il corteo, tra gli slogan e il ritornello «la gente come noi non molla mai», che è diventato l'inno della protesta, e tra immagini sacre e cartelli «No green pass» e «Libertà», è andato avanti per le vie della città in modo pacifico. Alla tappa finale i manifestanti hanno trovato una barriera di agenti di polizia, pronti a intervenire se qualcuno avesse tentato l'ingresso nell'area del porto. «Volevano creare una trappola a Trieste», ha detto Puzzer riferendosi alla manifestazione annullata perché erano previste infiltrazioni dei black bloc, «ma noi abbiamo la responsabilità anche per tutta la città: volevano creare un G8 di Genova e non lo abbiamo permesso». Secondo il movimento 3V, che ha lanciato nei giorni scorsi la mobilitazione, oggi, però, sono attese 40.000 persone. Ugo Rossi, leader del Movimento 3V a Trieste, ha annunciato: «Replicheremo lo tsunami di oltre 40.000 umani dell'ultima volta» e ha invitato i No green pass da tutta la regione e da tutto il Nord Est con questo richiamo: «No al ricatto lavorativo, no al green pass, no all'obbligo vaccinale, per la libera scelta, per la solidarietà, contro le discriminazioni». L'ennesimo stress test per il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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