2021-06-10
Un indagato in Congo per Attanasio
Luca Attanasio in Congo (Ansa)
Secondo la Procura, l'ambasciatore fu ucciso da una banda criminale poiché viaggiava su un convoglio poco sicuro. Iscritto al registro un funzionario africano dell'Onu. Che ci fossero state delle negligenze e una sottovalutazione dei rischi da parte di chi aveva organizzato la missione, era apparso chiaro fin dall'inizio. Ora i magistrati della Procura di Roma, agli ordini di Michele Prestipino e coordinati dal pm Sergio Colaiocco, hanno messo nero su bianco quelle che a loro avviso sono state le maggiori responsabilità per la mancata protezione dell'ambasciatore italiano in Congo Luca Attanasio e del carabiniere addetto alla sua protezione, Vittorio Iacovacci, assassinati da una banda armata lo scorso 22 febbraio nell'area del Parco di Virunga, nel Nordest del paese. Secondo gli inquirenti della Procura di Roma, infatti, se gli organizzatori del convoglio che dalla capitale della Repubblica Democratica del Congo, Kinshasa, doveva portare Attanasio e altre persone a visitare una scuola finanziata da un programma del World Food Program, avessero adottato le procedure standard di sicurezza previste per questi casi, i nostri due connazionali si sarebbero potuti salvare.A quanto pare, sarebbe stato proprio un funzionario dello stesso World Food Program a non aver colpevolmente applicato il protocollo di sicurezza prescritto dall'Onu per le zone a rischio, esponendo così il nostro diplomatico e l'agente dell'Arma a un rischio purtroppo rivelatosi fatale. Il funzionario, di nazionalità congolese, è stato pertanto iscritto nel registro degli indagati, dopo essere stato ascoltato dai magistrati, che nel corso di tre mesi hanno proceduto a una serie di audizioni di ufficiali Onu e di testimoni oculari, e hanno accluso agli atti dell'inchiesta anche un dossier delle Nazioni Unite. Le cui conclusioni sono sostanzialmente le stesse cui è giunta la Procura capitolina, e cioè che da parte del citato responsabile della sicurezza del convoglio vi siano state una serie di omissioni, la più grave delle quali è stata quella di aver disatteso le procedure operative standard - denominate Sop - che definiscono le regole alle quali attenersi per missioni di quel tipo. Nello specifico, Attanasio e Iacovacci non hanno potuto contare su alcun tipo di copertura armata né su una staffetta di collegamento, divenendo così un bersaglio sin troppo facile per le numerose bande armate presenti nella zona dell'attentato. Colaiocco e gli altri inquirenti hanno anche ricostruito, grazie al lavoro dei Ros, l'esatta dinamica dei fatti: secondo quanto accertato dagli investigatori i due italiani erano stati sequestrati da una banda composta da sei persone armate di kalashnikov e machete, che hanno immediatamente freddato l'autista del veicolo su cui viaggiava l'ambasciatore. Una volta prelevati dalla jeep, sono stati portati all'interno della foresta ma dopo circa un chilometro di tragitto, mentre risalivano una montagna, sono stati raggiunti dai ranger del parco di Virunga. A questo punto si è scatenata una sparatoria, nella quale Attanasio e Iacovacci hanno avuto la peggio, nonostante il tentativo del carabiniere di allontanare l'ambasciatore della linea del fuoco. Tra le persone ascoltate dai Ros in Congo, anche il vicedirettore del World Food Program del Congo, Rocco Leone, sopravvissuto al tentativo di sequestro, che ha confermato quanto dedotto dagli investigatori dopo le autopsie delle vittime.