2022-07-17
«Un grande sarto è anche un po’ psicologo»
Gaetano Aloisio, il maestro che veste sceicchi e reali: «Ogni capo è fatto su misura per un singolo cliente: devi capire che cosa cerca davvero. Essere bravi significa trasmettere all’abito la personalità di chi lo indossa. Ora propongo pure un marchio prêt-à-porter di lusso».Partire da Rocca di Neto in provincia di Crotone a 16 anni con in tasca i primi rudimenti del taglio e cucito e diventare il più importante sarto al mondo non è così scontato. Ma per Gaetano Aloisio (classe 1963), maestro sarto italiano, è stata la conclusione di tanta fatica, dedizione, amore e passione per il proprio lavoro. Oggi Aloisio è il sarto speciale di reali, tycoon, capi di Stato, sceicchi, sultani, emiri, principi. Nomi? Per carità, la rigorosissima privacy non può essere violata. Al punto che, racconta, «un amico mi fece conoscere una persona dei servizi segreti il quale voleva comperare la mia agenda, non i miei abiti». Quando ha iniziato?«A 11 anni, al mattino andavo a scuola e al pomeriggio frequentavo la sartoria perché volevo apprendere un mestiere. Sono stato fortunato, i tempi erano molto diversi da quelli attuali. Nessuno permetterebbe oggi a un bimbo di entrare in laboratorio. Tutti i ragazzi del mio paese andavano a scuola e al contempo lavoravano. Capii che mi piaceva sempre più, ero portato. Mi veniva molto facile e a 16 anni feci la scelta di lavorare anche per motivi famigliari. Partii da solo per Milano dove rimasi quattro anni lavorando in una delle più grandi sartorie, acquisendo una grande conoscenza del su misura. A 20 mi trasferii a Roma».Lasciò il certo per l’incerto.«Volevo fare esperienze diverse, tanto che lavoravo in una famosa sartoria romana e nel frattempo frequentavo le scuole di taglio all’Accademia. A 22 anni vinsi il concorso Le forbici d’oro, premio di solito assegnato a sarti affermati e più anziani. Fu un grande stimolo che mi caricò di responsabilità: ci fu la presa di coscienza delle mie capacità e volli da subito puntare in alto. Così a 27 anni aprii la mia prima sartoria a Roma, acquisita da un sarto che andava in pensione».Traguardo raggiunto.«Da un lato sì. La mia clientela era fatta di politici ma con Tangentopoli ci fu la polverizzazione di molti di loro. Ma fu anche una svolta perché a quel punto ho iniziato ad avere nuove idee. Ero conosciuto anche all’estero: pensai di cominciare a viaggiare e a fare quello che un sarto, un artigiano non aveva mai fatto, ovvero andare a conquistare il mercato. Fui il primo a recarmi all'estero come sarto e a trovare i miei clienti. Sono partito da Parigi grazie a un cliente, persona molto importante, che mi fece da ambasciatore presentandomi a tanti altri». È cambiata la sartoria nel tempo?«Radicalmente. Sono stato un precursore: da una sartoria artigianale dove il sarto tecnico stava nel laboratorio ad aspettare il cliente siamo passati a un sarto imprenditore che ha una visione, cerca i mercati, organizza un laboratorio». Non c’è più l’aspetto romantico.«Può essere, ma le esperienze che vivo con il mio lavoro non me lo fanno mancare. Vado nei palazzi più importanti del mondo dove è pressoché impossibile entrare, viaggio con gli arei privati, ho modo di frequentare persone di alto rango da cui c’è sempre da imparare». Perché farsi fare un abito da un sarto?«Il sarto influisce su tante cose. Sull’altezza, sulla grossezza, sull’umore del cliente. Persone che al mattino non hanno tempo di riflettere devono indossare capi che li facciano sentire a proprio agio, per questo vengono da noi. Non è un caso che per un abito servano almeno 70 ore di lavoro, in un anno siamo vicini ai 1.000 capi tutti fatti a mano».Se mi dovesse descrivere il suo stile?«Creo abiti unici, ogni capo è fatto per un cliente non per i clienti. La differenza spesso tra me e i miei colleghi è che loro confezionano una giacca, io la giacca solo per quel cliente al quale faccio anche uno studio psicologico per capire le sue sensazioni. Cerco di migliorarlo fisicamente, vedo un corpo e da lì parto».Studio psicologico in che senso?«Si possono percepire alcuni lati del carattere della persona. Un esempio: si veste da me un dittatore per il quale realizzo una spalla importante perché ha bisogno di dimostrare la sua potenza, un poco più larga per esprimere la sua forza. Alle persone timide non posso proporre un abito eccentrico. La bravura del sarto è riuscire a trasmettere la personalità del cliente nell’abito». Tessuti straordinari, ovviamente.«Il meglio di Biella e stoffe inglesi per gli abiti. Sete esclusive di Como per le cravatte, pezzi unici, al massimo due con la medesima stampa. Ho un cliente che ogni anno fa 500/600 cravatte ed esaurisce il campionario che ogni tre mesi viene rinnovato». All’evento per i 30 anni della sartoria è stato presentato il nuovo marchio retail. «Un processo naturale è stato quello di allargare gli orizzonti, per questo abbiamo creato un prêt-à-porter di lusso fatto di materiali esclusivi e artigianalmente. Rispecchia il prodotto del su misura e si dà al cliente quel capo pronto adatto a lui. Si arriva alla personalizzazione della piccola mini collezione: la adattiamo alle esigenze creando capi unici anche in questo caso. Nulla se non il meglio. Nel 2020 ha fatto il suo ingresso nel gruppo Aloisio la Bottega Banzola per la produzione di calzature Aloisio Banzola, completamente fatte a mano, e nel 2021 è nata Aloisio amiceria».Non ha mai vestito la donna?«Quando realizziamo un capo da uomo cerchiamo di raggiungere la perfezione, ma per creare un capo da donna bisogna anche avere tanta fantasia. Ci ho provato, buoni risultati ma è un mondo che preferisco lasciare ad altri. Il migliore è stato Yves Saint Laurent».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)