2022-09-01
L’Ue conferma: il Pd affossò il gasdotto Galsi
Enrico Rossi (Getty Images)
Bruxelles mette nero su bianco che il progetto che avrebbe potuto portarci il gas dell’Algeria era stato approvato e finanziato. Fu il governatore dem della Toscana, Enrico Rossi, a disinteressarsene. La leghista Susanna Ceccardi accusa: «Danno incalcolabile».Ieri La Verità ha ricostruito la storia del progetto Galsi (Gasdotto Algeria-Sardegna-Italia) che avrebbe dovuto importare 8 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno passando in Sardegna per poi raggiungere la Toscana, vicino a Piombino. Avrebbe perché, come abbiamo raccontato, il Galsi è stato fatto saltare dalle manine del Pd mentre nel frattempo stringeva accordi con Mosca. Sul caso del gasdotto mai nato a fine luglio l’europarlamentare della Lega, Susanna Ceccardi, ha presentato un’interrogazione alla Commissione Ue chiedendo a Bruxelles di chiarire tre punti: lo stato di progettazione del gasdotto e le ragioni per le quali non è stato realizzato; se i finanziamenti europei sono stati stanziati e come queste risorse, a seguito dello stop al procedimento del progetto, sono state eventualmente reindirizzate; se, alla luce dell’attuale grave crisi energetica sia possibile riconsiderare la realizzazione del progetto. Ebbene, la risposta alle domande dell’eurodeputata è arrivata il 24 agosto dalla commissaria europea per l’energia, Kadri Simson. Nella lettera si fa una lunga premessa confermando che il gasdotto faceva parte del piano europeo di ripresa economica del 2010 e ha ricevuto un finanziamento di 120 milioni. E poi si spiega: «Nonostante il sostegno finanziario, il progetto non ha compiuto i progressi necessari e la sovvenzione ha dovuto essere revocata nel 2014. I fondi sono tornati al bilancio dell’Ue. Nel 2013 e nel 2015 il Galsi ha anche ottenuto lo status di progetto di interesse comune in quanto riconosciuto contribuire alla diversificazione delle forniture e delle rotte del gas verso il mercato europeo», prosegue la Simson. «Nel maggio 2022 la Commissione ha quindi proposto il piano REPowerEU, in cui è presentato il fabbisogno di infrastrutture con un valore aggiunto europeo. I progetti relativi al gas sono elencati nell’allegato 3 del piano, che è stato elaborato in seguito a un’ampia valutazione condotta dalla Commissione con l’ausilio della Rete europea dei gestori dei sistemi di trasporto del gas e discusso con gli Stati membri in riunioni regionali ad alto livello», viene aggiunto. E poi la conclusione, disarmante: «Il Galsi non figura in questo processo. Nulla impedisce tuttavia agli Stati membri di costruire infrastrutture supplementari per il gas nel rispetto dei loro obiettivi climatici a lungo termine. La Commissione raccomanda pertanto all’onorevole deputata di rivolgersi alle autorità italiane per ulteriori informazioni». Insomma, da Bruxelles è arrivata la conferma, nero su bianco, che il progetto Galsi aveva tutto, in termini di finanziamenti e di approvazione da parte della Ue, per essere realizzato. «Se ciò non è accaduto, è colpa delle scelte della giunta regionale toscana, guidata dal Pd, che non ha mai concesso le autorizzazioni né ha mai mostrato interesse per quest’opera preferendo lasciarla cadere nel vuoto. Il danno che hanno procurato è incalcolabile. Oltre ad aver perso un finanziamento che già inizialmente era di 120 milioni, dobbiamo ricorrere ai rigassificatori che col Gnl ci costano molto di più. L’Italia oggi è alla ricerca di fonti alternative al gas russo, che ha portato all’accordo con l’Algeria. Ma proprio dall’Algeria sarebbe potuto partire quel gasdotto, che ora avrebbe evitato al territorio di Livorno di ritrovarsi con due rigassificatori», sottolinea la Ceccardi. Ricordando che sul Galsi era intervenuto anche il consigliere regionale, sempre della Lega, Marco Landi, con un’interrogazione presentata il 26 maggio per conoscere la situazione relativa al progetto (e una mozione che non è stata ancora discussa). La risposta dell’assessore all’ambiente, Monia Monni? «Nella posizione rimessa a suo tempo dalla Regione Toscana erano state richieste, quali misure compensative per la realizzazione dell’opera, una condotta sottomarina per la metanizzazione dell’Isola d’Elba e un accordo fra Regione e Galsi per forniture ad un prezzo favorevole di gas per le aziende sulla costa. La società Galsi non accettò le indicazioni della Regione Toscana e neanche propose un credibile quadro di misure alternative. Successivamente detta società è stata messa in liquidazione: il liquidatore ha chiesto di voler disporre l’archiviazione della domanda presentata il 31 luglio 2008 per il rilascio dell’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio delle opere del progetto Galsi ricadenti sotto la giurisdizione italiana. Il 1 marzo 2021 il MiTe ha comunicato a Regione Toscana e al liquidatore della società Galsi di aver disposto l’archiviazione del procedimento autorizzativo». Insomma, il gasdotto aveva già ricevuto nel 2011 il decreto di Via (valutazione di impatto ambientale) dal governo Berlusconi ma a farlo saltare è stata la Regione Toscana, al tempo amministrata da Enrico Rossi (era in quota Pd). Poi anche la Regione Sardegna (guidata dal piddino Pigliaru) nel 2014 ha dato una mano deliberando l’uscita dalla finanziaria regionale Sfirs e dunque anche dal consorzio Galsi. In tutto questo tempo quanto gas avremmo avuto in più?
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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