2021-12-01
L’Ue ritira la guida per il Natale senza Gesù
Ursula von der Leyen (Getty Images)
La commissaria per l’Uguaglianza costretta a rimangiarsi l’orwelliano manuale interno per la «comunicazione inclusiva». Bruxelles è corsa ai ripari dopo 24 ore passate nel ridicolo per il divieto di nominare le feste cristiane. «Documento non maturo».Éric Zemmour si candida per l’Eliseo. L’annuncio in un video pieno di rimandi a eroi nazionali e immagini anti immigrati.Lo speciale contiene due articoli.«Buon solstizio d’inverno», con immagine di tundra e renne sullo sfondo. «Felice vacanza di fine anno» con foto degli alluci dell’ingegnere informatico alle Seychelles. Le tipografie stavano cominciando a rifare i biglietti d’auguri quando è arrivato il dietrofront: gli euroburocrati hanno deciso che in Occidente si può ancora dire e scrivere Buon Natale. La transizione lessicale è durata 24 ore, due passi nel delirio. Tanto ha impiegato la Commissione a capire quanto fosse ridicolo il suo ultimo diktat nel segno del politicamente corretto, e a innestare la retromarcia: «Non è un documento maturo e non soddisfa tutti gli standard di qualità. Quindi viene ritirato».Le linee guida della «comunicazione inclusiva» finiscono nel tritadocumenti e l’Europa delle baronesse e delle parrucche incipriate finisce nelle vignette di tutti i giornali del continente. Mentre la variante omicron svolazza sul panettone e l’economia rischia una nuova gelata, perfino al Parlamento europeo vince il buonsenso. Per una volta politici, funzionari, impiegati, addetti stampa e commessi tirano un sospiro di sollievo: la micidiale neolingua progressista non li inseguirà fin dentro le lettere di auguri. A quel documento di 32 pagine a circolazione interna intitolato «Union of equality» (altra sfumatura comica, doveva rimanere segreto) si sono ribellati tutti. Di conseguenza è ancora possibile utilizzare nomi di genere come operai o poliziotti, cominciare una frase o una conferenza con Signori e Signore, scrivere «colonizzazione su Marte» e non «insediamento su Marte» (non si rischia più di ferire la sensibilità woke). E soprattutto ci è consentito di nuovo celebrare le vacanze natalizie, anche se non tutti festeggiano il Natale. Quanto ai nomi, si può continuare a chiamarsi Giovanni e Maria, non è necessario ribattezzarsi Marika o Giulio per non ferire i musulmani. Per arrivare a questa sublime vetta di stupidità non era necessario un brain trust, bastava vedere il film dei Monty Python Brian di Nazareth. Comunque meglio così, anche se la volontà di eliminare le radici cristiane dall’Europa è soltanto rinviata.Poiché dietro una grande idea c’è sempre una persona geniale, la disfatta ha il volto di Helena Delli, la commissaria per l’Uguaglianza, una sosia maltese di Laura Boldrini nella prosopopea e nel curriculum. Incalzata dai vertici di Bruxelles, ha dovuto mettersi al computer e vergare parole che lasciano intuire un orgoglio a mezz’asta. «La mia iniziativa di elaborare linee guida come documento interno aveva uno scopo di raggiungere un obiettivo importante, illustrare la diversità della cultura europea e mostrare la natura inclusiva della Commissione europea verso tutti i ceti sociali e le credenze dei cittadini». Tuttavia? «Tuttavia la versione pubblicata non serve adeguatamente a questo scopo. Non è un documento maturo, richiede chiaramente più lavoro. Ritiro le linee guida e lavorerò ulteriormente». Traduzione a senso: le hanno fatto il mazzo, bocciata su tutta la linea.Ex modella e attrice (fu anche Miss Malta), a 59 anni lady Delli è una pasionaria del genderfluid, la punta di diamante di ogni transizione arcobaleno. L’idea del dossier natalizio contro il Natale è sua e per ottenere questo trionfo ha lavorato anni. Entrata nel parlamento dell’isola con il partito laburista, si è sempre occupata dei diritti della donna e delle libertà civili, temi che le hanno fruttato cinque elezioni consecutive. Se Malta è all’avanguardia sui diritti delle persone intersessuali e sulle leggi in favore delle comunità Lgbtq, il merito è suo. L’attivismo non poteva non attirare l’attenzione dell’Europa dei balocchi e dei desideri, così Ursula von der Leyen l’ha voluta accanto a sé. È un peccato che esprima documenti «non ancora maturi». La signora è nota per la sua tenacia, ci riproverà. Otto mesi fa, quando mise il suo inconfondibile zampino nel «Glossario del linguaggio sensibile», le era andata meglio. Nel senso che nessuno si filò le farneticazioni e nessuno le chiese di smentirle. Allora si accanì contro padre e madre (meglio genitori), contro chi dice «gay» e non «persone gay», contro chi scrive «matrimonio gay» e non «matrimonio egualitario». Per lei il sesso non è biologico ma «assegnato alla nascita», quindi non c’è nulla di più naturale che una «transizione di genere». Chi non si adegua alla neolingua dovrebbe essere avviato a una salutare rieducazione culturale. Siamo sempre lì, nella terra di nessuno fra Michela Murgia e George Orwell.Dopo la ritirata euroinclusiva Giorgia Meloni esulta («Abbiamo fermato la vulgata del politicamente corretto») e Antonio Tajani inneggia all’Europa del buonsenso che «ha ritirato le linee guida per togliere riferimenti a feste e luoghi cristiani». Gianni Vattimo, filosofo ed ex europarlamentare, ricorda: «Quando c’ero io mandavano gli auguri di Natale. Adesso cosa vorrebbero fare, augurare di salvarti dal freddo inverno?». A Bruxelles c’è sempre qualcuno con il pensiero più debole del tuo. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ue-guida-natale-senza-gesu-2655889894.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="zemmour-si-candida-per-leliseo-paese-tradito-da-destra-e-sinistra" data-post-id="2655889894" data-published-at="1638297175" data-use-pagination="False"> Zemmour si candida per l’Eliseo: «Paese tradito da destra e sinistra» Da ieri, il giornalista Éric Zemmour è ufficialmente candidato alle elezioni presidenziali francesi del 2022. Il neo concorrente in corsa per l’Eliseo ha diffuso ieri a mezzogiorno un video, della durata di dieci minuti, sul proprio canale Youtube. Il messaggio alternava immagini del polemista seduto a una scrivania, posta in una biblioteca, alle scene della violenza che quotidianamente vivono interi quartieri «sensibili» delle città francesi. Il tutto inframmezzato da sequenze dedicate ai motivi dell’orgoglio francese. Tra i grandi nomi della storia e della cultura sono stati citati: Santa Giovanna d’Arco, re Luigi XIV, il presidente e generale Charles de Gaulle, gli autori Molière e Racine, o ancora i cantautori Georges Brassens, Charles Aznavour e l’attrice Brigitte Bardot. La Francia decantata dal giornalista è quella dei successi che l’hanno resa una delle prime potenze mondiali: la ricerca scientifica iniziata da Louis Pasteur, la scelta del nucleare, l’aeronautica e il Concorde, ma anche la cucina e l’arte di vivere alla francese. A questi personaggi e punti di forza, Zemmour ha contrapposto «i potenti, le élite, i giornalisti», mentre in video apparivano: la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, l’economista Jacques Attali e il giornalista mainstream francese Yann Barthès. Fin dalle prime frasi si è capito subito che Zemmour ha intenzione di fare sul serio, soprattutto in tema di immigrazione. Con tono grave - che ricordava quello del generale De Gaulle su Radio Londra durante la seconda guerra mondiale - il candidato presidente ha elencato tutte le ragioni della sua discesa in campo. «Perché i nostri figli non conoscano la barbarie, le nostre figlie non siano velate, perché i francesi si sentano di nuovo a casa loro, ho deciso di candidarmi alla presidenza della Repubblica», ha detto il polemista. In seguito Zemmour ha spiegato di non avere più fiducia nella politica e di aver deciso «di prendere in mano» il nostro destino nazionale. «Ho capito che nessun politico avrà il coraggio di salvare il Paese dal tragico destino che lo aspetta», ha aggiunto. Il neo candidato all’Eliseo ha anche affermato che la sua entrata in politica non ha per obiettivo la riforma della Francia, ma il suo salvataggio visto che, secondo lui, «tutti i governi di destra e di sinistra» non hanno fatto nulla. In poche frasi l’aspirante successore di Emmanuel Macron ha frantumato decenni di discorsi politicamente corretti e ha riaffermato con forza i temi legati alla teoria della «grande sostituzione». Rivolgendosi ai suoi concittadini, Zemmour ha dichiarato: «Non avete traslocato, eppure avete la sensazione di non essere più a casa vostra, ma siete degli esiliati dall’interno». Poco dopo ha ribadito lo stesso concetto dicendo: «Non avete lasciato il vostro Paese ma è come se il vostro Paese vi avesse lasciato». Poi, il giornalista ha cercato di rassicurare i francesi spiegando che «per molto tempo» molti cittadini hanno «creduto di essere i soli a vedere, a sentire, a pensare tutto ciò. A lungo», ha continuato, «non avete osato dire quello che vedevate e non avete osato vedere quello che vedevate. Non riconoscete più il vostro Paese, quel Paese che cercate ovunque e che sta scomparendo». Il discorso di Éric Zemmour ha fatto reagire Marine Le Pen, che lo ha definito «crepuscolare». Il capo del Partito comunista francese, Fabien Roussel - che aveva proposto una legge per impedire al giornalista di candidarsi, ha twittato che il polemista pratica «l’odio per mestiere». Prima dell’annuncio, il portavoce del governo, Gabriel Attal, aveva criticato il neo candidato definendolo un «un Trump acquistato su Wish (sito accusato in Francia di vendere prodotti contraffatti, ndr)». Dopo il discorso su Youtube, Zemmour è intervenuto al Tg delle 20 sul canale privato Tf1.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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