2023-03-04
La battaglia per Bakhmut. Un inferno senza uscita dove è rimasta solo la morte
Più il fronte si avvicina e più i palazzi mostrano le ferite dei missili. A Kramatorsk la stampa viene fermata. Mentre i militari di ritorno sono in silenzio, con i volti neri.Niccolò Celestida Kramatorsk A circa due ore da Kramatorsk, passata la martoriata città di Izyum, inizia gradualmente a presentarsi lungo la strada uno scenario spettrale. La carreggiata attraversa le campagne scendendo e salendo da dolci colline, nei campi intorno si vedono i primi carri armati distrutti, sparsi nei campi come relitti sul fondo marino. Gli autogrill e i vecchi check point negli incroci principali mostrano i chiari segni di un durissimo scontro, più in là poi iniziano a esserci i primi villaggi, con i palazzi divisi in due dai missili, le lamiere dei tetti sparse a brandelli tutto intorno, come pezzi di stoffa atterrati dopo le esplosioni spargendosi dolcemente sul terreno. C’è ancora un odore acre eppure sono passati mesi da quando qui (e lo si può capire dalla posizione dei resti dei carri armati) c’è stata una battaglia in campo aperto, nella quale i carri si sparavano direttamente: da una parte della strada i carri russi, dall’altra i carri ucraini ormai tutti arrugginiti.alta tensionePiù ci si avvicina al fronte di Bakhmut, più i posti di blocco, le facce e l’atteggiamento dei soldati si fa sospettoso. Entriamo in città cercando di annusare il vento per capire tramite l’odore di polvere da sparo se a 30 chilometri da qui, a Bakhmut, si combatte. Bastano 24 ore nella città di Kramatorsk per rendersi gradualmente conto della situazione nella battaglia più famosa del momento. Al Ria Pizza, un ristorante vicino all’hotel che prima di essere colpito da un missile ospitava i giornalisti, colleghi e militari mangiano e discutono della situazione. «Oggi non si entra a Bakhmut», dicono, l’esercito non fa più passare la stampa, segno di un cambiamento importante di cui ti rendi meglio conto soprattutto guardando le facce dei soldati che tornano da quel fronte.Troviamo alloggio al Man Hotel, in un paesino fuori città, proprio verso il fronte di Bakhmut, per quanto sappiamo è il più vicino hotel al fronte e infatti i sacchi di sabbia schierati davanti a tutte le vetrate dell’entrata ne sono la testimonianza. niente lasciapassareMolti giornalisti partono dal nostro albergo all’indomani di primo mattino, noi aspettiamo gli accrediti per avvicinarci al fronte ma anche oggi non ci sono le condizioni per entrare a Bakhmut, così usciamo dall’hotel per andare verso Kramatorsk e ci imbattiamo in quattro soldati che stanno mangiando un tozzo di pane sotto una pensilina, non lontano dall’hotel. Sono appena scesi dalla jeep che proviene dal fronte, come se dovessero respirare nel primo punto più sicuro che hanno trovato lungo la via. Hanno le facce nere dalla terra e i vestiti sporchi di fango, appena vedono la macchina fotografica ci urlano un secco «niet». Non possiamo far altro che rispettare il loro momento, immaginando la notte che devono aver passato. Ieri la situazione è davvero cambiata, l’artiglieria ha ricominciato a farsi sentire anche qui, nelle retrovie, un caccia ucraino vola basso sopra le case, mezzi militari in movimento dal fronte ripiegano lungo varie arterie e strade. Abbiamo la netta sensazione di un ripiegamento, di un riposizionamento delle forze, tutto qui sta cambiando. «Oggi il fronte si sposterà», pensiamo, è una sensazione ma in guerra le sensazioni è bene seguirle. Decidiamo quindi di spostarci in taxi a Dnipro, per trovare una macchina a noleggio e tornare con un quadro più ampio della situazione, lasciamo questo fronte con la sensazione che la battaglia di Bakhmut sarà ancora lunga.Il viaggio per Dnipro è interrotto da una telefonata che non avremmo mai voluto ascoltare, sono morti tre ragazzi, volontari del battaglione 206 di cui abbiamo già scritto e che conosciamo bene. Ci dà la notizia Pirata, il comandante dell’unità dove tra l’altro combatte anche il il figlio Max, sono qui a Bakhmut, e sono ancora vivi. C’era anche un’altra coppia padre/figlio con noi la scorsa estate nelle trincee di Kherson, ci ricordiamo bene di Homa e Khomyuk mentre tenevano le posizioni a poche centinaia di metri dai russi. Se ne sono andati insieme come avevano voluto, probabilmente abbracciati in quella buca dove con il loro amico e compagno Pushkin, hanno visto entrare il pezzo di artiglieria che li ha uccisi sfregiandone i corpi. altri funeraliHanno resistito tre ore sotto un bombardamento intenso fatto di mortai e colpi di cannone, fino a che alle 3 di notte uno dei colpi ha centrato la loro buca e gli ha tolto la vita. Non possiamo far altro che rientrare verso il fronte se non altro per partecipare al primo dei due funerali destinati ai caduti. Quello fatto dal cappellano militare, a cui seguirà poi quello con cui la famiglia seppellirà i corpi a casa loro.