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2022-08-17
Tutti gli «amici e mogli di» tra i candidati Pd del Lazio
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Michela Di Biase e Dario Franceschini (Imagoeconomica)
Non poche polemiche, interne e non solo, stanno suscitando le neonate liste del Pd a Roma e nel Lazio per le prossime elezioni politiche del 25 settembre. Dopo ore e ore di riunione, la direzione nazionale dem ha chiuso la partita dei candidati: alcuni grandi esclusi e quindi grandi delusi, altri paracadutati direttamente dalla Regione a un probabile scranno in Parlamento, e poi gli immancabili «amici e mogli di». Ma andiamo con ordine.
Per il Senato, le voci dei giorni scorsi sono state confermate. Per quanto riguarda il plurinominale, nel collegio che comprende Roma, Ciampino e Fiumicino è stata premiata Cecilia D'Elia, subentrata in Parlamento lo scorso gennaio a Roberto Gualtieri, eletto sindaco di Roma. Fedelissima del presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, già dai tempi dei Ds, D’Elia ha avuto molti incarichi istituzionali, come pure varie consulenze in Regione: l’ultima, in ordine di tempo, quella per le esigenze del governatore in materia di «politiche di parità contro le discriminazioni di genere», incarico che le è fruttato 40.000 euro l’anno.
Nel listino la segue, manco a dirlo, un’altra consigliera regionale, Marta Leonori. Passando all'uninominale per il Senato, l'assessora di Monte Compatri Serena Gara è il nome per i vari comuni (tra questi Affile, Ardea, Ariccia, Fonte Nuova, Nettuno, Tivoli). Curiosità su Serena Gara, è stata testimone delle nozze tra Francesca Sbardella e il senatore uscente Bruno Astorre, anch’egli nelle liste del Pd per il Senato, nel collegio plurinominale delle province laziali.
Si arriva poi ai collegi per la Camera, i plurinominali, dove sono stati inseriti diversi vertici del partito. Tra i capilista per il collegio Lazio 1 troviamo Nicola Zingaretti e Michela Di Biase. Il governatore uscente del Lazio, dopo il finto tira e molla iniziale sulla sua candidatura, ha quasi la certezza di entrare a Montecitorio, perché il collegio in cui è candidato - dal Centro Storico a Garbatella, passando per i Parioli e Montesacro – è praticamente un «fortino rosso». Ottime possibilità di arrivare alla Camera le ha anche Di Biase, sposata con il ministro della Cultura Dario Franceschini. Dettaglio che ha fatto infuriare non poco l’esponente dem: in un lungo post sui social ha replicato così a chi per giorni l’ha definita «solo» Lady Franceschini: «È frutto di una cultura maschilista che vuole raccontare le donne non attraverso il loro lavoro, la loro storia, ma attraverso l’uomo (marito, padre, fratello) che hanno accanto». Parole sacrosante che, allo stesso tempo, alimentano e foraggiano quella che dall’inizio di questa campagna elettorale è stata definita «telenovela Pd».
Tra le «mogli di» non poteva mancare Monica Cirinnà, in Montino (Esterino, sindaco di Fiumicino), pasdaran dei diritti civili declassata da Enrico Letta: infatti era stata inizialmente candidata al proporzionale Roma 1, detto in altri termini seggio sicuro, e poi è stata trasferita al traballante uninominale collegio Roma 4.
Altro nome di spicco della Regione, candidato del plurinominale nel collegio Lazio 1, è quello di Marco Vincenzi, attuale presidente del Consiglio Regionale del Lazio, peraltro in questo ruolo da solo un anno e qualche mese. Vincenzi infatti nell’aprile 2021 ha preso il posto di Mauro Buschini, costretto alle dimissioni per la vicenda Allumiere, il famigerato caso Concorsopoli, esploso intorno a una serie di assunzioni a tempo indeterminato da parte della Regione Lazio, grazie ad un concorso pubblico indetto dal piccolo comune della provincia di Roma. Vicenda per la quale in seguito Buschini è risultato estraneo.
Altro consigliere regionale candidato è Paolo Ciani di Demos, correrà nei collegi uninominali della Camera, Roma centro e Garbatella. Questi sono solo alcuni delle prime linee messe in campo dal Pd, che però lascia in panchina non pochi nomi eccellenti, anch’essi molto legati alla Regione. Tra questi, l’assessore alla Sanità Alessio D’Amato, il vicepresidente della Regione Daniele Leodori ed Enrico Gasbarra (dato addirittura in pole position nelle liste plurinominali, e poi evidentemente non inserito nella formazione). Grandi esclusi che forse pensano a una qualche resa dei conti o, molto più semplicemente, si preparano per l’altra campagna elettorale: quella per la nuova presidenza del Lazio.
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La direzione nazionale dem ha chiuso la partita dei candidati e nella regione guidata da Nicola Zingaretti non mancano nomi come quelli della fedelissima Cecilia D'Elia, o di Michela Di Biase, moglie del ministro della Cultura Dario Franceschini.Non poche polemiche, interne e non solo, stanno suscitando le neonate liste del Pd a Roma e nel Lazio per le prossime elezioni politiche del 25 settembre. Dopo ore e ore di riunione, la direzione nazionale dem ha chiuso la partita dei candidati: alcuni grandi esclusi e quindi grandi delusi, altri paracadutati direttamente dalla Regione a un probabile scranno in Parlamento, e poi gli immancabili «amici e mogli di». Ma andiamo con ordine.Per il Senato, le voci dei giorni scorsi sono state confermate. Per quanto riguarda il plurinominale, nel collegio che comprende Roma, Ciampino e Fiumicino è stata premiata Cecilia D'Elia, subentrata in Parlamento lo scorso gennaio a Roberto Gualtieri, eletto sindaco di Roma. Fedelissima del presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, già dai tempi dei Ds, D’Elia ha avuto molti incarichi istituzionali, come pure varie consulenze in Regione: l’ultima, in ordine di tempo, quella per le esigenze del governatore in materia di «politiche di parità contro le discriminazioni di genere», incarico che le è fruttato 40.000 euro l’anno.Nel listino la segue, manco a dirlo, un’altra consigliera regionale, Marta Leonori. Passando all'uninominale per il Senato, l'assessora di Monte Compatri Serena Gara è il nome per i vari comuni (tra questi Affile, Ardea, Ariccia, Fonte Nuova, Nettuno, Tivoli). Curiosità su Serena Gara, è stata testimone delle nozze tra Francesca Sbardella e il senatore uscente Bruno Astorre, anch’egli nelle liste del Pd per il Senato, nel collegio plurinominale delle province laziali.Si arriva poi ai collegi per la Camera, i plurinominali, dove sono stati inseriti diversi vertici del partito. Tra i capilista per il collegio Lazio 1 troviamo Nicola Zingaretti e Michela Di Biase. Il governatore uscente del Lazio, dopo il finto tira e molla iniziale sulla sua candidatura, ha quasi la certezza di entrare a Montecitorio, perché il collegio in cui è candidato - dal Centro Storico a Garbatella, passando per i Parioli e Montesacro – è praticamente un «fortino rosso». Ottime possibilità di arrivare alla Camera le ha anche Di Biase, sposata con il ministro della Cultura Dario Franceschini. Dettaglio che ha fatto infuriare non poco l’esponente dem: in un lungo post sui social ha replicato così a chi per giorni l’ha definita «solo» Lady Franceschini: «È frutto di una cultura maschilista che vuole raccontare le donne non attraverso il loro lavoro, la loro storia, ma attraverso l’uomo (marito, padre, fratello) che hanno accanto». Parole sacrosante che, allo stesso tempo, alimentano e foraggiano quella che dall’inizio di questa campagna elettorale è stata definita «telenovela Pd».Tra le «mogli di» non poteva mancare Monica Cirinnà, in Montino (Esterino, sindaco di Fiumicino), pasdaran dei diritti civili declassata da Enrico Letta: infatti era stata inizialmente candidata al proporzionale Roma 1, detto in altri termini seggio sicuro, e poi è stata trasferita al traballante uninominale collegio Roma 4.Altro nome di spicco della Regione, candidato del plurinominale nel collegio Lazio 1, è quello di Marco Vincenzi, attuale presidente del Consiglio Regionale del Lazio, peraltro in questo ruolo da solo un anno e qualche mese. Vincenzi infatti nell’aprile 2021 ha preso il posto di Mauro Buschini, costretto alle dimissioni per la vicenda Allumiere, il famigerato caso Concorsopoli, esploso intorno a una serie di assunzioni a tempo indeterminato da parte della Regione Lazio, grazie ad un concorso pubblico indetto dal piccolo comune della provincia di Roma. Vicenda per la quale in seguito Buschini è risultato estraneo.Altro consigliere regionale candidato è Paolo Ciani di Demos, correrà nei collegi uninominali della Camera, Roma centro e Garbatella. Questi sono solo alcuni delle prime linee messe in campo dal Pd, che però lascia in panchina non pochi nomi eccellenti, anch’essi molto legati alla Regione. Tra questi, l’assessore alla Sanità Alessio D’Amato, il vicepresidente della Regione Daniele Leodori ed Enrico Gasbarra (dato addirittura in pole position nelle liste plurinominali, e poi evidentemente non inserito nella formazione). Grandi esclusi che forse pensano a una qualche resa dei conti o, molto più semplicemente, si preparano per l’altra campagna elettorale: quella per la nuova presidenza del Lazio.
MR. BRAINWASH, Banksy thrower, opera unica su carta, 2022
Contrariamente a quanto si possa pensare, la street art, così straordinariamente attuale e rivoluzionaria, affonda le sue radici negli albori della storia: si può dire che parta dalle incisioni rupestri (i graffiti primitivi sono temi ricorrenti in molti street artist contemporanei) e millenni dopo, passando per le pitture murali medievali, i murales politici del dopoguerra e il « muralismo » messicano di Diego Rivera, José Clemente Orozco e David Alfaro Siqueiros, approdi nella New York ( o meglio, nel suo sottosuolo…) di fine anni ’60, dove tag, firme e strani simboli si moltiplicano sui treni e sui muri delle metropolitane, espressione di quella nuova forma d’arte che prende il nome di writing, quell’arte urbana che è la «parente più prossima » della street art, meno simbolica e più figurativa.
E quando si parla di street art, il primo nome che viene in mente è in assoluto quello di Banksy, la figura più enigmatica della scena artistica contemporanea, che ha fatto del mistero la sua cifra espressiva. Banksy è «l‘ artista che non c’è » ma che lascia ovunque il segno del suo passaggio, con una comunicazione che si muove con intelligenza tra arte e media: i suoi profili social sono il primo canale di diffusione e le sue opere, spesso realizzate con stencil (una maschera normografica su cui viene applicata una vernice, così da ottenere un'immagine sullo spazio retrostante), sono interventi rapidi nello spazio urbano, capaci di coniugare arte e messaggio politico. Quella di Bansky è un’arte clandestina, quasi abusiva, fulminea, che compare dal nulla un po’ovunque, in primis sui grandi scenari di guerra, dal muro che divide Israele e Palestina ai palazzi bombardati in Ucraina. Le sue immagini, dall’iconica Balloon Girl (la ragazzina con un palloncino rosso a forma di cuore) ai soldati che disegnano il segno della pace, dai bambini con maschere antigas, alle ragazzine che abbracciano armi da guerra, sono ironiche e dissacranti, a volte disturbanti, ma lanciano sempre messaggi politici e chiare invettive contro i potenti del mondo.
Ed è proprio il misterioso artista (forse) di Bristol il fulcro della mostra a Conegliano, curata da Daniel Buso e organizzata da ARTIKA in collaborazione con Deodato Arte e la suggestiva cittadina veneta.
La Mostra, Keith Haring e Obey
Ricca di 80 opere, con focus sulla figura di Bansky ( particolarmente significativa la sua Kids on Guns, un'opera del 2013 che rappresenta due bambini stilizzati in cima a una montagna di armi, simbolo della lotta contro la violenza), la mostra si articola attorno a quattro grandi temi - ribellione, pacifismo, consumismo e critica al sistema – ed ospita, oltre all’enigmatico artista britannico, altri due guru della street art: Keith Haring e Shepard Fairey, in arte Obey.
Convinto che «l’arte non è un’attività elitaria riservata all’apprezzamento di pochi: l’arte è per tutti e questo è il fine a cui voglio lavorare» Haring (morto prematuramente nel 1990, a soli 32 anni, stroncato dall’AIDS) ha creato un nuovo linguaggio comunicativo caratterizzato da tematiche legate alla politica e alla società, facendo degli omini stilizzati e del segno grafico nero i suoi tratti distintivi; Fairey, in arte Obey, attualmente uno degli street artist più importanti ( e discussi) al mondo, si è fin da subito reso conto di come la società in cui è nato e cresciuto lo abbia condotto all’obbedienza senza che lui se ne rendesse conto: da qui la scelta di chiamarsi Obey , che significa obbedire.
Bansky, Haring , Obey, praticamente la storia della street art racchiusa in una mostra che non è solo un'esposizione di opere d'arte, ma anche un'occasione per riflettere sulle contraddizioni di questo oramai popolarissimo movimento artistico e sul suo ruolo nella società contemporanea. Alla domanda se un’arte nata per contestare il sistema possa oggi essere esposta nei musei, venduta all’asta e diventare oggetto di mercato, non vengono offerte risposte, ma contributi per stimolare una riflessione personale in ogni visitatore. Perché, in fondo, anche questa è la forza della Street Art: porre questioni più che dare certezze...
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Da sx in alto: americani della 92ª Divisione, alpini della Divisione «Monterosa», paracadutisti tedeschi e la frazione di Sommocolonia oggi. Garfagnana, 26 dicembre 1944
La battaglia della Garfagnana, nota come Operazione «Wintergewitter» (tempesta invernale) fu l’ultima controffensiva delle forze dell’Asse sul fronte italiano. Iniziò la notte tra Natale e Santo Stefano del 1944 per terminare tre giorni più tardi. L’obiettivo, pur presentando scarse se non nulle possibilità di raggiungerlo, era quello di arrestare l’avanzata alleata lungo il fronte della linea Gotica allora in stallo per l’inverno rallentando l’avanzata degli angloamericani che puntavano verso Bologna e la Pianura Padana. Il teatro delle operazioni fu la valle del Serchio nella Garfagnana, in provincia di Lucca, dove gli americani del 92° Infantry Regiment, i famosi «Buffalo Soldiers» a maggioranza afroamericana, si erano acquartierati nei giorni precedenti al Natale, ritenendo le ostilità in pausa. L’effetto sorpresa era proprio il punto cardine dell’operazione pianificata dal comando tedesco guidato dal generale Otto Fretter-Pico. Le forze dell’Asse consistevano sostanzialmente di reparti da montagna, i «Gebirgsjaeger» tedeschi e gli alpini italiani della Divisione «Monterosa», uno dei primi reparti addestrati in Germania dopo la nascita della Repubblica Sociale. L’attacco fu fissato per la mezzanotte, tra il 25 e il 26 dicembre e procedette speditamente. I reparti speciali tedeschi e gli alpini iniziarono una manovra di accerchiamento da Montebono per Bobbio, Tiglio e Pian di Coreglia, mentre un reparto leggero prendeva in poche ore Sommocolonia. Contemporaneamente tutti i reparti si muovono, compreso un nucleo del Battaglione «San Marco», che in poco tempo occupava Molazzana. Entro la sera di Santo Stefano la linea dei Buffalo Soldiers era sfondata, mentre i reparti americani arretravano in massa. I prigionieri erano circa 250, mentre numerose armi e munizioni venivano requisite. Anche vettovaglie e generi di conforto cadevano nelle mani degli attaccanti.
Gli americani praticamente non reagirono, ma si spostarono in massa verso la linea difensiva di Bagni di Lucca. Per un breve tempo sembrò (soprattutto agli italiani, mentre i tedeschi sembravano paghi della riuscita sorpresa) che il fronte potesse cedere fino in Versilia e verso Livorno. L’ordine di Fretter-Pico di arrestare l’avanzata fu una doccia fredda. Le ragioni dell'arresto risiedevano principalmente nella difficoltà di mantenere le posizioni, la scarsità ormai cronica di uomini e munizioni (c’era solo l’artiglieria, nessun carro armato e soprattutto nessun supporto dall’Aviazione, praticamente sparita dai cieli del Nord Italia). Gli americani invece avevano il dominio assoluto del cielo, con i cacciabombardieri che potevano decollare dai vicini aeroporti della Toscana occupata, come quelli di Grosseto e Rosignano. Tra il 27 e il 30 dicembre 1944 i P-47 Thunderbolt dell’Usaf bombardarono a tappeto, mietendo vittime soprattutto tra la popolazione civile. La linea difensiva dell’Asse ritornò nei giorni successivi alle posizioni di partenza, mentre il fronte si assestava fino all’inizio del febbraio 1945 quando gli alleati lanciarono l’operazione «Fourth Term», che portò in pochi giorni alla conquista della Garfagnana. Durante l’operazione «Wintergewitter» lo scontro più violento si verificò nell’abitato di Sommocolonia dove la guarnigione americana perse quasi tutti gli uomini, compreso il proprio comandante tenente John R. Fox che, vistosi ormai circondato dai tedeschi, chiese all’artiglieria della 92ª di sparare sull’abitato nel tentativo disperato di rallentare l’attacco a sorpresa. Morì sotto le macerie della sua postazione e solamente nel 1997 fu insignito della medaglia d’onore.
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Lee Raybon avrebbe ambizioni da detective. Non da investigatore tout court. Piuttosto, vorrebbe essere un reporter, di quelli capaci - forti solo delle proprie risorse - di portare a termine indagini e inchieste, di dar forma alle notizie prima ancora che queste vengano diffuse dalle autorità competenti.
L'ambizione, tuttavia, è rimasta tale, nel corso di un'esistenza che ha costretto Raybon a ripiegare su altro per il mero sostentamento. Si è reinventato libraio, Lee Raybon, gestendo di giorno un negozio di libri rari. La notte, però, ha continuato a seguire il cuore, dando spazio alle sue indagini scalcagnate. Qualcuna è riuscito a trasformarla in articolo di giornale, venendola alle pagine di cronaca locale di Tulsa, città che ospita il racconto. E sono i pezzi ritagliati, insieme ai libri ormai giallognoli, ad affollare l'apportamento di Raybon, che la moglie ha mollato su due piedi, quando ben ha realizzato che non ci sarebbe stato spazio per altro nella vita di quell'uomo. Raybon, dunque, è rimasto solo. Non solo come il crime, per lo più, ha raccontato i suoi detective. Non è, cioè, una solitudine disperata, quella di Raybon. Non c'è tristezza né emarginazione. C'è passione, invece: quella per un mestiere cui anche la figlia dell'uomo sembra guardare con grande interesse.
Francis, benché quattordicenne, ha sviluppato per il secondo mestiere del padre una curiosità quasi morbosa, in nome della quale ha cominciato a seguirlo in ogni dove, partecipando lei pure alle indagini. Cosa, questa, che si ostina a fare anche quando la situazione diventa insolitamente complicata. Lee Raybon ha messo nel mirino i Washberg, una tra le famiglie più potenti di Tulsa. Ma uno di loro, Dale, si è tolto la vita, quando l'articolo di Raybon sulle faccende losche della dinastia è stato pubblicato su carta. Perché, però? Quali segreti nascondo i Washberg? Le domande muovono la nuova indagine di Raybon, la sostanziano. E, attorno alla ricerca di risposte, si dipana The Lowdon, riuscendo a bilanciare l'irrequietezza del suo protagonista, il suo cinismo, con il racconto di una dinamica familiare di solito estranea al genere crime.
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