2024-07-26
Tutte le «bufale eversive» diffuse dai quotidiani che piacciono a Mattarella
Sergio Mattarella, Eugenio Scalfari e Ezio Mauro (Ansa)
Dalla presunta bocciatura dell’Ue all’Italia alle critiche alla Meloni messe in bocca al Quirinale: i «cacciatori di fake news» del gruppo Gedi sono i primi a diffonderle.Più che l’indignazione, poté il ridicolo. Sarà anche vero, come ha affermato Sergio Mattarella, che perfino le cosiddette fake news sono «un atto eversivo rivolto contro la Repubblica», ma il catalogo delle ultime smentite del Quirinale a giornali amici come Repubblica o La Stampa appartiene alla categoria dell’umorismo più o meno volontario. Esattamente come le smentite che ogni tanto anche quel sant’uomo di Bergoglio recapitava alla buonanima di Eugenio Scalfari, che aveva preso a intervistare il Pontefice a sua insaputa. Poi, per carità, errori e infortuni anche sanguinosi possono capitare a chiunque, a noi per primi, perché questo è un mestiere governato dalla fretta. I lettori - il nostro vero giudice -, sono attenti e ti infilzano in tempo reale. Ma il problema è che quando i giornalisti benpensanti decidono di insegnare agli altri come si riconoscono le bufale, compito che da una decina di anni si sono arrogati i giornali della famiglia Agnelli Elkann, si rischia l’effetto più «eversivo» che ci sia per chi ambisce a far parte del potere costituito: il ridicolo. Da quando il governo di Giorgia Meloni ha varato la riforma del premierato, non essendo elegante che il capo dello Stato la critichi direttamente, ci pensano i corazzieri dei giornaloni. Ma quando nessuno fa il proprio lavoro, il cortocircuito è in agguato. Nei giorni scorsi, Repubblica ha lanciato un’anticipazione del rapporto annuale sullo stato di diritto della Commissione Ue con questo bel titolo: «Riforme e media, bocciatura Ue: Stato di diritto a rischio in Italia». Dopo poche ore esce il rapporto e si scopre che non c’è alcun allarme e non c’è neppure alcun giudizio sulle varie riforme (giustizia compresa), ma solo un riportare i provvedimenti e le critiche che hanno raccolto dai vari «portatori d’interessi». Un tipico esempio di «wishful thinking» sono state le corrispondenze dalla Corea del Sud, lo scorso novembre, al seguito di Mattarella. Il testo della riforma costituzionale era stato appena approvato, il presidente giustamente taceva, ma niente, a Repubblica gli hanno fatto dire che non intendeva trasformarsi «in una figura museale» e interpretarono il viaggio, pur organizzato da diversi mesi, come una «presa di distanza anche fisica» da Palazzo Chigi. Un mese prima, il 3 ottobre 2023, Stampa e Repubblica avevano preso le ovvie parole di Mattarella in difesa della sanità pubblica come un attacco al governo, ipotizzando anche dei tagli in arrivo. Il giorno dopo il Quirinale smentiva seccamente e «con stupore». Naturalmente, i due giornali «incriminati» fecero finta di niente. Se a Mattarella i giornali amici tirano spesso la giacchetta, a Giancarlo Giorgetti invece gliela tolgono proprio. Le sue dimissioni, in questi 22 mesi, sono state date per certe più volte e di solito il ministro dell’Economia lascia correre. A parte il 3 giugno scorso, quando Repubblica spara: «Giorgetti sta per lasciare». Con tanto di virgolettato tipo Gesù («Preparatevi a fare senza di me»). Niente da fare, l’esponente leghista risponde in poche ore: «Continuo a fare il mio lavoro come sempre». E poi li prende un po’ in giro: «Evidentemente hanno confuso la festa della Repubblica con la festa de La Repubblica ed erano un po’ eccitati per questo». Se all’epoca di un Carlo Azeglio Ciampi o di un Pier Carlo Padoan un giornale avesse scritto una simile bufala sul ministro del Tesoro, come minimo si sarebbe mossa la Consob.Detto che il giornale diretto da Maurizio Molinari è riuscito a farsi smentire anche dal presidente albanese, Edi Rama, sull’immigrazione clandestina («Rifarei l’accordo con l’Italia 100 volte», 24 maggio 2024), la vera Caporetto degli ultimi mesi è stata il 4 maggio. Il giornale romano, accompagnato sempre dai cuginetti torinesi, scrive di un faccia a faccia di due ore tra Mario Draghi e Sergio Mattarella, in cui il secondo si sarebbe detto preoccupato per i ritardi del governo sul Pnrr. Lo spread per fortuna non fa una piega e quindi dal Colle rispondono con «un divertito stupore per una ricostruzione decisamente fantasiosa. Non è vero che il presidente abbia parlato con Draghi di Pnnr, né 24 ore prima della colazione con il presidente del Consiglio né tantomeno in giorni realmente precedenti». Alla voce «bufale orientate» va registrata anche la storia montata da Repubblica a Genova, sul caso di una donna che in ospedale si sarebbe vista offrire 100 euro da un centro di aiuto alla vita per non abortire. Non solo non c’erano volontari pro vita al Villa Scassi, non solo nessuno offre soldi così, tipo mercato, ma la donna non è mai stata trovata. Se ci guardiamo indietro, a proposito, di ospedali e dintorni, dovremmo fare un lungo elenco di bufale anche sulle cure per il Covid («tachipirina e vigile attesa») e sull’assenza di effetti avversi dei vaccini, compresa la disinformazione sui rischi di morte da Covid per i bambini. E lo stesso si potrebbe dire per la guerra in Ucraina, dove i titoli di Repubblica sulla strage al mercato di Kostiantynivka (settembre 2023), addebitata con sicumera a Vladimir Putin, sono stati smentiti dal New York Times (i missili erano ucraini). Quando per anni pubblichi interviste con il Papa che perfino Francesco smentisce regolarmente, vuol dire che sei incorreggibile. Prima si dedicavano ai 5 stelle, quando davano fastidio al Pd, ora a Lega e Fdi. Diamo qualche numero anche noi: a fine 2013 Repubblica vendeva 382.000 copie, oggi 148.000. Di fronte alla fuga dei lettori, la vera «eversione» sarebbe diventare più credibili.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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