2018-12-16
Trump finanzia l’esercito in Kosovo per sfrattare Juncker. «Savona ci aiuti a entrare in una nuova Europa»
Pristina annuncia la fondazione del ministero della Difesa e si oppone alla linea guidata da Federica Morgherini e dalla Ue. Il premier Ramus Haradinaj cambia schieramento: molla Bruxelles e si mette con Washington. Intervista al ministro per gli affari europei del Kosovo, Dhurata Hoxha. «Paolo Savona ci aiuti a scalzare le politiche di Jean-Claude Juncker». Lo speciale contiene due articoli. Venerdì il parlamento del Kosovo ha dato avvio al processo legislativo che porterà all'istituzione del nuovo ministero della Difesa ovvero alla trasformazione delle attuali forze di protezione civile in esercito regolare. Dopo decenni di mandati internazionali succedutisi sotto l'egida della Nato e dell'Unione europea, il più giovane Stato del nostro continente, ultimo rigurgito dello sfaldamento dell'ex Jugoslavia, cerca di dotarsi definitivamente di tutti gli elementi costitutivi della sovranità nazionale nonostante l'ostinata opposizione della Serbia. Il dialogo tra il presidente kosovaro Hashim Thaci e quello serbo Aleksander Vućić voluto fortemente dall'Alto Rappresentate dell'Unione europea per la politica estera e la sicurezza comune, Federica Mogherini, è naufragato. Anni di abboccamenti tra Belgrado e Pristina alla presenza di Lady Pesc a Bruxelles non hanno portato ad alcun miglioramento nei Balcani. La situazione nella regione in queste settimane si sta nettamente deteriorando tanto da spingere mercoledì scorso il primo ministro del Kosovo, Ramus Haradinaj, a dichiarare apertamente al termine del consiglio dei ministri che Federica Mogherini è colpevole d'avere distrutto l'intero processo di normalizzazione tra il Kosovo e la Serbia avendolo trasformato con il tempo in un mercanteggiamento di territori, confini e futuri rapporti. Secondo Haradinaj il danno fatto dalla Mogherini, aprendo tematiche che storicamente nei Balcani portano alla guerra, sarebbe incommensurabile. Lo stesso Haradinaj poche settimane prima aveva candidamente ammesso alla televisione nazionale serba che il suo Paese è troppo piccolo per permettersi una propria politica estera e che per tale questione preferisce affidarsi completamente agli Stati Uniti d'America. Facendo capire chiaramente che per Jean-Claude Juncker non c'è più spazio. Il messaggio di Pristina non poteva essere più chiaro tanto nei confronti di Bruxelles, quanto di Belgrado e della sua alleata Mosca. Vista la conferma dell'incapacità europea di gestire il proprio vicinato, Donald Trump ha deciso di forzare la situazione sul terreno dando il proprio benestare affinché il Kosovo formi un esercito e affinché, come avvenuto a novembre, imponga severi dazi ai beni provenienti dalla Serbia. Imporre un innalzamento del 100% dei dazi doganali significa per Pristina chiudere ermeticamente il confine nei territori in cui vive una popolazione a maggioranza serba e che sono contesi da Belgrado. In cambio molti si aspettano finanziamento Usa. Lo sviluppo degli eventi è stato pubblicamente sostenuto venerdì – in piena discussione parlamentare - dall'ambasciatore americano a Pristina, Philipp Kosnett, il quale ha scritto sul suo profilo twitter che la sicurezza di un Paese e le sue buone relazioni col vicinato si basano sulla solidità e la professionalità del proprio esercito. Per il momento il presidente della Serbia accusa il colpo e non reagisce con toni eccessivamente propagandistici. Egli, da politico navigato, comprende che Washington lo sta sfiduciando, ma anche che al contempo non può certo contare sul sincero sostegno dell'alleato russo dato che il precedente del Kosovo, strappato alla Serbia con un referendum e l'appoggio della Nato, è il fondamento sul quale si basa la legittimità del distacco della Crimea dall'Ucraina ovvero della conseguente annessione alla Federazione Russa. Vladimir Putin non potrebbe mai rischiare di scialacquare il proprio capitale geopolitico per difendere una Serbia che ha realmente perso il Kosovo già negli anni Novanta a causa della politica nazionalista di Slobodan Milošević. E mentre la Bosnia Erzegovina protesta contro la politica doganale del Kosovo, minacciando di espellerla dall'accordo commerciale Cefta a Belgrado, nonostante il forte controllo esercitato dal governo sui media, la popolazione incomincia a far filtrare il proprio scontento organizzando proteste per le strade della capitale. Per il momento la presidenza di Vućić non pare d'essere a rischio. Egli dovrebbe ancora godere dell'appoggio della maggioranza della popolazione e le temute Ong straniere non sono ancora ingaggiate nella fomentazione politica delle masse come spesso avvenuto in passato. Molto probabilmente per riconfermare la propria legittimità e per evitare che l'opposizione possa avere il tempo necessario per chiedere la riforma della legge elettorale, Vućić firmerà lo scioglimento anticipato del Parlamento indicendo le elezioni politiche per la primavera dell'anno prossimo. In tale modo dovrebbe riuscire a contenere il crescente malumore della piazza e guadagnare qualche mese per trovare un'improbabile soluzione nazionale per la questione kosovara. Il presidente serbo sa bene d'essere debitore all'Occidente per il suo potere e per l'attuale stabilità del Paese. Da lui ci si aspettava il riconoscimento del Kosovo. Passato il periodo dell'obamismo passivo e vista l'incapacità dell'Ue, il dipartimento di Stato americano ha deciso che i Balcani ritornano ad essere una priorità geopolitica e che Vućić potrebbe essere una pedina sacrificabile. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/trump-finanzia-lesercito-in-kosovo-per-sfrattare-juncker-dai-balcani-2623488217.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="dhurata-hoxha-savona-ci-aiuti-a-scalzare-le-politiche-di-juncker" data-post-id="2623488217" data-published-at="1758065705" data-use-pagination="False"> Dhurata Hoxha: «Savona ci aiuti a scalzare le politiche di Juncker» Giphy Il 13 settembre scorso il Parlamento europeo ha dato il via all'abolizione dei visti per i cittadini del Kosovo. In plenaria solo 186 sono stati i voti contrari. Come vi sentite?«Il voto al Parlamento di Bruxelles rappresenta un momento di estrema importanza per l'avvicinamento del Kosovo all'Unione europea e un passo decisivo a favore della libertà di movimento dei nostri cittadini. E' davvero incoraggiante vedere come gli sforzi ed il duro lavoro sostenuti dalle istituzioni del mio Paese per soddisfare tutti i criteri necessari alla liberalizzazione dei visti portino i primi risultati. Pertanto non posso che essere grata ai parlamentari che ci hanno sostenuto».Il Consiglio europeo rappresenta il prossimo passaggio chiave. Alcuni Stati membri dell'Unione non riconoscono il Kosovo. Crede in un finale positivo?«Il Consiglio avrà l'ultima parola. Non posso che sperare in un finale positivo dato che questa stessa istituzione ha già dato parere positivo in passato sul lavoro da noi svolto dal 2012 ad oggi. Credo sia tempo per i cittadini kosovari che gli venga riconosciuto il diritto al libero movimento, dato che sono gli unici ad esserne ancora privi nel nostro continente. Un voto a favore sarebbe inoltre importante per la credibilità delle istituzioni Ue e dei suoi Stati membri. Noi abbiamo soddisfatto tutti i criteri. Ora gli Stati dell'Unione dovrebbero mantenere le loro promesse».Un regime di visti completamente liberalizzato potrebbe essere problematico per i Paesi dell'Unione che sono preoccupati dal problema migratorio?«Io non credo che la cosa possa essere problematica per i Paesi membri. Il nostro governo ha accettato tutte le procedure necessarie affinché si eviti un uso improprio del regime dei visti. Recentemente abbiamo lanciato una campagna d'informazione per istruire i nostri cittadini sui loro diritti ma anche sui loro doveri qualora dovessero beneficiare della libertà di movimento tanto agognata. Da questo punto di vista mi sento serena nell'affermare che i kosovari non rappresenterebbero mai un problema migratorio. Le procedure concordate permetterebbero di rimpatriare in ogni momento un eventuale kosovaro richiedente asilo in uno dei Paesi dell'Unione. I nostri cittadini sono informati di ciò e sanno di non poter ottenere alcun diritto d'asilo in quanto il Kosovo è riconosciuto ufficialmente come un Paese d'origine sicuro e stabile. Le ultime statistiche dell'Eurostat confermano il fatto che il Kosovo non è nemmeno tra i primi trenta Paesi a rischio di emigrazione».Il Kosovo ha ancora alcune questioni aperte con la Serbia. Come procede il dialogo tra Belgrado e Pristina?«Fin dall'inizio siamo stati sostenitori della necessità di un dialogo sincero con la Serbia. È l'unico modo per dar forma a soluzioni costruttive. Sull'approccio serbo per noi rimangono dei dubbi. La maggioranza degli accordi conclusi durante i colloqui tecnici non sono mai stati rispettati da Belgrado. Sebbene il Kosovo continui ad onorare il dialogo questo non può continuare all'infinito. Serve un risultato finale. Per noi il risultato finale è chiarissimo: il mutuo riconoscimento con l'obbligo per la Serbia di non bloccare il nostro ingresso nelle istituzioni internazionali, specificatamente alle Nazioni Unite, all'Unione europea e alla Nato».Quale potrebbe essere un risultato realpoliticamente accettabile?«Per noi il finale della disputa è chiaro: la sovranità totale e complete, riconosciuta dalla Serbia. Non ci sono altre opzioni accettabili che possano favorire la pace e la stabilità della nostra regione. Il dialogo è la via giusta soprattutto se si considera che la Commissione europea alcuni mesi fa ha pubblicato la sua strategia d'allargamento nella quale è scritto a chiare lettere che per procedere sulla via dell'integrazione i Paesi dei Balcani occidentali devono innanzitutto chiudere tutte le questioni tra loro pendenti e che un accordo internazionalmente vincolante tra Serbia e Kosovo è assolutamente necessario. Tale richiesta potrebbe far comprendere alla Serbia che il dialogo deve portare a frutti concreti se anche essa desidera vedersi compiere il destino europeo».Crede che la decisione di Junker di congelare, all'inizio del suo mandato, ogni opzione di allargamento abbia di fatto destabilizzato ulteriormente i Balcani?«Non vi è alcun dubbio che solo una prospettiva europea può aiutare il formarsi di una pace duratura nei Balcani. Tutti i Paesi della regione condividono il desiderio d'entrare a far parte un giorno della grande famiglia europea e spesso le capitali locali sono pronte a collaborare positivamente perlomeno su tale tematica. In tal senso ogni dichiarazione di scetticismo sull'allargamento ha un impatto estremamente negativo sui rapporti interstatali e sulla stabilità regionale. I processi di riforma nei Balcani occidentali sono direttamente legati alla credibilità della prospettiva europea. Il documento sull'allargamento pubblicato di recente supera l'approccio di Junker e riporta la prospettiva europea per i Balcani ad essere concreta, dinamica, raggiungibile. Ciò ci ridà fiducia».Come vede l'Ue del futuro?«I principi e i valori europei derivano da una lunga tradizione di statualità dei Paesi membri dell'Ue. In futuro vorrei vedere un Unione più compatta e forte, più unita. Un'Ue forte è la garanzia per dei Balcani occidentali pacificati. E conseguentemente vorrei vedere un'Unione europea più aperta verso la nostra regione, capace di riconoscere gli sforzi che facciamo per avvicinarci ai vostri principi e valori».Siete soddisfatta delle relazioni bilaterali tra Kosovo e l'Italia?«Abbiamo una cooperazione bilaterale eccellente, costruttiva e amichevole che mi fa nutrire buone speranze per il futuro. Il mio Paese è grato all'Italia per tutto il sostegno che ci ha dato prima e dopo la dichiarazione d'indipendenza. Siete stati tra i primi a riconoscerci internazionalmente, ma soprattutto avete assistito in varie forme il formarsi delle nostre istituzioni contribuendo concretamente al benessere dei nostri cittadini».Desidera mandare qualche messaggio al nostro Ministro per gli affari europei?«Innanzitutto vorrei cogliere l'opportunità per ringraziare la mia controparte italiana per il sostegno garantito al Kosovo sul cammino europeo. È sempre bello poter contare su un Paese amico. Al Ministro vorrei chiedere di continuare a sostenerci anche in futuro. Il Kosovo vuole continuare rafforzare le relazioni bilaterali e ritiene che l'Italia possa rappresentare la voce del Kosovo in molti processi decisionali internazionali. In particolare vorrei chiedere al Ministro Paolo Savona di sostenerci nel processo di liberalizzazione dei visti».Come vede il ruolo dell'Italia nei Balcani?«Il ruolo del vostro Paese è di vitale importanza per la sua posizione geopolitica. Ritengo l'Italia debba comunque rafforzare in futuro la propria presenza nei Balcani, soprattutto dal punto di vista economico, essendo per molti Paesi della regione un partner strategico».Ha qualche proposta concreta per migliorare la cooperazione tra l'Italia ed il Kosovo?«Ci sono sempre dei possibili margini di miglioramento. Nonostante le nostre relazioni siano ottime possiamo ambire a traguardi ancor più alti. Dovremmo concludere un accordo di amicizia tra i nostri due Paesi e pensare a progetti comuni per promuovere gli investimenti e le relazioni commerciali verso il Kosovo da parte degli investitori italiani».