2022-06-11
I tromboni del flop russo scoprono la realtà
Il direttore dell’Ispi, Paolo Magri (Imagoeconomica)
Dopo averci raccontato che la resistenza ucraina stava vincendo, adesso si accorgono di aver preso una cantonata. Pure il capo dell’Ispi ammette: «Ci siamo fidati degli inglesi». Malgrado le gaffe, però, gli «esperti» continuano a dar lezioni a chi ci aveva preso.Ma come? L’esercito russo non era in ginocchio? In rivolta? Senza generali? Con i soldati sfiduciati? Non eravamo a un passo dalla resa? Dalla ritirata? Non ci hanno raccontato per mesi che l’eroica resistenza ucraina, con la popolazione compatta dietro al presidente Volodymyr Zelensky, insorta come un sol uomo, intrepida e potente, le stava suonando di brutto a quei pappamolla mandati da Mosca? Non ci hanno descritto l’ex Armata rossa come se si fosse improvvisamente trasformata in Armata Brancaleone? Non ci dicevano che era pronta a sfaldarsi dietro una collezione di brutte figure che in confronto Franco e Ciccio sul sentiero di guerra sembravano Carl von Clausewitz? Tutto sbagliato, tutto da rifare. Scusate, quelli che capiscono tutto, come al solito, non ci avevano capito niente. Gli esperti si sono dimostrati, ancora una volta, esperti soprattutto di fesserie. Ad ammetterlo candidamente è proprio uno di loro, niente meno che Paolo Magri, direttore dell’Ispi, docente di Relazioni internazionali all’università Bocconi, nonché membro del Comitato strategico del ministero degli Affari esteri; membro dello Europe policy group del World economic forum (Davos); membro dell’Advisory board di Assolombarda e del Consiglio di amministrazione della Fondazione Italia-Cina, membro del Comitato scientifico del Centro di eccellenza per le stability police units (CoEspu) e membro del Centro militare di studi strategici (Ce.Mi.S.S.). Un curriculum impressionante. Una collezione di «membro» da invidia. A cui si aggiungono le recenti dichiarazioni sulla guerra, anche esse purtroppo alla membro. Di cane. «La Bbc e gli analisti militari inglesi», ha ammesso infatti lo stesso Magri durante L’aria che tira, su La7, «ci hanno raccontato tutti i disastri dell’esercito russo nei primi due mesi. E poi ci siamo accorti nell’ultimo mese che l’esercito russo c’è, i generali ci sono anche se muoiono, e lentamente ma inesorabilmente nel Donbass, ma non solo, stanno avanzando». In altre parole: per due mesi, dice Magri, ci siamo fidati di informazioni sbagliate e vi abbiamo propinato come verità delle bufale sesquipedali. Dov’è il problema? Il bello di quelli che sanno tutto è che quando risulta evidente che non sapevano nulla, lo ammettono con nonchalance e poi continuano a pontificare come se niente fosse, ricominciando a dare lezioni a quegli incompetenti che tre mesi fa dicevano esattamente le cose come stavano, che non hanno sbagliato ma che siccome sono brutti sporchi e cattivi hanno torto comunque. Ovvio: loro sono loro e noi non siamo un cazzo. Ricordate? È successo lo stesso con la pandemia: i virologi che ritenevano più facile essere colpiti da un fulmine che dal coronavirus, o che garantivano che il vaccino avrebbe evitato il contagio e che due dosi avrebbero dato copertura per anni e anni, hanno continuato a dare lezioni a tutti anche quando era palese che di una lezione avrebbero avuto bisogno soprattutto loro. Tu chiamali, se vuoi, tromboni. I quali tromboni però hanno un problema gigantesco: la realtà. Non c’è niente da fare: la realtà non vuole saperne di assoggettarsi alle loro teorie farlocche, per quanto queste teorie siano presentate come verità assolute. Ieri il direttore, Maurizio Belpietro, segnalava l’imperdibile reportage dell’inviato di Repubblica Fabio Tonacci su quel comandante ucraino rimasto con l’auto in panne nel Donetsk e terrorizzato perché lì (nel territorio controllato dagli ucraini) essendo tutti per i russi, non ce n’era manco uno che gli controllasse il carburatore. Ma come? Non ci avevano raccontato che sull’intero territorio nazionale gli ucraini sono visti come liberatori? E allora com’è possibile che non ci sia nessuno disposto a aggiustare l’auto del comandante liberatore? Perché quest’ultimo deve andare in giro senza divisa per non farsi riconoscere? E perché spuntano centinaia e centinaia di ucraini che collaborano con i russi (servizio di Lorenzo Cremonesi sul Corriere)? Siamo alle solite: la realtà di ogni giorno si impone sulla narrazione studiata a tavolino. E infatti ieri Tonacci si è ripetuto. Ha intervistato un americano che combatte con gli ucraini, nome di battaglia Lupo del Nord, che dopo un po’ di parole in libertà sulla «guerra pura», ha dichiarato che «il 99 per cento delle brigate internazionali è scappato appena ha sentito il primo tiro dell’artiglieria russa». Ma come? Le eroiche brigate internazionali? Abbiamo visto un’infinità di servizi che celebravano il soccorso del mondo alla causa ucraina: sembrava di essere tornati ai tempi della guerra in Spagna, Emilio Lussu, Carlo Rosselli, la Brigata Garibaldi. E invece gli intrepidi combattenti internazionali sono evaporati così? Come neve al sole? E possibile che nessun esperto se ne sia accorto? Erano troppo impegnati a raccontarci lo sfacelo (inesistente) dell’esercito russo per accorgersi della scomparsa delle (tanto sbandierate) brigate internazionali? Come volevasi dimostrare: la narrazione va da una parte, la realtà dall’altra. E la realtà alla lunga s’impone sempre. L’Independent, per esempio, parla di «diserzioni che crescono sempre più»: nell’esercito degli sfiduciati russi? Macché: nell’esercito ucraino dove «il morale è basso». Il New York Times segnala la furia degli 007 americani perché i loro omologhi di Kiev avrebbero fornito notizie sbagliate e incomplete, forse per coprire la reale situazione. Ma gli esperti non se ne sono accorti? E allora che esperti sono? «Il più grave errore degli ucraini», ha scritto ieri Domenico Quirico sulla Stampa, «è stata l’epopea, finita in resa disastrosa, dell’acciaieria di Azovstal». Eppure chiunque in quei giorni osasse sollevare un dubbio o anche solo una domanda sulla vicenda veniva subito bollato come un assassino e equiparato ai peggiori delinquenti del mondo. Come ha fatto ancora ieri quel che resta di Giuliano Cazzola, già sindacalista Cgil e già deputato del centrodestra, noto per aver invocato durante la pandemia i cannoni alla Bava Beccaris per sparare su chi osava protestare. Ieri ha avuto ancora il coraggio di dire che invitare a parlare un russo in una trasmissione tv è come invitare un mafioso. Senza però spiegare come mai, se la Russia è come la mafia, noi teniamo a Roma l’ambasciata della mafia e soprattutto teniamo nel Consiglio di sicurezza dell’Onu il rappresentante della mafia. Chissà che prima o poi anche queste poveretto non si renda conto delle scemenze che dice. Nel caso, vedrete, salirà pure lui in cattedra per spiegarci con dovizia di particolari quel che non aveva capito. Quasi come se fosse un direttore dell’Ispi.