2020-08-01
Tria e Toninelli «scagionano» Salvini: «Su Open Arms decisione collegiale»
Danilo Toninelli, Giuseppe Conte e Giovanni Tria (Ansa)
Per l'ex ministro dell'Economia «chiudere i porti era interesse pubblico dell'esecutivo». E in tv il grillino giurava: «Il nostro è un lavoro di squadra». Il leader leghista: «200 avvocati pronti a difendermi gratis».«Era tutto concordato e condiviso con l'intero governo, c'era il totale accordo del presidente del Consiglio. Il divieto di ingresso nelle acque italiane di questa nave spagnola era a firma mia, del ministro dei Trasporti, Toninelli, e del ministro della Difesa, Trenta, tre firme». Se tre indizi fanno una prova, tre firme fanno «la» prova: la politica dei porti chiusi per la quale Matteo Salvini è stato mandato a processo dal Senato, con l'autorizzazione a procedere per il caso Open Arms, era la cifra dell'intero esecutivo Lega-M5s. Le parole di Salvini, pronunciate ieri mattina ad Aria Pulita su 7 Gold, trovano immediata conferma in due testimonianze, una spontanea e una molto meno, di due protagonisti del governo dell'epoca, due ministri di primo piano, Danilo Toninelli, titolare dei Trasporti, e Giovanni Tria, all'epoca ministro dell'Economia. Partiamo da Tria: «Ho sentito parlare», ha dichiarato l'ex ministro a Stasera Italia, su Rete 4, «di interesse pubblico: per quel governo quello era interesse pubblico. L'informazione stava sui giornali, chi non era d'accordo poteva esprimersi. Ci sono responsabilità collegiali. Non mi ricordo che qualcuno si sia espresso. Mi sembrava», aggiunge Tria, «una decisione molto simile a tutte quelle precedenti. Non voglio dire quello che pensavo perché faccio parte di quel governo: la responsabilità è ovviamente collegiale e tirarsene fuori dopo non è elegante». Parole chiare, per le quali Salvini ringrazia l'ex collega di governo: «Ringrazio Tria», dice il leader del centrodestra, «che ha ammesso che la decisione fu collegiale del governo, c'è chi per tenersi la poltrona venderebbe l'anima al diavolo. Gli ho mandato un messaggino e lui mi ha risposto: è solo la verità. Non è certo un leghista», aggiunge Salvini, «ma un professore universitario ed era un ministro tecnico».Non solo: Tria era uno che della questione Ong-sbarchi-porti chiusi aveva una visione completa, considerato che suo figlio, Stefano Paolo Tria, montatore cinematografico e skipper, come rivelato dalla Verità, nell'aprile del 2019 partecipava a una missione di Mediterranea saving humans, capitanata dall'ex «tuta bianca» Luca Casarini, al timone della nave d'appoggio alla Mare Jonio, un veliero battezzato Raj. Le parole di Tria, dunque, non sono quelle di uno che si trovava a passare per caso da quelle parti. Da Tria passiamo a Toninelli. Salvini pubblica sui suoi profili social un video del 18 maggio 2019, che non ha bisogno di interpretazioni. «Sulla questione dei porti chiusi», chiede un giornalista, «decide Salvini o decide Conte?». «Io gestisco», risponde orgogliosamente Toninelli, «la parte della sicurezza della navigazione fino all'attracco del nave, Salvini gestisce la parte dell'ordine pubblico. Fino a oggi non Salvini, ma Salvini insieme al sottoscritto e al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, abbiamo diminuito di una cifra veramente enorme il numero degli sbarchi. Significa che stiamo facendo un buon lavoro di squadra. L'Italia va avanti a testa alta», si bea Toninelli, «su un problema epocale come quello dell'immigrazione». Bene (anzi, molto male): le parole di Tria e quelle di Toninelli confermano, se ce ne fosse bisogno, che la politica dei porti chiusi, pilastro del governo gialloblù, era condivisa da tutti i componenti dell'esecutivo, anche se ora il Movimento cerca di smarcarsi da quelle decisioni e ha anche la faccia tosta di votare a favore dell'autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini.Il quale Salvini ha gioco facile nel mettere in luce contraddizioni e paradossi del voto dell'altro ieri in Senato: «Spero di non trovare un Palamara», attacca il leader del Carroccio, «un parente di Palamara, un cugino o una amante di Palamara in tribunale a Catania, la prima udienza è fissata il 3 ottobre dopo le regionali. Questo è un processo made in Palamara, ma i giudici alla Palamara sono una minoranza. Dopo Catania ci sarà un provvedimento a Palermo. Se mi invitano anche a Ragusa e Agrigento», ironizza Salvini, «riesco a coprire anche quella parte di questa bellissima isola. Vado con la tranquillità di non aver commesso nulla di male. Si sono offerti 200 avvocati gratuiti a difesa da tutta Italia, pensavo di fare dei pullman. È una vicenda talmente surreale, che vado a processo curioso. A proposito di sondaggi», argomenta Salvini, «se facessi un sondaggio oggi il 90% degli italiani mi chiederebbe di fare la stessa cosa, e quando tornerò al governo farò la stessa cosa. Io non cambio perché torneremo al governo e torneremo a blindare i porti. Non penso che al governo siano solo incapaci, penso che siano complici e ci sia una precisa strategia, quella del casino, casino generale, perché è l'unico modo di restare attaccati alla poltrona. Stati di emergenza senza emergenza, processo a chi ferma gli sbarchi. La loro riposta all'aumento degli sbarchi? Togliere le multe alle Ong. Io vado a processo per sequestro di persona, penso ci sia un atteggiamento criminale di qualcuno che favorisce l'immigrazione clandestina Umore nero? Non mi conoscete. Sono una persona felice e tranquilla», evidenzia Salvini, «anzi se c'è qualcuno che ha sbagliato i suoi conti è probabilmente chi ieri alzava il dito in Parlamento per accusarmi. L'umore nero lo lascio a Matteo Renzi, che non so come dorma con la sua coscienza: io mi tengo ben stretto l'affetto di tanta gente».