2025-01-18
Breton «sfregia» l’Ue per i soldi della finanza
Thierry Breton (Getty Images)
L’ex commissario, padre del Dsa e nemico dei conflitti di interessi di Musk, diventa consulente di Bank of America a quattro mesi dal termine dell’incarico istituzionale. Le regole di Bruxelles prevedono che debbano passare due anni, ma non valgono per tutti...«Mi dispiace, ma io so’ io e voi non siete un c...». La celebre frase con la quale nel «Marchese del Grillo» Alberto Sordi si fa beffe dei popolani, descrive meglio di mille parole l’ultimo episodio di porte girevoli che ha visto come protagonisti un ex commissario europeo, il francese Thierry Breton che dal 2019 al 2024 ha avuto la responsabilità di dirigere mercato interno e i servizi Ue, e la Bank of America, uno dei più importanti istituti di credito a livello globale. I fatti recentissimi, raccontati con dovizia di particolari da Politico, ci dicono che le regole non valgono poi per tutti e che un modo per bypassarle stringi stringi si trova sempre. Le regole, dettate il codice di condotta dell’Unione Europea, dicono infatti che «i ministri» europei devono astenersi da incarichi potenzialmente in conflitto di interessi con quello precedente per un periodo che va da 18 mesi e arriva fino a due anni. Una sorta di cassa temporale di compensazione che limita la possibilità che il ruolo istituzionale ricoperto possa «facilitare» eventuali affari con e tra soggetti privati. Quasi naturale, verrebbe da dire. E dovrebbe essere naturale soprattutto per chi, come Breton, ha speso buona parte della carriera politica a sparare contro i conflitti di interesse altrui e a farci la morale sui rischi di manipolazione delle informazioni. Naturale nella logica, appunto, ma non nella realtà grigia e indefinita di Bruxelles dove pochi giorni fa il Comitato etico della Commissione ha dato il via libera al nuovo incarico dell’ex commissario in Bofa. Breton farà parte del prestigioso consiglio consultivo dell’istituto che ha tra i principali azionisti colossi dell’investimento e del risparmio globale come la Berkshire Hathaway di Warren Buffett. E tutto questo succede a quattro mesi scarsi dalla fine del suo impegno politico a Bruxelles, che risale a metà settembre. Perché la Commissione ha autorizzato Breton? O meglio, Bruxelles come ha giustificato il mancato rispetto della regola dei 18 mesi? Semplice. Secondo gli intransigenti controllori delle regole Ue l’incarico «è compatibile» con i Trattati europei. Breton, infatti, non avrà obblighi né responsabilità al di fuori dei tre incontri stabiliti, ma dovrà comunque rispettare l’obbligo di riservatezza e astenersi da qualsiasi pressione nei confronti dell’esecutivo dell’Unione europea. E ci mancherebbe. Sembra infatti che l’ex commissario (che ha ammesso una retribuzione per il suo nuovo ruolo) si sia impegnato a non esercitare attività di lobbying, in particolare su questioni legate alle sue precedenti responsabilità.Ora, non sfugge a nessuno che non sono certo le tre riunioni all’anno a fare la differenza, quanto quello che farà Breton per il gigante del credito Usa nel tempo che passa tra una riunione e l’altra. E dubitiamo fortemente che Bruxelles si prenda la briga o abbia i mezzi per verificare se il manager transalpino metterà in moto le sue abilità di mediatore per «favorire» un affare o una società grazie agli agganci e alla conoscenze maturate nel corso del suo precedente incarico istituzionale. Molto più prosaicamente, i burocrati Ue hanno deciso di chiudere un occhio per favorire uno dei loro. Anche perché se togli l’attività di lobbyng a quest’Europa resta davvero ben poco. Del marchese del Grillo, poi Breton ha l’atteggiamento. Il padre del Digital Services Act, il regolamento che vuole «educare» i cittadini all’uso degli strumenti digitali, ha in corso battaglie epocali con i grandi tycoon internazionali e non ha mai perso, soprattutto negli ultimi mesi, il vizietto di fare la morale agli altri. Anzi a pensarci bene, e alla luce dell’ultimo incarico, si inquadra meglio anche il recente iperattivismo dell’ex direttore generale di France Télécom. Breton si è preso la scena scagliandosi contro Elon Musk e le potenziali violazioni della normativa sul Digital Services Act: sono previste sanzioni severe, tra cui multe salate e persino un divieto di operare. «Siamo pronti a far rispettare queste leggi per proteggere le nostre democrazie in Europa», ha dichiarato.Motivo? Non sono andate giù le dichiarazioni del patron di X su alcuni governi e partiti europei e in particola modo è risultata indigesta l’intervista alla leader di Afd Alice Weidel per tirare la volata ad Alternative für Deutschland. Così, evocando il precedente delle elezioni in Romania, Breton ha suggerito che le autorità tedesche potrebbero annullare i risultati delle elezioni se queste fossero influenzate da ingerenze esterne o da violazioni legali. Insomma, se vince Afd in Germania, l’Europa si porta il pallone a casa e si rigioca la partita. Incarichi post Bruxelles o elezioni politiche Ue, il senso del ragionamento non cambia: la regole valgono per qualcuno ma non per tutti. Dipende dall’arbitro. E del resto basta ripercorrere il nastro della storia dell’Unione (dall’ex presidente Barroso diventato presidente di Goldman Sachs fino all’ex-commissaria per il Digitale Neelie Kroes indagata nell’Uber-gate e all’europarlamentare finlandese Aura Salla che era lobbista per Meta) per rendersi conto che in Europa è andata sempre così.