True
2023-05-23
«The clearing», il thriller psicologico targato Disney+
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«The clearing» (Disney+)
Un vecchio detto sostiene che la realtà possa sempre superare la finzione, essere spietata in modi che la mente umana, da sola, non sarebbe in grado di concepire. Il mondo che abitiamo sa essere peggiore di quello che potremmo costruire. E, a guardare The Clearing, su Disney+ dal 24 maggio, tutto quel che l’adagio popolare asserisce sembra essere vero. La serie televisiva, la prima produzione originale che Disney abbia avviato in Australia, è tratta in larga parte da un fatto di cronaca, un fatto ormai passato, che il tempo – quantomeno in Italia – ha relegato nel dimenticatoio. È la storia di una setta, di un’insegnante di yoga e di bambini torturati perché raggiungessero una piena coscienza di sé e del mondo. The Clearing è la cronaca di un orrore, sul quale Disney ha ricamato trame parallele.
La serie tv, gli otto episodi che Disney ha realizzato, non segue, passo dopo passo, la genesi del culto noto come The Family. Segue le inquietudini di Freya, le sue angosce di madre, la paura che al figlio possa succedere quel che è successo ad altri: essere rapito e vivere un’infanzia in catene, il cervello lavato via dagli insegnamenti dogmatici di persone pazze. Freya, che nello show ha il volto di Teresa Palmer, vive nel terrore che possa ripetersi quel che è successo ad Amy, bambina della setta (interpretata da Julia Savage). Ed è lo sguardo di queste due entità disgiunte, di Freya come adulto e Amy come infante, che The Clearing restituisce. La serie televisiva, tratta dal romanzo (quasi) omonimo di J.P. Pomare, è costruita su due archi temporali. C’è il passato, con Amy prigioniera della setta, e c’è il presente, dove una Freya ormai grande sembra incapace di scrollarsi di dosso i propri fantasmi. Ha una vita da persona libera e un bambino del quale occuparsi. Eppure, dentro di sé, ha un’anima in catene. Perché, è la domanda che lo spettatore si trova a porsi guardando la miniserie, i suoi primi episodi. Cosa possa collegare Freya al culto, cosa c’entri Amy e come possa Madre – una straordinaria Miranda Otto – credere di agire per il bene dei bambini che ha rapito è quel che ci è richiesto di scoprire.
La trama scorre lenta, senza fretta di svelarsi. The Clearing procede su due linee narrative, riuscendo (cosa rara) a non rendere l’una più coinvolgente dell’altra. C’è Amy e c’è Freya, e c’è una donna, Madre, che ha saputo farsi dea della propria comunità, picchiando e drogando i figli che reputa suoi, affamandoli così da portarli a toccare il loro io profondo. Ci si perde, nel guardare The Clearing, si perde la capacità di dire quale storia sia in grado di esercitare su di noi un’attrattiva maggiore. I quesiti sono tanti, le risposte che vorremmo ricevere impossibile da trovarsi. Ma dietro Amy e dietro Freya, dietro i bambini con i capelli decolorati, c’è qualcosa che chiede, più di altre, di essere affrontato con urgenza: un mistero logico, un assurdo della razionalità. È Madre, la sua convinzione genuina di agire nell’interesse dei suoi bambini, di metterli al riparo dai mali del mondo. The Clearing, a mezza via fra realtà e finzione, è un punto di spunto sugli abissi umani, sulle profondità dell’orrore e sulle possibilità di sopravvivere a queste profondità.
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È la storia di una setta, di un’insegnante di yoga e di bambini torturati perché raggiungessero una piena coscienza di sé e del mondo. The Clearing è la cronaca di un orrore, sul quale Disney ha ricamato trame parallele.Un vecchio detto sostiene che la realtà possa sempre superare la finzione, essere spietata in modi che la mente umana, da sola, non sarebbe in grado di concepire. Il mondo che abitiamo sa essere peggiore di quello che potremmo costruire. E, a guardare The Clearing, su Disney+ dal 24 maggio, tutto quel che l’adagio popolare asserisce sembra essere vero. La serie televisiva, la prima produzione originale che Disney abbia avviato in Australia, è tratta in larga parte da un fatto di cronaca, un fatto ormai passato, che il tempo – quantomeno in Italia – ha relegato nel dimenticatoio. È la storia di una setta, di un’insegnante di yoga e di bambini torturati perché raggiungessero una piena coscienza di sé e del mondo. The Clearing è la cronaca di un orrore, sul quale Disney ha ricamato trame parallele. La serie tv, gli otto episodi che Disney ha realizzato, non segue, passo dopo passo, la genesi del culto noto come The Family. Segue le inquietudini di Freya, le sue angosce di madre, la paura che al figlio possa succedere quel che è successo ad altri: essere rapito e vivere un’infanzia in catene, il cervello lavato via dagli insegnamenti dogmatici di persone pazze. Freya, che nello show ha il volto di Teresa Palmer, vive nel terrore che possa ripetersi quel che è successo ad Amy, bambina della setta (interpretata da Julia Savage). Ed è lo sguardo di queste due entità disgiunte, di Freya come adulto e Amy come infante, che The Clearing restituisce. La serie televisiva, tratta dal romanzo (quasi) omonimo di J.P. Pomare, è costruita su due archi temporali. C’è il passato, con Amy prigioniera della setta, e c’è il presente, dove una Freya ormai grande sembra incapace di scrollarsi di dosso i propri fantasmi. Ha una vita da persona libera e un bambino del quale occuparsi. Eppure, dentro di sé, ha un’anima in catene. Perché, è la domanda che lo spettatore si trova a porsi guardando la miniserie, i suoi primi episodi. Cosa possa collegare Freya al culto, cosa c’entri Amy e come possa Madre – una straordinaria Miranda Otto – credere di agire per il bene dei bambini che ha rapito è quel che ci è richiesto di scoprire. La trama scorre lenta, senza fretta di svelarsi. The Clearing procede su due linee narrative, riuscendo (cosa rara) a non rendere l’una più coinvolgente dell’altra. C’è Amy e c’è Freya, e c’è una donna, Madre, che ha saputo farsi dea della propria comunità, picchiando e drogando i figli che reputa suoi, affamandoli così da portarli a toccare il loro io profondo. Ci si perde, nel guardare The Clearing, si perde la capacità di dire quale storia sia in grado di esercitare su di noi un’attrattiva maggiore. I quesiti sono tanti, le risposte che vorremmo ricevere impossibile da trovarsi. Ma dietro Amy e dietro Freya, dietro i bambini con i capelli decolorati, c’è qualcosa che chiede, più di altre, di essere affrontato con urgenza: un mistero logico, un assurdo della razionalità. È Madre, la sua convinzione genuina di agire nell’interesse dei suoi bambini, di metterli al riparo dai mali del mondo. The Clearing, a mezza via fra realtà e finzione, è un punto di spunto sugli abissi umani, sulle profondità dell’orrore e sulle possibilità di sopravvivere a queste profondità.
Giorgio Locatelli, Antonino Cannavacciuolo e Bruno Barbieri al photocall di MasterChef (Ansa)
Sono i fornelli sempre accesi, le prove sempre uguali, è l'alternarsi di casi umani e talenti ai Casting, l'ansia palpabile di chi, davanti alla triade stellata, non riesce più a proferire parola.
Sono le Mistery Box, i Pressure Test, la Caporetto di Iginio Massari, con i suoi tecnicismi di pasticceria. Sono, ancora, i grembiuli sporchi, le urla, le esterne e i livori fra brigate, la prosopopea di chi crede di meritare la vittoria a rendere MasterChef un appuntamento imperdibile. Tradizionale, per il modo silenzioso che ha di insinuarsi tra l'Immacolata e il Natale, addobbando i salotti come dovrebbe fare l'albero.
MasterChef è fra i pochissimi programmi televisivi cui il tempo non ha tolto, ma dato forza. E il merito, più che dei giudici, bravissimi - loro pure - a rendere vivo lo spettacolo, è della compagine autoriale. Gli autori sono il vanto dello show, perfetti nel bilanciare fra loro gli elementi della narrazione televisiva, come comanderebbe l'algoritmo di Boris. La retorica, che pur c'è, con l'attenzione alla sostenibilità e alla rappresentazione di tutte le minoranze, non ha fagocitato l'impianto scenico. L'imperativo di portare a casa la doggy bag sfuma, perché a prevalere è l'esito delle prove. Il battagliarsi di concorrenti scelti con precisione magistrale e perfetto cerchiobottismo. Ci sono, gli antipatici, quelli messi lì perché devono, perché il politicamente corretto lo impone. Ma, tutto sommato, si perdono, perché accanto hanno chi merita e chi, invece, riesce con la propria goffaggine a strappare una risata sincera. E, intanto, le puntate vanno, queste chiedendo più attenzione alla tradizione, indispensabile per una solida innovazione. Vanno, e poco importa somiglino alle passate. Sono nuovi i concorrenti, nuove le loro alleanze. Pare sempre sincero il divertimento di chi è chiamato a giudicarle, come sincero è il piacere di vedere altri affannarsi in un gesto che, per ciascuno di noi, è vitale e quotidiano, quello del cucinare.
Bene, male, pazienza. L'importante, come ci ha insegnato MasterChef, è farlo con amore e rispetto. E, pure, con un pizzico di arroganza in più, quella dovuta al fatto che la consuetudine televisiva ci abbia reso più istruiti, più pronti, più giudici anche noi del piatto altrui.
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Ecco #DimmiLaVerità del 12 dicembre 2025. Il nostro Alessandro Da Rold ci rivela gli ultimi sviluppi dell'inchiesta sull'urbanistica di Milano e i papabili per il dopo Sala.