2022-09-05
Il tetto al prezzo del petrolio è l’ennesimo autogol
Proteste a Praga contro il caro bollette (Ansa)
Siccome l’embargo del petrolio russo non ha funzionato, il G7 ci riprova con il tetto al prezzo del greggio esportato da Mosca. Come in precedenza con le sanzioni economiche, prima fra tutte l’esclusione dal circuito delle transizioni finanziarie internazionali, questa sarebbe l’arma finale dell’Occidente contro Vladimir Putin.Una mossa inaspettata, capace di imprimere una svolta al conflitto in Ucraina: o per lo meno questo è ciò che raccontano sui principali giornali. «Una misura del genere può realizzare uno strangolamento finanziario della Russia più efficace di qualsiasi altra sanzione» ha scritto sul Corriere della Sera Federico Fubini, spiegando che la decisione produrrà effetti devastanti, più del tetto al prezzo del gas che la Ue auspica ma non si decide a imporre. Lo zar del Cremlino, a seguito del blocco delle quotazioni dei barili russi, vedrebbe infatti ridursi gli introiti con cui in questi mesi ha finanziato la sua macchina da guerra e alla fine sarebbe ricondotto a più miti consigli, costretto ad accettare una tregua, se non addirittura la resa.Dal canto nostro, noi non siamo esperti di geopolitica come Fubini, già noto per aver azzeccato le previsioni ai tempi del Conte uno, quando anticipò procedure d’infrazione europee che mai arrivarono. D’altro canto, non siamo neppure operatori sul mercato delle materie prime o strateghi di complesse operazioni finanziarie. Tuttavia, essendo semplici cronisti, siamo abituati a verificare ciò che viene dato per certo e, soprattutto, a non berci come acqua fresca qualsiasi assicurazione. Da quando le truppe di Mosca hanno sorpassato il confine dell’Ucraina e preso d’assalto Kiev, quasi nessuna delle promesse spacciate dai grandi della Terra è stata mantenuta. L’esclusione dal circuito Swift, come detto, non è servita a mettere con le spalle al muro Putin e nemmeno l’embargo del petrolio ha raggiunto gli scopi che l’Occidente si era prefisso. Tralascio le previsioni che assicuravano il default russo in poche settimane, se non addirittura giorni, come ebbe a confidare sempre al Corriere della Sera Enrico Letta. I sequestri dei patrimoni degli oligarchi e il congelamento delle riserve di Mosca hanno prodotto gli stessi risultati di cui sopra, cioè niente o quasi, al punto che dopo oltre sei mesi di guerra nessuno sa prevedere quando finirà, mentre a tutti è chiaro che il conflitto stia facendo danni irreparabili alle economie occidentali, come mai era accaduto in precedenza.Tornando al tetto al petrolio, da giorni cerchiamo di capire che cosa accadrà qualora la Russia decida di non sottostare all’imposizione del G7. Detto in altre parole, proviamo a immaginare le conseguenze nel caso in cui Putin blocchi le esportazioni di greggio. Certo, l’economia russa ne risentirebbe e non poco, ma che accadrebbe sul mercato se mancassero i 10 milioni di barili al giorno che la Russia esporta? La risposta degli esperti (veri) non lascia dubbi. Il calo dell’offerta, in costanza di una domanda crescente intorno ai 100 milioni di barili, provocherebbe un aumento dei prezzi. Nessuno è in grado di definire con certezza di quanto aumenterebbero, ma si parla di 200, forse addirittura 300 dollari al barile, che se confrontati con le attuali quotazioni, intorno ai 90 dollari, sarebbero un’ulteriore botta per le già fragili economie dei Paesi occidentali. Cioè, come con gli interventi sul prezzo del gas, si rischia uno sconquasso e anziché fermare Putin il pericolo è fermare il Pil dell’Europa, provocando una grande recessione. Del resto, che all’interno dell’area euro si faccia poco affidamento su misure come il price cap energetico, lo dimostra un fatto, ossia che Germania e Francia, ossia la spina dorsale della Ue, stiano varando misure a sostegno di piccole e medie imprese, senza dimenticare le famiglie. In molti Paesi europei, di fronte al caro bollette e al pericolo di tensioni sociali (a Praga e in Germania protestano, in Gran Bretagna il movimento che invita a non pagare luce e gas si sta diffondendo) si stanno varando aiuti per decine e decine di miliardi. E in Italia? I consumatori possono stare tranquilli: il Pd ha deciso di scendere in piazza. Sarà forse Enrico Letta a pagare le bollette di pensionati e imprese? Oppure verrà il giorno che le piazze chiederanno conto di errori e omissioni alla politica?
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)