2018-11-04
Terremoto edilizia convenzionata. Si rischiano rimborsi per 20 miliardi
La Cassazione ha stabilito che non è lecito rivendere a prezzi di mercato la casa ottenuta in regime agevolato. Chi l'ha fatto deve ridare la differenza. Coinvolti un milione di immobili. Una via d'uscita c'è, ma si paga cara.Il notaio: «Chiediamo al più presto una legge che faccia chiarezza o sarà il caos. Solo a Roma ci saranno 250.000 contenziosi».Lo speciale contiene due articoliIl problema potrebbe interessare oltre un milione di immobili in Italia e comportare rimborsi superiori ai 20 miliardi di euro. Sono le stime del Comitato venditori 18135, un gruppo di persone ridotte sul lastrico dalla sentenza della Cassazione 18135 del 2015, quella che ha deciso che le case acquistate in regime di edilizia agevolata non potevano proprio essere rivendute a prezzi di libero mercato.Un provvedimento con valore retroattivo che ha innescato una serie di richieste di risarcimento da parte degli acquirenti che hanno comprato immobili costruiti grazie ai piani di edilizia economica e popolare - i cosiddetti Peep - istituiti con la legge 167/1962 e modificati con la legge 865/1971.In poche parole, potenzialmente, tutti gli immobili Peep comprati a partire dagli anni Settanta potrebbero essere oggetto di un contenzioso legale mirato a chiedere un risarcimento. La legge, almeno in teoria, parlava chiaramente (anche se ogni Peep poteva avere vincoli specifici decisi dalle amministrazioni comunali): chi comprava un immobile in edilizia agevolata aveva il divieto di rivendita prima dei cinque anni dall'acquisto e, in molti casi, possedeva la sola proprietà superficiaria dell'immobile, tipicamente della durata di 99 + 99 anni. In parole povere, l'immobile non era per sempre di proprietà, ma solo per un limitato numero di anni. In compenso l'immobile costava poco. Visto che allo scadere dei cinque anni (o del tempo deciso dal singolo piano di edilizia, al massimo dieci di solito) dall'acquisto era possibile rivendere la casa a prezzi di mercato, non sono mancati i cittadini che - supportati da un notaio e credendo di rispettare la legge - lo hanno fatto. Persone che hanno comprato una casa, ad esempio, a 100.000 euro e che l'hanno rivenduta a 300.000, complice anche il boom che dal 1971 si è verificato sul mercato del mattone. Poi, a settembre 2015 è arrivata la doccia fredda: con la sentenza 18135, le Sezioni unite della Cassazione hanno stabilito - al contrario - che i vincoli ci sono, perché discendono direttamente dalla legge (la 865 del 1971 appunto) e non importa se le convenzioni non ne parlano: i limiti di vendita seguono l'immobile senza scadenze. Ciò significa che la stessa casa comprata a 300.000 euro ora è di colpo tornata a valere 100.000 euro.Via così a una pioggia di richieste di rimborso che, si stima, si aggirano in media intorno ai 200.000 euro per abitazione. Il bubbone è scoppiato in primis a Roma, dove il Comune nel corso degli anni ha schiacciato l'acceleratore sull'edilizia agevolata. Nella capitale ci sono 200.000 case che potenzialmente possono avere questo problema per un giro di rimborsi che si dovrebbe aggirare intorno ai sei miliardi di euro. Ma il problema riguarda tutta Italia. Prima di gridare all'apocalisse, va però fatta una precisazione. Non è detto che per tutti gli immobili acquistati si debba andare incontro a un contenzioso legale. Questo avverrà solo se l'acquirente deciderà di procedere legalmente contro il venditore.Come al solito, particolarmente a Roma, il problema è nato perché i vincoli previsti per ogni Peep spesso non erano sufficientemente chiari e, ogni volta che il proprietario di un immobile realizzato in edilizia agevolata si presentava in Comune per chiederne la vendita, veniva rilasciato un nulla osta che autorizzava la cessione a qualsiasi prezzo, visto che nelle convenzioni in vigore non si riscontravano vincoli.Cosa devono fare dunque i proprietari di questi immobili per togliersi di dosso questa grana? Il primo passo da compiere è quello di informarsi in Comune facendosi spiegare per filo e per segno i vincoli di vendita applicati al proprio immobile e, successivamente, procedere a una affrancazione. Questo termine tecnico indica che, al pagamento di una certa somma concordata con l'amministrazione comunale di competenza, tutti i vincoli decadano se, però, sono passati almeno cinque anni dall'acquisto dell'immobile. Questa possibilità è stata stabilita nel 2011 e prevede il pagamento da parte del proprietario di una somma che può oscillare tra i 10 e i 50.000 euro. Non pochi, ma sempre meno rispetto ai risarcimenti nell'ordine delle centinaia di migliaia di euro. Il bello è che, nonostante la possibilità di procedere all'affrancazione dell'immobile, molti Comuni hanno comunque continuato a rilasciare nulla osta in tempi recenti, diventati poi carta straccia in seguito alla sentenza della Cassazione e inguaiando di fatto i proprietari (ignari) degli immobili. Purtroppo, però, non è tutto così semplice. Infatti, come detto, se il proprietario non è nel bel mezzo di un processo di vendita, allora l'affrancazione rappresenterà la soluzione a tutti i mali. Da qui il consiglio di procedere il prima possibile per dormire sonno tranquilli. Ma il problema è che la legge non è chiara nel caso in cui l'immobile sia già stato ceduto a prezzi di mercato (pur essendo sottoposto a vincoli) e l'attuale proprietario abbia deciso di fare causa per un rimborso al precedente condomino. Bisogna procedere per forza al rimborso o basta che l'ex proprietario paghi l'affrancazione? La risposta la possono dare i giudici, caso per caso.Per questo il primo marzo 2018 è nato un comitato a Roma proprio sul tema della sentenza 18135. A inizio 2018 è arrivata «una sentenza di primo grado in cui un venditore è stato condannato alla restituzione di circa 300.000 euro», spiegano dal comitato 18135. «Nel frattempo, altre decisioni della Cassazione, seppur in città diverse da Roma, hanno ribadito quanto affermato dalla 18135/2015».È chiaro che in questo caso i cittadini sono stati vittima di una legislazione poco chiara, ribaltata di colpo dalla Cassazione. Il punto è che al momento ogni caso viene deciso solo dai giudici in Tribunale, senza che vi sia una norma ad hoc istituita dal governo. Molte istituzioni, tra cui il Consiglio nazionale del notariato, si stanno muovendo per sollecitare un provvedimento che metta la parola fine a questa vicenda, magari imponendo per legge che si debba solo affrancare l'immobile senza procedere a pesanti rimborsi. Ma, al momento, tutto tace.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/terremoto-edilizia-convenzionata-si-rischiano-rimborsi-per-20-miliardi-2617696565.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-proprietari-possono-perdere-fino-a-200-000-euro" data-post-id="2617696565" data-published-at="1758066028" data-use-pagination="False"> «I proprietari possono perdere fino a 200.000 euro» Il Consiglio nazionale dei notai sta dialogando con le forze parlamentari per trovare una soluzione al problema delle case vendute in edilizia convenzionata. Ne abbiamo parlato con Francesco Gerbo, componente del consiglio notarile di Roma che, da tempo, sta seguendo la questione. Cosa si sta facendo per risolvere la situazione? «Quello che preoccupa molto il notariato è il numero potenziale di contenziosi che si possono generare a seguito della sentenza della Cassazione. A Roma si tratta potenzialmente di 200-250.000 casi. Il Consiglio nazionale del notariato si è subito fatto carico del problema cercando un dialogo con le istituzioni. Stiamo cercando di spiegare che l'oggetto del contendere non è il rimborso tra il prezzo pagato e quello che si sarebbe dovuto pagare, ma semplicemente quello dell'affrancazione». Ma perché il problema è partito da Roma? «Si tratta di una questione di numeri. Innanzitutto è un tema di densità abitativa superiore rispetto ad altre città in Italia. Inoltre, soprattutto negli anni Ottanta e Novanta, il Comune di Roma, per far fronte alla esigenze abitative che erano molto pressanti ha affrontato il fenomeno offrendo piani di edilizia agevolata. Altre città hanno fatto molto meno ricorso a questo strumento». Di che cifre stiamo parlando per i rimborsi? «La forbice, mediamente, va dai 150 ai 200.000 euro. Si tratta della differenza tra il prezzo pagato a seguito della vendita e il prezzo imposto dalla legge dopo la sentenza della Cassazione. Ci sono case a Roma vendute a 350.000 euro che in realtà, secondo la norma, avrebbero dovuto essere vendute a 120-130.000 euro. Moltiplicando questo differenziale per le oltre 200.000 case nella capitale, si fa presto ad arrivare intorno a 5,5-6 miliardi. Certamente questa problematica si verifica maggiormente nei centri, come Roma e Milano, dove il valore di mercato degli immobili è ben più alto rispetto a quello imposto dall'edilizia agevolata. In altri città, dove il mattone non ha corso tanto, il problema è certamente minore». Queste persone hanno realizzato la compravendita facendo affidamento su un notaio, perché nessuno ha posto l'accento su questo problema? «Il notaio, al momento della stipula, segue la legge prevista in quel momento. Prima della sentenza 18135, tutte le parti coinvolte - banche, notai e persino la Cassazione stessa - ritenevano che, decorsi i termini di legge, gli immobili in questione fossero liberamente commerciabili a prezzo di mercato. Poi, la Cassazione, che si è pronunciata a sezioni unite perché la materia è particolarmente complessa, ha emesso la famosa sentenza del settembre 2015. La scelta di pronunciarsi a sezioni unite è stata fatta per dare un chiaro indirizzo e rispondere anche a precedenti decisioni del supremo collegio». Cosa si sta cercando di fare a livello normativo? «Il Consiglio nazionale ha dato il via a un lavoro abbastanza articolato per parlare con le forze parlamentari che, però, si sono insediate da poco e devono far fronte a problemi più urgenti come i rapporti con l'Europa o i problemi di Genova». Quindi al momento non c'è una soluzione? «Il notariato vuole sensibilizzare il legislatore a fare una legge che si preannuncia complessa perché deve fare ordine con una sentenza della Cassazione che ha stravolto tutto. Solo un intervento normativo può risolvere tutto, se no tutto viene rimandato ai singoli giudici con ogni singolo caso. Intanto, il Comune di Roma ha assunto una delibera per snellire al massimo le procedure di affrancazione. Almeno per evitare l'imbuto a seguito della sentenza 18135».