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2023-07-31
Non sparate sul tassista
(IStock)
Sono il nemico numero uno di questa estate. Più dell’afa, ai tassisti sono state dedicate pagine intere sui giornali e servizi televisivi accompagnate dalle immagini di lunghe file di turisti spazientiti alle uscite delle stazioni o nei posteggi dei centri storici. Il commento univoco è che il servizio taxi è insufficiente. A questo si accompagnava l’accusa più o meno esplicita di essere campioni dell’evasione per lo scarso utilizzo del Pos. E poi carrellata di confronti con le capitali europee per giungere alla conclusione che l’Italia è inadeguata ad accogliere grandi numeri di turisti.
Qualcuno è arrivato a prospettare, in modo paradossale, che la candidatura di Roma ad ospitare l’Expo 2030 potrebbe essere compromessa proprio dalla carenza del numero di taxi. Come se gli altri problemi della capitale, a cominciare proprio dal servizio pubblico, fossero irrilevanti.
Questa estate si è trasformata nello stress test sulla capacità delle auto bianche di far fronte a picchi turistici importanti. E la categoria non ha passato l’esame. Ecco quindi che è stato riproposto il tema delle licenze, dell’ampliamento del raggio operativo degli Uber con le polemiche che ne conseguono quando si tocca un argomento così sensibile. I rappresentanti di categoria parlano di strumentalizzazione finalizzata a spalancare il mercato alle multinazionali e ribattono punto su punto alle accuse, fino a contestare i dati del confronto con altri Paesi europei.
Dove sta la verità? Ammesso che si possa arrivare a una conclusione univoca. Davvero nelle nostre città c’è la caccia all’auto bianca, 12 mesi l’anno e 24 ore al giorno? Si può parlare di emergenza?
Per capirne di più, abbiamo dato voce ai diretti interessati, spesso ignorati e lo scenario forse deluderà chi ama le crociate contro alcune categorie.
La prima tappa è Roma. Per giorni è rimbalzata l’immagine dell’uscita dalla Stazione Termini con una lunga fila di turisti al posteggio dei taxi alternata con focus simili nel centro storico, qui con l’aggravante mediaticamente di maggior effetto degli utenti sotto il sole, grondanti di sudore. Siccome tutti i servizi si sono focalizzati sulle invisibili auto bianche, nessuno si è premurato di chiedere a quanti erano in fila se prima avessero atteso invano un bus o se, una volta arrivato, fosse stato impossibile salire a bordo per il sovraffollamento. La situazione del servizio trasporto pubblico della capitale è da mesi caratterizzata da quasi tutta la linea tram in manutenzione, cantieri aperti ovunque e una metropolitana che, oltre a guasti ripetuti, chiude alle 21. È chiaro che in queste condizioni la velocità con cui i taxi possono garantire il servizio diminuisce, contro una domanda che aumenta. Bisogna ricordare anche che i taxi non possono sostituire il trasporto pubblico cittadino, ma possono soltanto integrarlo. Pertanto è impossibile pensare che siano in grado di soddisfare i bisogni di tutta l’utenza.
Che fine hanno fatto le seconde guide? Le associazioni dei tassisti sostengono di averle richieste da gennaio ma la delibera è arrivata sei mesi dopo e comunque la piattaforma non è mai decollata per l’iter burocratico troppo lungo. Probabilmente l’amministrazione capitolina deve aver sottovalutato le stime del boom turistico altrimenti non avrebbe trasformato la città in un cantiere con tutti i problemi alla viabilità che questo comporta.
Seconda tappa: Milano. La città del business si è trasformata in una meta turistica. Anche qui zoom all’uscita della stazione Centrale con le file di chi cerca un taxi. Nessuna menzione, dai media, dei cantieri che ostacolano la viabilità (come se l’estate fosse l’unico momento per fare il restyling alla città), sicché talvolta per arrivare a destinazione il tassista impiega il triplo del tempo. Ed ecco che l’utente deve aspettare. La categoria fa presente che c’è anche il problema dei posteggi, che sono sempre meno. A quanto pare la giunta Sala preferisce destinarli ai residenti. Nella città è molto sentito il tema della sicurezza, sicché invece del trasporto pubblico, sempre più milanesi preferiscono il taxi. E la metropolitana? Secondo i sindacati, guai a dire al sindaco Sala di farla viaggiare anche di notte perché è poco remunerativa.
Terza tappa: Firenze. Qui la situazione sarebbe tornata alla normalità dopo un picco che ha messo in difficoltà la categoria come peraltro tutti gli esercizi dell’ospitalità e della ristorazione della città.
Sull’aumento del numero delle licenze la categoria non ha un no pregiudiziale ma fornisce alcune considerazioni che meriterebbero una riflessione. Innanzitutto le analisi sul fenomeno del boom turistico che non solo è circoscritto ai mesi estivi centrali ma potrebbe rientrare già dal prossimo anno. L’inflazione stenta a scendere e mangia gli stipendi e i risparmi accumulati durante il lockdown che hanno facilitato i viaggi. Secondo alcuni analisti, siamo di fronte a una bolla destinata a sgonfiarsi a breve.
I picchi di flusso nelle città sarebbero quindi episodici e non tali da giustificare un allarmismo e una valanga di nuove licenze. Nei mesi «morti» dal punto di vista degli spostamenti, i taxi restano parcheggiati per ore. Moltiplicarne il numero oltre che ingiustificato potrebbe creare disagi con posteggi intasati che ostacolano la viabilità.
Sui confronti con le città europee, meritano un’analisi alcuni dati forniti da Uritaxi. Emerge che, come spesso accade, si mettono sullo stesso piano realtà diverse. Mentre in Italia il servizio taxi è comunale, a Parigi, Madrid o Atene il bacino è più ampio. Va considerato anche che in alcune metropoli il flusso passeggeri aereo e ferroviario è superiore a quello delle nostre città e quindi genera una domanda superiore.
«Sala ci taglia i posteggi in centro, logico che la gente resti a piedi»
«È una strumentalizzazione per nascondere i veri problemi della città. Prima ci tolgono i posteggi e se gli utenti si lamentano che non trovano il servizio, ci accusano di scarsa efficienza, che è il presupposto per poter dire che le licenze non sono sufficienti. Ma vorrei far presente al sindaco Sala che i problemi del trasporto pubblico non si possono scaricare sui tassisti. I taxi non sono sostitutivi della metropolitana, dei tram e dei bus ma sono integrativi». Luciano Barletta, vicepresidente Tam, i Tassisti artigiani milanesi, è un fiume in piena.
Andiamo con ordine. A giudicare dalle lunghe file di attesa alla stazione Centrale, l’emergenza è reale.
«Se le persone sono incolonnate alla fermata dei taxi è perché magari arriva contemporaneamente un Frecciarossa e un Italo e scaricano 500-600 persone. Quindi non basta far vedere certe immagini, bisognerebbe spiegare anche perché si formano le file. E poi bisognerebbe fermarsi a vedere cosa succede. Ovvero che nel giro di un quarto d’ora, chi attende trova un taxi ed è portato a destinazione. Per onesta intellettuale infine bisognerebbe dire quale è la situazione a Milano».
E quale è la situazione?
«Innanzitutto stanno scomparendo i nostri posteggi. L’ultimo caso è quello a Largo Augusto, alle spalle del Duomo. È il quinto o sesto che viene soppresso nel giro di pochi giorni. Le persone abituate ad avere quel riferimento, restano disorientate. Qualcuno mi dica come sarebbe compatibile il taglio dei posteggi con l’aumento delle licenze. Dove li mettiamo i taxi? Poi ci sono i cantieri che ostacolano la viabilità, sicché talvolta per arrivare a destinazione impieghiamo il triplo del tempo. Ed ecco che l’utente deve aspettare. Aggiungiamo il fattore sicurezza. A Milano manca il controllo del territorio, scippi, aggressioni sono all’ordine del giorno e le persone preferiscono, specie di notte, prendere un taxi per spostarsi. L’Atm ha registrato un calo passeggeri del 30%. Che dire poi della metropolitana che chiude a mezzanotte. E siccome spesso si fanno confronti con altre capitali europee, a Stoccolma l’Atm ha in gestione la metropolitana che viaggia tutti i giorni e per 24 ore al giorno. Ma il sindaco Sala ci dice che viaggiare 24 ore non è remunerativo. Siamo alla follia, però la colpa è dei tassisti. Vorrei ricordare che il taxi è un servizio integrativo e non sostitutivo del servizio pubblico di linea. Poi l’assessore Marco Granelli, ci viene a dire che Milano deve crescere e che i tassisti non possono ostacolare lo sviluppo della città. Ma di quale sviluppo si parla, se la rete del trasporto pubblico è così carente».
Se è una polemica strumentale, a chi giova?
«Di certo non a Milano e ai milanesi. È una battaglia politica da parte della giunta per intestarsi la vittoria di emettere nuove licenze. Ma ammesso che si arrivi a questo punto, dove andranno i taxi in più dal momento che i posteggi sono stati tagliati, o sono ingombrati da auto private? Non si vuole ammettere che c’è un problema di mobilità e più licenze non potrebbero risolverlo».
Ma voi sareste disponibili ad aumentare le licenze, qualora la posta in gioco fosse lo sviluppo della città?
«Noi saremmo ben felici che Milano crescesse ma tutti gli attori in gioco devono assumersi le proprie responsabilità mentre qui si fa lo scarica barile dell’amministrazione verso i tassisti. E noi non siamo disposti farci carico di colpe non nostre. Non abbiamo il dogma del “no licenze”, ma vorremmo che fossero attuate le norme previste dalla legge Bersani, cioè le seconde guide e le licenze temporanee per far fronte a un periodo eccezionale, che non può essere la normalità. Gli economisti concordano sul fatto che questa estate c’è stata una bolla per il turismo che è destinata a rientrare. Abbiamo sempre mostrato disponibilità a discutere con l’amministrazione comunale».
Con quale risposta?
«Nessuna. La giunta non ci ascolta. Vorremmo creare una sinergia sul modello di quanto fatto per l’Expo e alla fine tutti erano soddisfatti».
A proposito dell’Expo 2030, vi si accusa di far fallire l’assegnazione all’Italia.
«Qualche giornale ha scritto che l’Arabia sarebbe avvantaggiata perché Roma ha pochi taxi. Ci hanno accusato anche di aver fatto cadere il governo Draghi. Siamo al paradosso. Ma chi ci attacca dovrebbe andare a vedere i disservizi nei trasporti pubblici. Recentemente ci sono stati due concerti in contemporanea, a San Siro e all’Ippodromo ma chi voleva prendere un taxi si è trovato in difficoltà, ha dovuto fare un lungo tratto di strada a piedi, perché noi non abbiamo la corsia preferenziale. Il posteggio davanti a San Siro è sparito. Sembra quasi fatto apposta per far vedere che mancano i taxi».
Siete anche accusati di evitare spesso l’uso del Pos.
«È una favola metropolitana. La Regione Lombardia tutti gli anni verifica, attraverso persone che viaggiano sui taxi in incognito, la qualità dei servizi, tra i quali ci sono il tariffario e l’uso del Pos. Nell’indagine di febbraio scorso è emerso che il 97% dei tassisti ha usato il sistema elettronico di pagamento».
E la polemica sollevata da Selvaggia Lucarelli che fa vedere un tassista riluttante?
«Se manca la linea per far funzionare il Pos, non si può dare la colpa al tassista. Dietro questo accanimento mediatico si nasconde il disegno di liberalizzare il settore a favore delle multinazionali. A perderci sarà l’utente. Ora viaggia alla stessa cifra anche la notte di Capodanno, ma con le multinazionali sarà costretto a pagare di più. Se si vuole andare in questa direzione, lo dicano chiaramente».
«Metro inefficiente e bus rotti ma a Roma danno la colpa a noi»
«A Roma il problema non è la mancanza di taxi ma la criticità del sistema del trasporto pubblico in generale che si vuole coprire, concentrando l’attenzione mediatica su tassisti. Per non parlare poi del traffico e la velocità commerciale bassissima con cui dobbiamo fare i conti quotidianamente. Ma noi, dopo un paio di mesi di emergenza, simile a quello che hanno avuto gli albergatori e i ristoratori, con il boom del turismo di entità mai viste prima, ora siamo tornati alla normalità. Le lunghe code non ci sono più». Alessandro Genovese, responsabile dell’Ugl Taxi, attivo nella capitale, risponde al telefono mentre, dice, «sono parcheggiato da circa 20 minuti sotto il sole». E in attesa che qualcuno salga nell’auto, si sfoga: «Secondo la stampa che ci attacca noi avremmo dovuto far fronte all’aumento esponenziale di turisti a Roma, colmando le carenze del servizio pubblico. Avremmo dovuto compensare una metropolitana che si ferma alle nove di sera ed è spesso sospesa per guasti alla linea, alle diverse linee tram interrotte a causa dei lavori alle rotaie, ai bus Atac in manutenzione. Allora siccome i mezzi pubblici funzionano a scartamento ridotto, ecco che qualcuno si stupisce se al posteggio dei taxi si formano le code. Ma i taxi non sono sostitutivi di bus, tram e metropolitana, anche se sembra che questa estate tutti se lo siano dimenticato». Il sindacalista spiega che anche la soluzione della doppia guida, prevista dalla legge Bersani, è stata concessa dal sindaco Roberto Gualtieri, «in ritardo, perchè l’amministrazione ha sottovalutato le previsioni sul turismo estivo». Ci si è messa di mezzo la burocrazia, incapace di accelerare anche nelle emergenze. Genovese spiega che la richiesta della doppia guida «è stata inoltrato dalla categoria a gennaio ma la delibera è arrivata solo a metà giugno. L’assessorato ha attivato la procedura online di autorizzazione ma si richiedeva il doppio passaggio alla Camera di commercio e all’Agenzia delle entrate. Risultato: dal 16 giugno, le prime pratiche si stanno concludendo solo ora, ma ormai l’emergenza è passata. La prossima settimana a gruppi i colleghi in andranno in ferie, perché siamo troppi». Eppure c’è chi sostiene che questa estate si sono svolte le prove generali di quello che potrebbe accadere se Roma si aggiudicasse l’Expo 2030. «So bene che si vorrebbero aprire le porte alle multinazionali e la soluzione più facile è addossare la colpa ai tassisti delle inefficienze del trasporto urbano», incalza Genovese. E chiude all’ipotesi di un aumento delle licenze. «Se in estate ci sono picchi di traffico turistico, nel resto dell’anno, abbiamo mesi in cui siamo posteggiati per ore. Il decreto Bersani fornisce gli strumenti per affrontare l’aumento di domanda stagionale, con interventi temporanei». La situazione alla stazione Termini è indicativa di ciò che accade a Roma. «Chi arriva di sera con il treno, nella Capitale, si trova davanti un piazzale vuoti di bus, la metropolitana ferma per guasti e allora è ovvio che va a allungare la fila ai taxi. Allora prima di parlare di nuove licenze, va sistemata la rete del trasporto pubblico. Stiamo ancora ammortizzando gli effetti delle 2.400 nuove licenze concesse nel 2006. Spazio per altre non ce n’è».
E per quanto rigurda i Pos che - è l’accusa - non funzionano mai? « È una favola» replica Genovese. «Tutti i miei colleghi lo usano perché vige d’obbligo negli statuti delle cooperative e poi è previsto l’obbligo da regolamento comunale e da una legge nazionale. È un altro tentativo strumentale per fare pubblicità alle piattaforme multinazionali con sede nei paradisi fiscali… altro che evasione».
«Fuorvianti i paragoni con l’estero»
«Il tema non è che non ci sono taxi ma che ci sono solo taxi, quando vanno in tilt i bus. Da quando il servizio Ataf a Firenze è stato privatizzato nel 2011 da Renzi, i sindacati dei tranvieri dicono che saltano l’80% delle corse». Claudio Giudici, presidente di Uritaxi, descrive la situazione nel capoluogo toscano, altra città d’arte presa d’assalto dai turisti. «Io presiedo il 4390, una delle principali cooperative di radio taxi di Firenze e spesso i miei associati mi riferiscono di passeggeri che, estenuati dall’attesa di ore dei mezzi pubblici, alla fine saltano su un taxi. Ma questa non è la nostra clientela abituale che invece dovrebbe essere in larga maggioranza rappresentata da professionisti o turisti. E se siamo distratti da quanti preferirebbero salire su un tram o su un bus, ecco che finiamo per trascurare chi invece abitualmente utilizza il taxi. Perché stupirsi quindi se si formano le file ai posteggi». Come è ora il traffico a Firenze? «È vero, siamo andati in difficoltà per un paio di settimane», ammette il sindacalista, «ma come tutti gli esercizi, dagli alberghi ai ristoranti. Immaginavamo che dopo la pandemia ci sarebbe stata una reazione al lockdown con una maggiore voglia di viaggiare ma mai ci saremmo aspettati un’affluenza tale. Però concentrare tutta l’attenzione mediatica su di noi, con le immagini ripetute delle lunghe file di persone sotto il sole in attesa del taxi, mi è sembrato strumentale. Tanto più che nel giro di pochi giorni la situazione si è normalizzata. Noi siamo l’ultimo anello del trasporto urbano, però è più comodo concentrare l’attenzione su 40.000 partite Iva in tutta Italia e 27.000 taxi piuttosto che sulle grandi compagnie aeree, ferroviarie e sul trasporto pubblico di linea». Come a Roma e a Milano, anche a Firenze, spiega Giudici, «questa estate c’è stata una situazione straordinaria ed episodica. Se l’intenzione del governo è di incrementare il turismo non abbiamo pregiudizi sull’aumento delle licenze ma deve essere l’ultima delle soluzioni. Il ministro Salvini ha parlato di valorizzare le attuali licenze, con la doppia guida e le licenze stagionali. Ed è ciò a Firenze abbiamo fatto. Se vengono date troppe licenze non sappiamo nemmeno dove parcheggiare nei mesi di minor afflusso turistico, come durante il Covid». Federconsumatori sostiene che il 42% delle corse, a livello nazionale, sono evase. «Sicuramente si riferisce ai picchi, non è la normalità. Se la prima chiamata non va a buon fine, di sicuro alla seconda l’utente ha il taxi». Giudici smonta anche il confronto con altre città europee. «I dati forniti da alcuni giornali sono fuorvianti. L’errore di fondo è di non considerare il corretto bacino di abitanti servito. Mentre in Italia il taxi è un servizio comunale, a Madrid e ad Atene è regionale, e a Parigi riguarda quattro departments, cioè oltre a Parigi, Hauts de Seine, Seine St Denis, Val de Marne, Val d’Oise. Ci sono poi altri fattori che incentivano la richiesta di taxi, quali il flusso passeggeri aereo e ferroviario, ben più basso in Italia rispetto ai diretti competitor europei, o quelli che la disincentivano come la diffusione del mezzo privato, per cui l’Italia detiene il record europeo dopo il Lussemburgo». Il sindacalista riporta l’analisi della società di consulenza Kmpg, che nel 2017 puntualizzò: «Il mercato italiano del servizio taxi è in linea sia per tariffa praticata che per numerosità taxi per abitante, con le principali città europee».
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«Evasori», «corporativi», «bulli»: i conducenti delle auto bianche sono il nemico pubblico dell’estate. In realtà scontano sulla loro pelle le mancanze del trasporto pubblico e l’inettitudine della politica.Il vicepresidente della sigla milanese Tam Luciano Barletta: «La giunta meneghina porta avanti battaglie strumentali perché vuole intestarsi il merito delle nuove licenze e preparare il terreno allo sbarco delle multinazionali».Alessandro Genovese, dell’Ugl: «Sulla doppia guida ritardi e troppa burocrazia».Claudio Giudici, Uritaxi: «Le lunghe file viste in tv riguardano periodi di afflusso straordinario dei turisti. Il confronto con Parigi o Madrid? Lì il bacino è diverso».Lo speciale contiene quattro articoli.Sono il nemico numero uno di questa estate. Più dell’afa, ai tassisti sono state dedicate pagine intere sui giornali e servizi televisivi accompagnate dalle immagini di lunghe file di turisti spazientiti alle uscite delle stazioni o nei posteggi dei centri storici. Il commento univoco è che il servizio taxi è insufficiente. A questo si accompagnava l’accusa più o meno esplicita di essere campioni dell’evasione per lo scarso utilizzo del Pos. E poi carrellata di confronti con le capitali europee per giungere alla conclusione che l’Italia è inadeguata ad accogliere grandi numeri di turisti. Qualcuno è arrivato a prospettare, in modo paradossale, che la candidatura di Roma ad ospitare l’Expo 2030 potrebbe essere compromessa proprio dalla carenza del numero di taxi. Come se gli altri problemi della capitale, a cominciare proprio dal servizio pubblico, fossero irrilevanti.Questa estate si è trasformata nello stress test sulla capacità delle auto bianche di far fronte a picchi turistici importanti. E la categoria non ha passato l’esame. Ecco quindi che è stato riproposto il tema delle licenze, dell’ampliamento del raggio operativo degli Uber con le polemiche che ne conseguono quando si tocca un argomento così sensibile. I rappresentanti di categoria parlano di strumentalizzazione finalizzata a spalancare il mercato alle multinazionali e ribattono punto su punto alle accuse, fino a contestare i dati del confronto con altri Paesi europei.Dove sta la verità? Ammesso che si possa arrivare a una conclusione univoca. Davvero nelle nostre città c’è la caccia all’auto bianca, 12 mesi l’anno e 24 ore al giorno? Si può parlare di emergenza?Per capirne di più, abbiamo dato voce ai diretti interessati, spesso ignorati e lo scenario forse deluderà chi ama le crociate contro alcune categorie. La prima tappa è Roma. Per giorni è rimbalzata l’immagine dell’uscita dalla Stazione Termini con una lunga fila di turisti al posteggio dei taxi alternata con focus simili nel centro storico, qui con l’aggravante mediaticamente di maggior effetto degli utenti sotto il sole, grondanti di sudore. Siccome tutti i servizi si sono focalizzati sulle invisibili auto bianche, nessuno si è premurato di chiedere a quanti erano in fila se prima avessero atteso invano un bus o se, una volta arrivato, fosse stato impossibile salire a bordo per il sovraffollamento. La situazione del servizio trasporto pubblico della capitale è da mesi caratterizzata da quasi tutta la linea tram in manutenzione, cantieri aperti ovunque e una metropolitana che, oltre a guasti ripetuti, chiude alle 21. È chiaro che in queste condizioni la velocità con cui i taxi possono garantire il servizio diminuisce, contro una domanda che aumenta. Bisogna ricordare anche che i taxi non possono sostituire il trasporto pubblico cittadino, ma possono soltanto integrarlo. Pertanto è impossibile pensare che siano in grado di soddisfare i bisogni di tutta l’utenza. Che fine hanno fatto le seconde guide? Le associazioni dei tassisti sostengono di averle richieste da gennaio ma la delibera è arrivata sei mesi dopo e comunque la piattaforma non è mai decollata per l’iter burocratico troppo lungo. Probabilmente l’amministrazione capitolina deve aver sottovalutato le stime del boom turistico altrimenti non avrebbe trasformato la città in un cantiere con tutti i problemi alla viabilità che questo comporta. Seconda tappa: Milano. La città del business si è trasformata in una meta turistica. Anche qui zoom all’uscita della stazione Centrale con le file di chi cerca un taxi. Nessuna menzione, dai media, dei cantieri che ostacolano la viabilità (come se l’estate fosse l’unico momento per fare il restyling alla città), sicché talvolta per arrivare a destinazione il tassista impiega il triplo del tempo. Ed ecco che l’utente deve aspettare. La categoria fa presente che c’è anche il problema dei posteggi, che sono sempre meno. A quanto pare la giunta Sala preferisce destinarli ai residenti. Nella città è molto sentito il tema della sicurezza, sicché invece del trasporto pubblico, sempre più milanesi preferiscono il taxi. E la metropolitana? Secondo i sindacati, guai a dire al sindaco Sala di farla viaggiare anche di notte perché è poco remunerativa. Terza tappa: Firenze. Qui la situazione sarebbe tornata alla normalità dopo un picco che ha messo in difficoltà la categoria come peraltro tutti gli esercizi dell’ospitalità e della ristorazione della città.Sull’aumento del numero delle licenze la categoria non ha un no pregiudiziale ma fornisce alcune considerazioni che meriterebbero una riflessione. Innanzitutto le analisi sul fenomeno del boom turistico che non solo è circoscritto ai mesi estivi centrali ma potrebbe rientrare già dal prossimo anno. L’inflazione stenta a scendere e mangia gli stipendi e i risparmi accumulati durante il lockdown che hanno facilitato i viaggi. Secondo alcuni analisti, siamo di fronte a una bolla destinata a sgonfiarsi a breve. I picchi di flusso nelle città sarebbero quindi episodici e non tali da giustificare un allarmismo e una valanga di nuove licenze. Nei mesi «morti» dal punto di vista degli spostamenti, i taxi restano parcheggiati per ore. Moltiplicarne il numero oltre che ingiustificato potrebbe creare disagi con posteggi intasati che ostacolano la viabilità. Sui confronti con le città europee, meritano un’analisi alcuni dati forniti da Uritaxi. Emerge che, come spesso accade, si mettono sullo stesso piano realtà diverse. Mentre in Italia il servizio taxi è comunale, a Parigi, Madrid o Atene il bacino è più ampio. 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I taxi non sono sostitutivi della metropolitana, dei tram e dei bus ma sono integrativi». Luciano Barletta, vicepresidente Tam, i Tassisti artigiani milanesi, è un fiume in piena. Andiamo con ordine. A giudicare dalle lunghe file di attesa alla stazione Centrale, l’emergenza è reale. «Se le persone sono incolonnate alla fermata dei taxi è perché magari arriva contemporaneamente un Frecciarossa e un Italo e scaricano 500-600 persone. Quindi non basta far vedere certe immagini, bisognerebbe spiegare anche perché si formano le file. E poi bisognerebbe fermarsi a vedere cosa succede. Ovvero che nel giro di un quarto d’ora, chi attende trova un taxi ed è portato a destinazione. Per onesta intellettuale infine bisognerebbe dire quale è la situazione a Milano». E quale è la situazione? «Innanzitutto stanno scomparendo i nostri posteggi. L’ultimo caso è quello a Largo Augusto, alle spalle del Duomo. È il quinto o sesto che viene soppresso nel giro di pochi giorni. Le persone abituate ad avere quel riferimento, restano disorientate. Qualcuno mi dica come sarebbe compatibile il taglio dei posteggi con l’aumento delle licenze. Dove li mettiamo i taxi? Poi ci sono i cantieri che ostacolano la viabilità, sicché talvolta per arrivare a destinazione impieghiamo il triplo del tempo. Ed ecco che l’utente deve aspettare. Aggiungiamo il fattore sicurezza. A Milano manca il controllo del territorio, scippi, aggressioni sono all’ordine del giorno e le persone preferiscono, specie di notte, prendere un taxi per spostarsi. L’Atm ha registrato un calo passeggeri del 30%. Che dire poi della metropolitana che chiude a mezzanotte. E siccome spesso si fanno confronti con altre capitali europee, a Stoccolma l’Atm ha in gestione la metropolitana che viaggia tutti i giorni e per 24 ore al giorno. Ma il sindaco Sala ci dice che viaggiare 24 ore non è remunerativo. Siamo alla follia, però la colpa è dei tassisti. Vorrei ricordare che il taxi è un servizio integrativo e non sostitutivo del servizio pubblico di linea. Poi l’assessore Marco Granelli, ci viene a dire che Milano deve crescere e che i tassisti non possono ostacolare lo sviluppo della città. Ma di quale sviluppo si parla, se la rete del trasporto pubblico è così carente». Se è una polemica strumentale, a chi giova? «Di certo non a Milano e ai milanesi. È una battaglia politica da parte della giunta per intestarsi la vittoria di emettere nuove licenze. Ma ammesso che si arrivi a questo punto, dove andranno i taxi in più dal momento che i posteggi sono stati tagliati, o sono ingombrati da auto private? Non si vuole ammettere che c’è un problema di mobilità e più licenze non potrebbero risolverlo». Ma voi sareste disponibili ad aumentare le licenze, qualora la posta in gioco fosse lo sviluppo della città? «Noi saremmo ben felici che Milano crescesse ma tutti gli attori in gioco devono assumersi le proprie responsabilità mentre qui si fa lo scarica barile dell’amministrazione verso i tassisti. E noi non siamo disposti farci carico di colpe non nostre. Non abbiamo il dogma del “no licenze”, ma vorremmo che fossero attuate le norme previste dalla legge Bersani, cioè le seconde guide e le licenze temporanee per far fronte a un periodo eccezionale, che non può essere la normalità. Gli economisti concordano sul fatto che questa estate c’è stata una bolla per il turismo che è destinata a rientrare. Abbiamo sempre mostrato disponibilità a discutere con l’amministrazione comunale». Con quale risposta? «Nessuna. La giunta non ci ascolta. Vorremmo creare una sinergia sul modello di quanto fatto per l’Expo e alla fine tutti erano soddisfatti». A proposito dell’Expo 2030, vi si accusa di far fallire l’assegnazione all’Italia. «Qualche giornale ha scritto che l’Arabia sarebbe avvantaggiata perché Roma ha pochi taxi. Ci hanno accusato anche di aver fatto cadere il governo Draghi. Siamo al paradosso. Ma chi ci attacca dovrebbe andare a vedere i disservizi nei trasporti pubblici. Recentemente ci sono stati due concerti in contemporanea, a San Siro e all’Ippodromo ma chi voleva prendere un taxi si è trovato in difficoltà, ha dovuto fare un lungo tratto di strada a piedi, perché noi non abbiamo la corsia preferenziale. Il posteggio davanti a San Siro è sparito. Sembra quasi fatto apposta per far vedere che mancano i taxi». Siete anche accusati di evitare spesso l’uso del Pos. «È una favola metropolitana. La Regione Lombardia tutti gli anni verifica, attraverso persone che viaggiano sui taxi in incognito, la qualità dei servizi, tra i quali ci sono il tariffario e l’uso del Pos. Nell’indagine di febbraio scorso è emerso che il 97% dei tassisti ha usato il sistema elettronico di pagamento». E la polemica sollevata da Selvaggia Lucarelli che fa vedere un tassista riluttante? «Se manca la linea per far funzionare il Pos, non si può dare la colpa al tassista. Dietro questo accanimento mediatico si nasconde il disegno di liberalizzare il settore a favore delle multinazionali. A perderci sarà l’utente. Ora viaggia alla stessa cifra anche la notte di Capodanno, ma con le multinazionali sarà costretto a pagare di più. Se si vuole andare in questa direzione, lo dicano chiaramente». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/taxi-licenze-polemica-2662642079.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="metro-inefficiente-e-bus-rotti-ma-a-roma-danno-la-colpa-a-noi" data-post-id="2662642079" data-published-at="1690801862" data-use-pagination="False"> «Metro inefficiente e bus rotti ma a Roma danno la colpa a noi» «A Roma il problema non è la mancanza di taxi ma la criticità del sistema del trasporto pubblico in generale che si vuole coprire, concentrando l’attenzione mediatica su tassisti. Per non parlare poi del traffico e la velocità commerciale bassissima con cui dobbiamo fare i conti quotidianamente. Ma noi, dopo un paio di mesi di emergenza, simile a quello che hanno avuto gli albergatori e i ristoratori, con il boom del turismo di entità mai viste prima, ora siamo tornati alla normalità. Le lunghe code non ci sono più». Alessandro Genovese, responsabile dell’Ugl Taxi, attivo nella capitale, risponde al telefono mentre, dice, «sono parcheggiato da circa 20 minuti sotto il sole». E in attesa che qualcuno salga nell’auto, si sfoga: «Secondo la stampa che ci attacca noi avremmo dovuto far fronte all’aumento esponenziale di turisti a Roma, colmando le carenze del servizio pubblico. Avremmo dovuto compensare una metropolitana che si ferma alle nove di sera ed è spesso sospesa per guasti alla linea, alle diverse linee tram interrotte a causa dei lavori alle rotaie, ai bus Atac in manutenzione. Allora siccome i mezzi pubblici funzionano a scartamento ridotto, ecco che qualcuno si stupisce se al posteggio dei taxi si formano le code. Ma i taxi non sono sostitutivi di bus, tram e metropolitana, anche se sembra che questa estate tutti se lo siano dimenticato». Il sindacalista spiega che anche la soluzione della doppia guida, prevista dalla legge Bersani, è stata concessa dal sindaco Roberto Gualtieri, «in ritardo, perchè l’amministrazione ha sottovalutato le previsioni sul turismo estivo». Ci si è messa di mezzo la burocrazia, incapace di accelerare anche nelle emergenze. Genovese spiega che la richiesta della doppia guida «è stata inoltrato dalla categoria a gennaio ma la delibera è arrivata solo a metà giugno. L’assessorato ha attivato la procedura online di autorizzazione ma si richiedeva il doppio passaggio alla Camera di commercio e all’Agenzia delle entrate. Risultato: dal 16 giugno, le prime pratiche si stanno concludendo solo ora, ma ormai l’emergenza è passata. La prossima settimana a gruppi i colleghi in andranno in ferie, perché siamo troppi». Eppure c’è chi sostiene che questa estate si sono svolte le prove generali di quello che potrebbe accadere se Roma si aggiudicasse l’Expo 2030. «So bene che si vorrebbero aprire le porte alle multinazionali e la soluzione più facile è addossare la colpa ai tassisti delle inefficienze del trasporto urbano», incalza Genovese. E chiude all’ipotesi di un aumento delle licenze. «Se in estate ci sono picchi di traffico turistico, nel resto dell’anno, abbiamo mesi in cui siamo posteggiati per ore. Il decreto Bersani fornisce gli strumenti per affrontare l’aumento di domanda stagionale, con interventi temporanei». La situazione alla stazione Termini è indicativa di ciò che accade a Roma. «Chi arriva di sera con il treno, nella Capitale, si trova davanti un piazzale vuoti di bus, la metropolitana ferma per guasti e allora è ovvio che va a allungare la fila ai taxi. Allora prima di parlare di nuove licenze, va sistemata la rete del trasporto pubblico. Stiamo ancora ammortizzando gli effetti delle 2.400 nuove licenze concesse nel 2006. Spazio per altre non ce n’è». E per quanto rigurda i Pos che - è l’accusa - non funzionano mai? « È una favola» replica Genovese. «Tutti i miei colleghi lo usano perché vige d’obbligo negli statuti delle cooperative e poi è previsto l’obbligo da regolamento comunale e da una legge nazionale. È un altro tentativo strumentale per fare pubblicità alle piattaforme multinazionali con sede nei paradisi fiscali… altro che evasione». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/taxi-licenze-polemica-2662642079.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="fuorvianti-i-paragoni-con-lestero" data-post-id="2662642079" data-published-at="1690801862" data-use-pagination="False"> «Fuorvianti i paragoni con l’estero» «Il tema non è che non ci sono taxi ma che ci sono solo taxi, quando vanno in tilt i bus. Da quando il servizio Ataf a Firenze è stato privatizzato nel 2011 da Renzi, i sindacati dei tranvieri dicono che saltano l’80% delle corse». Claudio Giudici, presidente di Uritaxi, descrive la situazione nel capoluogo toscano, altra città d’arte presa d’assalto dai turisti. «Io presiedo il 4390, una delle principali cooperative di radio taxi di Firenze e spesso i miei associati mi riferiscono di passeggeri che, estenuati dall’attesa di ore dei mezzi pubblici, alla fine saltano su un taxi. Ma questa non è la nostra clientela abituale che invece dovrebbe essere in larga maggioranza rappresentata da professionisti o turisti. E se siamo distratti da quanti preferirebbero salire su un tram o su un bus, ecco che finiamo per trascurare chi invece abitualmente utilizza il taxi. Perché stupirsi quindi se si formano le file ai posteggi». Come è ora il traffico a Firenze? «È vero, siamo andati in difficoltà per un paio di settimane», ammette il sindacalista, «ma come tutti gli esercizi, dagli alberghi ai ristoranti. Immaginavamo che dopo la pandemia ci sarebbe stata una reazione al lockdown con una maggiore voglia di viaggiare ma mai ci saremmo aspettati un’affluenza tale. Però concentrare tutta l’attenzione mediatica su di noi, con le immagini ripetute delle lunghe file di persone sotto il sole in attesa del taxi, mi è sembrato strumentale. Tanto più che nel giro di pochi giorni la situazione si è normalizzata. Noi siamo l’ultimo anello del trasporto urbano, però è più comodo concentrare l’attenzione su 40.000 partite Iva in tutta Italia e 27.000 taxi piuttosto che sulle grandi compagnie aeree, ferroviarie e sul trasporto pubblico di linea». Come a Roma e a Milano, anche a Firenze, spiega Giudici, «questa estate c’è stata una situazione straordinaria ed episodica. Se l’intenzione del governo è di incrementare il turismo non abbiamo pregiudizi sull’aumento delle licenze ma deve essere l’ultima delle soluzioni. Il ministro Salvini ha parlato di valorizzare le attuali licenze, con la doppia guida e le licenze stagionali. Ed è ciò a Firenze abbiamo fatto. Se vengono date troppe licenze non sappiamo nemmeno dove parcheggiare nei mesi di minor afflusso turistico, come durante il Covid». Federconsumatori sostiene che il 42% delle corse, a livello nazionale, sono evase. «Sicuramente si riferisce ai picchi, non è la normalità. Se la prima chiamata non va a buon fine, di sicuro alla seconda l’utente ha il taxi». Giudici smonta anche il confronto con altre città europee. «I dati forniti da alcuni giornali sono fuorvianti. L’errore di fondo è di non considerare il corretto bacino di abitanti servito. Mentre in Italia il taxi è un servizio comunale, a Madrid e ad Atene è regionale, e a Parigi riguarda quattro departments, cioè oltre a Parigi, Hauts de Seine, Seine St Denis, Val de Marne, Val d’Oise. Ci sono poi altri fattori che incentivano la richiesta di taxi, quali il flusso passeggeri aereo e ferroviario, ben più basso in Italia rispetto ai diretti competitor europei, o quelli che la disincentivano come la diffusione del mezzo privato, per cui l’Italia detiene il record europeo dopo il Lussemburgo». Il sindacalista riporta l’analisi della società di consulenza Kmpg, che nel 2017 puntualizzò: «Il mercato italiano del servizio taxi è in linea sia per tariffa praticata che per numerosità taxi per abitante, con le principali città europee».
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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