
I blindati spediti da tedeschi e Usa non sfondano per le lacune strategiche ucraine, la mancanza di supporto aereo e la riorganizzazione del nemico. Siamo a un bivio: sborsare ancora miliardi o lavorare a una tregua.Gli ucraini rivendicano la liberazione di 16 chilometri quadrati di territorio in sette giorni. I russi rispondono bersagliando Odessa. A Bakhmut, i soldati di Kiev guadagnano terreno, ma sul fronte di Kupyansk gli invasori premono, minacciando l’oblast di Kharkiv, da cui erano stati espulsi quasi un anno fa. La verità è che la famigerata controffensiva è in stallo. Nonostante i mezzi che abbiamo consegnato alla resistenza. Nonostante i 20 miliardi che l’Europa si ripromette di investire ancora. E nonostante i massicci approvvigionamenti americani, per cifre astronomiche.Ieri, su Repubblica, l’analista Gianluca Di Feo ha illustrato i fattori che, nel Donbass, stanno complicando la missione degli uomini di Volodymyr Zelensky. I leader militari ucraini «hanno scatenato l’attacco della linea difensiva più agguerrita dell’era moderna privi di reparti e di mezzi per superare le barriere russe». Non hanno utilizzato i genieri, non hanno aperto brecce tra le linee avversarie e si sono avventurati in un rischiosissimo scontro frontale. Risultato: «I giganteschi Leopard 2», spediti dagli alleati superando faticosamente i dubbi di Berlino, «sono stati immobilizzati dalle mine, i cingolati Bradley donati dagli Usa hanno terminato la corsa davanti al tiro incrociato delle postazioni nemiche». Il bilancio non è incoraggiante: «Decine di prodigi della tecnologia occidentale restano da settimane abbandonati nei prati, sotto il fuoco dei cannoni di Mosca». E non sono nemmeno arrivate le torrenziali piogge d’autunno a rallentare ulteriormente le operazioni e congelare gli equilibri. La causa dell’intoppo è invero più complessa. Pietro Batacchi, direttore di Rivista Italiana Difesa, che nel prossimo numero tratterà diffusamente la questione, spiega alla Verità che, da un lato, la resistenza dispone di pochi mezzi sminatori e, dall’altro, le manca il supporto aereo. Il che riconduce alla diatriba sugli F16: Europa e Stati Uniti hanno tergiversato sulla consegna, temendo di fomentare l’escalation. Ormai, i caccia potrebbero non essere più in grado di intervenire in tempo. L’errore vero degli ucraini, però, è che «hanno sottovalutato i russi: pensavano che, assestata la botta, gli aggressori sarebbero collassati come a Kharkiv, lo scorso settembre, dove c’era un rapporto di cinque a uno in favore delle forze ucraine». Nel Donbass, lo scenario è completamente diverso. L’Armata è in superiorità numerica. Le barriere sono ben organizzate. E a differenza delle prime fasi del conflitto, adesso gli elicotteri degli invasori utilizzano missili guidati, che li mettono in condizione di colpire l’artiglieria e i blindati occidentali restando fuori dal loro raggio d’azione. «È questo l’altro aspetto della sottovalutazione: l’idea che, con le sanzioni e gli embarghi sulla componentistica, l’industria russa sarebbe saltata. Ciò non è successo. La Russia si sta mostrando capace di produrre quei razzi». Citofonare Enrico Letta, con la memorabile profezia di marzo 2022: sconfiggeremo Mosca nel giro di qualche settimana. Lo ha riconosciuto persino Federico Fubini sul Corriere: la ripresa della produzione industriale e la tenuta dell’economia hanno rafforzato Vladimir Putin nella convinzione che sia possibile portare avanti lo sforzo bellico e rinviare la trattativa.Ci stiamo accorgendo che, rispetto alla primavera del 2022, ai confini orientali del Vecchio continente si sta combattendo una guerra diversa. Non più quella mal preparata dal Cremlino, che magari non credeva a una reazione di Washington, reduce dalla figuraccia afgana. Una guerra nella quale l’intelligence Nato e la rete satellitare di Elon Musk hanno saputo blindare Kiev. Nel Sud del Paese, dove peraltro è più forte l’appoggio della popolazione locale russofona, è in corso una guerra d’attrito. E le «vecchie maniere» dei russi, le loro ingenti risorse materiali e umane, unitamente all’impreparazione occidentale per questo tipo di conflitto, stanno rendendo ben più difficile la vita ai liberatori. Il «Vietnam» dello zar è molto meno ingestibile di quanto avessimo sperato. Perciò è urgente ricalibrare il nostro atteggiamento e i nostri scopi. Se gli ucraini mandano al macello i mezzi che abbiamo consegnato loro a caro prezzo, in assenza di una strategia razionale, è ora che chiediamo conto di come stanno usando i nostri aiuti. Deve arrivare un messaggio chiaro: le finalità delle operazioni dipendono da noi. Sono mesi che il generale americano Mark Milley ripete che è velleitario pensare di strappare a Putin tutte le terre conquistate. La Crimea, ad esempio, è un obiettivo fuori portata. Forse è per questo - per convincerci a non mollarla - che gli ucraini stanno intensificando gli attacchi in quell’area. Dopodiché - e al netto della volontà di Mosca di aprire una trattativa seria - si dovrà lavorare a una via d’uscita. Se non a una pace, a una tregua stabile. Vanno bene i sacrifici nel nome della giustizia, ma batterci per la causa di Kiev ci è costato un’inflazione galoppante e una nuova crisi, subito dopo il biennio terribile del Covid. Stiamo pagando questo prezzo solo per prolungare un bagno di sangue?
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.
Ansa
Dopo il doppio disastro nella corsa alle rinnovabili e lo stop al gas russo, la Commissione avvia consultazioni sulle regole per garantire l’approvvigionamento. È una mossa tardiva che non contempla nessuna autocritica.