Il colosso aerospaziale Airbus si è aggiudicato, per conto dell'Agenzia spaziale europea (Esa), la commessa per compiere gli studi sulla futura base umana nell'orbita lunare. Si tratterà di un habitat definito Gateway (come un cancello) destinato alla sosta provvisoria e alla concentrazione delle strutture e dei sistemi destinati alle missioni umane sia sul satellite naturale sia per quelle dirette verso Marte. I modelli e i primi mockup degli habitat e dei nuovi moduli lunari saranno presentati allo Iac 2018, ovvero il sessantanovesimo congresso internazionale di astronautica che si terrà a Brema dall'1 al 5 ottobre prossimi. Con questa decisione l'Agenzia spaziale europea di fatto commissiona ad Airbus due studi: uno per un possibile coinvolgimento europeo nella futura base umana nell'orbita lunare, l'altro per il progetto già noto come Deep space gateway (Dsg) o Lunar orbital platform-gateway (Lop-g), ovvero un grande impianto che coinvolge le agenzie spaziali statunitensi (Nasa), russa (Roscosmos), canadese (Csa), giapponese (Jaxa) e naturalmente quella europea (Esa).
Nei prossimi 15 mesi Airbus dovrà quindi sviluppare un dimostratore tecnologico o prototipo concettuale di modulo abitativo da destinarsi anche per la ricerca come parte del primo studio. Si tratterà di un modulo di circa 6,5 per 4,5 metri dal peso di circa 9 tonnellate che ospiterà la vita quotidiana di scienziati astronauti. Nel secondo studio dovrà invece essere progettato un elemento infrastrutturale destinato al rifornimento di carburante, all'attracco delle navicelle di trasferimento e per le telecomunicazioni, modulo che fungerà anche da camera di equilibrio per le attrezzature scientifiche. Si chiamerà Esprit, sarà grande circa 3 metri per 3 e peserà quasi 4 tonnellate.
Entrambi gli studi saranno sviluppati nell'ambito di una partnership europea di ampia portata, ma la direzione generale sarà della Nasa. Altri elementi, come un secondo habitat, una camera stagna per carichi scientifici e un modulo logistico saranno progettati da partner internazionali e commerciali. La Nasa ha infatti in programma di lanciare il primo modulo della nuova era lunare, ovvero l'elemento di propulsione centrale detto Ppe in un'orbita selenica a partire dal 2020. «L'esperienza e il know how che Esa e Airbus hanno acquisito durante progetti di punta come il laboratorio spaziale Columbus, il trasportatore spaziale Atv e il modulo di servizio europeo per Orion forniscono solide basi per gli studi», ha affermato Oliver Juckenhöfel, responsabile servizi orbitali ed esplorazione presso Airbus. «Quando si sviluppano le nuove piattaforme lunari, l'esplorazione spaziale robotica e umana vanno di pari passo. L'Europa ha una fantastica esperienza in entrambi e questi due studi aiuteranno a garantire una forte presenza europea nelle future esplorazioni spaziali».
David Parker, direttore di Human and robotic exploration presso l'Esa, ha dichiarato: «Con questi studi e altri preparativi l'Esa mira a rimanere al centro dell'esplorazione dello spazio umano: il Gateway diventerà l'avamposto di ricerca più remoto dell'umanità e speriamo che l'Europa trarrà vantaggio dal mondo dell'innovazione, della scoperta e dell'eccitazione che ci attende». A differenza della Stazione spaziale internazionale (Iss), il Gateway non è destinato a essere continuamente abitato, si prevede infatti che la piattaforma lunare fungerà da punto di sosta per gli astronauti durante missioni verso la Luna o Marte e sono previsti test per una serie di tecnologie che saranno necessarie in quei voli.
Intanto anche la Cina punta al primo sbarco sul lato oscuro della Luna. La sua agenzia spaziale, la Cnsa, ha infatti lanciato il satellite Queqiao che analizzerà in modo rivoluzionario rispetto a quanto fatto finora la zona selenica meno conosciuta. Partito a bordo di un razzo Long March-4C, il satellite faciliterà la comunicazione tra i controllori sulla Terra durante la missione Chang'e 4 che la Cina conta di mettere a segno entro cinque anni. La Cina aveva già mandato sulla Luna il suo rover Jade rabbit e ha intenzione di inviare entro l'anno prossimo la sonda Chang'e 5 che preleverà alcuni campioni di roccia per riportarli sulla Terra, interrompendo l'egemonia Usa che resiste dal 1977. Attualmente la Repubblica popolare conduce missioni spaziali abitate dal 2003 e i prossimi lanci vedranno il posizionamento del modulo centrale da 20 tonnellate della stazione Tiangong 2. Questa sarà completata entro il 2022 nonostante il fallimento del razzo lanciato il 5 marzo scorso, una brutta battuta d'arresto che però l'agenzia cinese Cnsa considera superata.
«È il momento di tornare a guardare la luna»
Le missioni Apollo avrebbero dovuto essere venti. Invece, con un'opinione pubblica e una politica sempre meno attente a quanto accadeva sul satellite terrestre, dopo il successo mediatico di Apollo 11 e quello dovuto al salvataggio di Apollo 13, il congresso degli Usa decise di interrompere il programma dopo Apollo 17. Eppure dal punto di vista scientifico proprio quell'ultima missione svelò meglio le caratteristiche minerarie della Luna. Gli studi geologici su terreno selenico avrebbero infatti dovuto iniziare con Apollo 13, come recitava il motto stampato sullo stemma: «Ex Luna, scientia». Così senza il grande lavoro dei tre astronauti che presero parte all'ultimo volo Apollo (Eugene Cernan, Ron Evans e Harrison Schmitt) oggi avremmo ancora convinzioni errate su molte caratteristiche dello spazio extraorbitale terrestre. Questo perché la zona esplorata da Cernan e Schmitt fu quella della valle di Taurus Littrow, allora considerata l'altopiano più vecchio dall'impatto con un meteorite che formò il mare Imbrium. Inoltre il luogo consentiva una migliore copertura dei segnali radio e permetteva l'uso del rover lunare. I tre rimasero sul suolo lunare tre giorni, la più lunga permanenza umana fino a quando, a breve, non rimetteremo piede sul nostro satellite. Ne parliamo con Samantha Cristoforetti, astronauta dell'Esa.
Tornare sulla Luna quasi cinquant'anni dopo Apollo. Perché?
«Credo che allora nessuno si sarebbe aspettato un'interruzione così lunga. Non è stata una scelta deliberata, ma un susseguirsi di circostanze che hanno portato a priorità differenti. Per diversi decenni le risorse disponibili sono state assorbite da altri programmi come lo Space shuttle Orbiter e la stazione spaziale Internazionale, che ci hanno fatto restare nell'orbita bassa terrestre. Ora la nostra presenza è consolidata. È il momento di tornare a guardare alla Luna».
Ci sono motivazioni precise, differenti da allora, per rimettere piede sul satellite?
«Le missioni Apollo avevano certamente una valenza scientifica, ma soprattutto simbolica, nel contesto della grande competizione tra Usa e Unione sovietica. Oggi si pensa a una presenza continuativa, sostenibile, sempre più ampia in termini di durata delle missioni, delle loro capacità e della loro autonomia».
Cosa faremo sulla Luna?
«Si può vedere il ritorno sulla Luna come la tappa intermedia sulla strada per Marte, per consolidare la tecnologia che impiegheremo in quel viaggio e le operazioni che compiremo. Ma c'è anche chi ritiene che si possano sfruttare le risorse della Luna in maniera vantaggiosa da un punto di vista economico. Naturalmente poi ci sono gli scienziati, i geologi planetari che nella Luna vedono una capsula del tempo incredibilmente interessante, una specie di continente che non si è più evoluto significativamente da miliardi di anni. E infine gli astronomi che pensano di installare un radiotelescopio sulla faccia nascosta, in modo da poter avere un punto di osservazione differente e privilegiato».
Mezzo secolo di voli nello spazio è un tempo abbastanza lungo per veder evolvere habitat e tecnologie disponibili per la sopravvivenza. Nella sua missione sulla Iss ha usufruito di qualche miglioria che i suoi predecessori non avevano a disposizione e che porteranno a vivere sulla Luna meglio di come fecero gli astronauti Apollo?
«Sulla stazione spaziale Internazionale tutto migliora in modo progressivo e incrementale, a cominciare dalle dimensioni e quindi dallo spazio interno a disposizione degli occupanti. Dal 2010 è presente anche la cosiddetta “cupola", quell'ambiente con diverse finestre in ogni direzione dal quale su possono scattare fotografie e osservare la Terra, mentre prima c'erano soltanto piccole fessure nella parte inferiore di alcuni moduli della stazione. Altre migliorie sono state certamente la possibilità di utilizzare la posta elettronica e la navigazione su Internet, anche se il collegamento è un po' lento. Infine, ci si può nutrire con cibo migliore».
C'è più attenzione sulle condizioni di vita degli astronauti?
«Certamente, anche se noi astronauti professionisti in fondo ci accontentiamo di poco e certamente dovremo accontentarci di meno confort rispetto alla stazione spaziale Internazionale durante missioni oltre l'orbita bassa. Ci sono però diverse aziende private che puntano su un possibile business con “astronauti paganti" sia in orbita bassa, sia per giri attorno alla Luna, per i quali probabilmente verrebbe sviluppato un ambiente interno più confortevole».
E lei, andrà sulla Luna?
«Chissà...».