2024-12-19
Open Arms, Salvini: «A Bruxelles ricevo solidarietà, non accettano il processo contro un ministro»
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L'indirizzo politico sul coinvolgimento dell'Europa nella redistribuzione post sbarchi era condiviso dal governo. Il premier Giuseppe Conte, sentito a Palazzo Chigi, ha confermato al giudice di Catania Nunzio Sarpietro, davanti al quale si svolge l'udienza preliminare che vede Matteo Salvini accusato di sequestro di persona per aver bloccato lo sbarco ad Augusta dei 131 migranti a bordo della nave Gregoretti (luglio del 2019), che l'ex capo del Viminale ha agito in linea con la politica governativa.
«Il premier», sostiene la difesa di Salvini, «ha confermato di essere stato protagonista nella politica della redistribuzione prima degli sbarchi». Il ministro, in sostanza, si opponeva in attesa della redistribuzione dei migranti: una prassi, ricorda la difesa di Salvini, proseguita anche con il governo giallorosso. Nel corso dell'esame di Giuseppi i legali hanno evidenziato un altro aspetto: il premier aveva scritto a Salvini per sollecitare lo sbarco dei minori a bordo della Open Arms (episodio successivo alla Gregoretti, ma consumato negli ultimi giorni del primo governo Conte) senza fare cenno ai maggiorenni e senza aver mai preso iniziative simili in precedenza. L'ennesima dimostrazione, secondo la difesa dell'allora ministro, della piena consapevolezza e condivisione del governo.
A questo si aggiunge una lettera aperta di Conte, ricordata in udienza dall'avvocato Giulia Bongiorno, che sul Corriere della sera ribadiva implicitamente di non avere mai voluto far sbarcare i migranti maggiorenni. Due ore e mezza di deposizione, con Salvini presente in udienza. E se prima dell'udienza il giudice aveva annunciato che quella del premier era «una posizione chiave, in quanto era l'unico a poter dare indicazioni fondamentali per l'eventuale rinvio a giudizio di Salvini», al termine, uscendo da Palazzo Chigi ha spiegato ai giornalisti: «La coralità delle azioni del governo atteneva alla politica generale, i singoli eventi erano curati dai singoli ministri, Salvini prima e Luciana Lamorgese dopo».
Il giudice si anche è detto soddisfatto: «Conte», ha spiegato, «è stato molto collaborativo, molto profondo nelle risposte». Poi ha spiegato: «Non parliamo ancora di reati, stiamo parlando di un processo in cui bisogna accertare se c'è un reato. Ma nella politica generale del governo, quella della ricollocazione era una costante, un leitmotiv generale». E ha aggiunto: «Il presidente del Consiglio credo sia informato di mille cose, ma non può seguire tutto. Nelle carte ci sono delle lettere in cui si parla di lavoro di squadra, a livello nazionale, internazionale ed europeo».
I legali delle parti civili, ovviamente, hanno dato una loro personale lettura alla deposizione del premier. In prima linea Legambiente, rappresentata in aula dall'avvocato Daniela Ciancimino: «La decisione di non autorizzare lo sbarco della nave Gregoretti nel luglio del 2019 fu presa in assoluta autonomia da Salvini». Anche l'Arci, rappresentata dall'avvocato Antonio Ferroleto, è sulla stessa posizione: «Il presidente Conte, ma anche l'ex ministro Danilo Toninelli (mister «non ricordo», ndr), hanno tracciato una linea molto chiara del programma politico del governo che comportava una serie di iniziative. La decisione di non fare sbarcare gli oltre 130 migranti dalla Gregoretti fu un atto amministrativo e non politico». E ancora: «Conte ha detto oggi che non è mai stato coinvolto in modo diretto sull'assegnazione del Pos». Come se farlo fosse stato compito suo e non del ministro. Dal processo, invece, sta emergendo in modo chiaro che le politiche sull'immigrazione erano condivise dal governo. Mail e documentazione, tra cui alcune informative parlamentari, sono state depositate dall'avvocato Bongiorno. E dimostrerebbero che le trattative per il reinsediamento dei migranti erano in capo a Palazzo Chigi.
A provare che il governo stesse agendo di comune accordo c'è anche il pubblico apprezzamento per l'operato di Salvini nella gestione del caso Diciotti (estate 2018), vicenda analoga alla Gregoretti, ma per la quale il Tribunale dei ministri di Catania non ottenne l'autorizzazione a procedere. In più c'è il video della conferenza stampa di fine 2019, in cui il premier disse in modo chiaro: «Prima i ricollocamenti, poi lo sbarco». Ecco perché per la difesa di Salvini «il premier ha confermato di essere stato protagonista nella politica della redistribuzione prima degli sbarchi».
«Sono molto soddisfatto perché sta emergendo che da ministro ho protetto L'Italia e gli italiani da ministro», ha commentato Salvini a fine udienza. E ha aggiunto: «Noi abbiamo dimostrato buon senso, responsabilità e amore per gli italiani anche all'opposizione. Ringrazio il giudice che ho trovato sulla mia strada, perché nei giorni dei Palamara che svelano il volto peggiore della magistratura politicizzata, ho incontrato un giudice che ha letto, capito, approfondito. Quindi, quando ci occuperemo della giustizia potremo contare anche sulla collaborazione di tanti magistrati e uomini di legge perbene». Il processo riprenderà a Catania il 19 febbraio. In aula ci saranno Lamorgese e il ministro degli Esteri, all'epoca vicepremier come Salvini, Luigi Di Maio.
Altro che cambiare l'Italia. Sentito dal giudice, il senatore grillino risponde a 4 domande su 50, il resto è «non ricordo». Scarica su Matteo Salvini e indirettamente conferma il ruolo del premier nei divieti di sbarco.
La notizia è la seguente: per 461 giorni, dal primo di giugno del 2018 al 5 settembre 2019, cioè per l'esattezza per un anno, tre mesi e quattro giorni, abbiamo avuto un ministro della Repubblica a sua insaputa. Altro che Claudio Scajola, al quale comprarono un appartamento vista Colosseo senza che se ne accorgesse. Qui abbiamo un rappresentante delle istituzioni che non si è reso conto di essere ministro e non sa che cosa ha fatto quando era al governo o, nella migliore delle ipotesi, abbiamo il titolare di un dicastero importante che si è dimenticato molto in fretta del proprio operato. Il ministro in oggetto risponde al nome di Danilo Toninelli, ex responsabile dei Trasporti del Conte uno, ossia del governo precedente, quando Giuseppe Conte si dichiarava «orgogliosamente populista». Lo smemorato di Castelleone, amena località in provincia di Cremona in cui vive con moglie e figli, a metà dicembre è stato ascoltato, in qualità di testimone, nell'ambito del processo contro Matteo Salvini. I giornali già avevano ricostruito il balbettio dell'ex ministro pentastellato, il quale alle domande del giudice e dell'avvocato del capo leghista, Giulia Bongiorno, aveva opposto una serie di «non ricordo», precisando che da quei giorni di metà 2019 era passato molto tempo (per essere precisi un anno e cinque mesi) e dunque non era in grado di dire che cosa fosse successo. Adesso però, sono state depositate le trascrizioni della deposizione dell'ex ministro grillino e se le cronache dello scorso dicembre erano frutto di una ricostruzione, dato che l'udienza si era tenuta a porte chiuse per non imbarazzare troppo il riccioluto grillino, e dunque erano necessariamente contenute, ora è possibile leggere botta e risposta fra Giulia Bongiorno e Danilo Toninelli. Se non ci fosse di mezzo un processo, che potrebbe concludersi con una pesante condanna per sequestro di persona, e se non si trattasse della testimonianza di un signore che è stato ministro, ci sarebbe da ridere. Anzi: se in ossequio alla politica della trasparenza e della diretta streaming, la testimonianza fosse stata registrata, oggi sarebbe un frammento di culto, che sul Web spopolerebbe. Purtroppo, la documentazione video non esiste, ma già quella trascritta non lascia dubbi sulla goffa esibizione dell'uomo che, da responsabile dei Trasporti, voleva ricostruire il Ponte Morandi per renderlo un luogo dove le famigliole potessero fare un picnic. Nel verbale figurano un totale di 46 tra «non ricordo», «non so» e «non era di mia competenza», dando la rappresentazione di un politico che se c'era, se cioè era presente al ministero quando stava al governo, molto probabilmente dormiva, perché di quel che accadde in quei mesi dell'estate di due anni fa ha dato prova di non ricordarsi niente. Un uomo dalla memoria corta nella migliore delle ipotesi. Un uomo che scappa di fronte alle responsabilità politiche che sono richieste a chi vuole ricoprire un ruolo istituzionale nella peggiore.
Nell'uno o nell'altro caso, a non uscirne bene non è solo lo stesso Toninelli, smemorato davanti a un giudice e durante un processo chiave che vede sul banco degli imputati un ex ministro, ma anche il Movimento che lo ha espresso, portato in Parlamento e pure incoronato ministro. Sono questi gli uomini che dovevano cambiare l'Italia? I capitani coraggiosi che dovevano aprire Montecitorio e Palazzo Madama con un apriscatole, manco fossero delle lattine di tonno, di fronte a un tribunale si dimostrano capitani timorosi, che neppure sanno ciò a cui hanno preso parte e men che meno hanno intenzione di assumersi delle responsabilità. Quei giorni di luglio del 2019 per cui Salvini è a processo erano sotto gli occhi di tutti. La nave Gregoretti della Marina militare teneva banco su tutte le prime pagine dei giornali ed era l'apertura di tutti i telegiornali. Gli immigrati tenuti a bordo in attesa di una soluzione europea, certo non erano un mistero. Dunque, è facile immaginare che a Palazzo Chigi e nel governo se ne parlasse, altrimenti c'è da chiedersi di cosa si occupassero in quei giorni i ministri. Noi non vogliamo dire che di fronte al giudice Toninelli abbia mentito o che per calcolo abbia omesso di dire ciò che sapeva. Di certo, dopo aver letto e riletto la sua deposizione, possiamo assicurare che non ha fatto una bella figura. Ancora meno ha dimostrato onestà (ricordate? Era lo slogan del Movimento qualche anno fa) quando alle prime ricostruzioni della sua deposizione, negò di aver risposto alle domande con una serie di «non» so". Noi ne abbiamo contati una quarantina. Un numero sufficiente che dovrebbe indurre il signore in questione alla quarantena. Cioè a chiudersi in casa e farsi dimenticare.
Molti sbarcati dalla Open Arms sono clandestini, due in galera, gli altri coccolati perché «vittime» in quello che è un procedimento tutto politico. E mentre gli arrivi di irregolari in Europa calano, in Italia sono triplicati.
Quella che si è vista ieri a Palermo è l'udienza preliminare di un processo che, se si celebrerà, sarà politico. Sul banco degli imputati infatti non finirà un bandito della 'ndrangheta o dell'Anonima sequestri e nemmeno un amante che abbia rapito e privato della libertà una donna. No, in tribunale con l'accusa di sequestro di persona finirebbe un ex ministro, che ha avuto il torto di aver tenuto fede alle promesse fatte agli elettori. Quando Matteo Salvini chiese il voto agli italiani lo fece assicurando che se avesse vinto avrebbe attuato ogni misura possibile per fermare gli sbarchi dei clandestini e una volta giunto al Viminale questo ha fatto. I provvedimenti per impedire che l'Italia divenisse il porto franco degli scafisti e dei trafficanti di uomini li prese alla luce del sole, con il conforto di tutto il governo. Del resto, a giugno del 2018, quando si presentò al Senato per chiedere la fiducia, Giuseppe Conte, che all'epoca si definiva orgogliosamente avvocato del popolo, annunciò che il suo esecutivo avrebbe messo fine al business dell'immigrazione. Dunque, non si capisce in che cosa differisca la posizione del capo della Lega da quella del capo dell'esecutivo. Non solo, in quei giorni diversi ministri rilasciarono dichiarazioni in cui, per calcolo o convenienza, si schierarono sulla linea di Salvini.
È evidente dunque già da queste semplici considerazioni che se una responsabilità sia attribuibile a chi all'epoca era ministro dell'Interno, delle stesse accuse devono rispondere tutti gli esponenti del governo, con in prima fila non solo coloro che avevano qualche titolo per prendere decisioni, come il numero uno dei Trasporti e quello della Difesa (da loro dipendono sia la Guardia costiera che la Marina militare), ma lo stesso presidente del Consiglio.
Inoltre, per comprendere che di altro non si tratti se non di un processo politico, sarebbe sufficiente dare uno sguardo alla lista di chi si è costituito parte civile. Tolti alcuni migranti, che intendono rivendicare di essere parte lesa in quanto lasciati al largo delle acque siciliane per qualche giorno, tra chi vuole rivalersi contro l'ex ministro ci sono i soliti esponenti politici mascherati da organizzazioni no profit. Tra questi, le Ong grazie alle quali ogni anno aumentano gli sbarchi e il braccio festaiolo della sinistra, ossia l'Arci, oltre alle varie associazioni dell'accoglienza. Sì, siccome alle elezioni non riescono ad averla vinta, i compagni sperano di recuperare in un'aula dove si dovrebbe amministrare la giustizia in nome del popolo italiano. Ma il popolo italiano si è già espresso e infatti, nonostante la gioiosa macchina da guerra schierata contro Salvini, la Lega rimane il primo partito d'Italia.
Non sappiamo ancora se il giudice per le udienze preliminari deciderà di rinviare a giudizio il Capitano leghista: per ora ha deciso semplicemente di rinviare la decisione, aggiornando la sentenza ai prossimi mesi. Nel frattempo, forse si chiarirà che fine abbiano fatto le «vittime» dell'ex ministro dell'Interno. Già, perché una buona parte dei poveri immigrati ingiustamente trattenuti a bordo della bagnarola delle Ong per qualche giorno, una volta scesi a terra hanno fatto perdere le loro tracce. Un paio di loro sono finiti in galera, accusati di essere gli scafisti del gruppo. Oltre 40 si sono dati alla macchia, cioè sono finiti in clandestinità come c'era da immaginare. Degli altri compagni di viaggio, alcuni sarebbero emigrati in Germania, mentre il resto sarebbe in Italia, in gran parte nei vari centri, in attesa probabilmente di ottenere lo status di rifugiato o qualche cosa di simile che consenta loro di rimanere. Per dirla tutta, il numero di irregolari, cioè di coloro che a termini di legge, se in questo Paese esistesse una legge e ci fosse qualcuno che la facesse rispettare, dovrebbero essere rispediti a casa, è alto. Ma state tranquilli, nessuno sarà rimandato a casa, anche perché oggi hanno un motivo in più per rimanere a carico nostro: sono parte lesa in un processo all'ex ministro dell'Interno.
Avete già capito: oltre a essere politico, questo processo è una farsa. Ma un'ultima annotazione è necessaria. Quando Salvini era al Viminale, gli sbarchi e dunque anche i naufragi si erano praticamente azzerati. Oggi gli sbarchi sono tornati ad aumentare. Nel 2020 gli arrivi illegali in Europa sono diminuiti del 13% ma sono triplicati quelli verso l'Italia. Chiedetevi perché. E soprattutto chiedetevi che cosa accadrà al nostro Paese se Salvini fosse processato e condannato.

