Tuttavia, almeno una somiglianza con la rivoluzione giudiziaria di trent’anni fa c’è. Ed è quell’«Io non ci sto» che Beppe Sala ha pronunziato in consiglio per giustificare la decisione di incollarsi alla poltrona. Il primo a farne uso fu Oscar Luigi Scalfaro, il quale, da presidente della Repubblica, introdusse la regola delle dimissioni immediate per i ministri raggiunti da avviso di garanzia. Salvo poi, quando toccò a lui essere sfiorato da un’accusa, convocare le televisioni e a reti unificate pronunciare il famoso «Io non ci sto». Non spiegò di essere accusato d’aver intascato buste mensili da cento milioni di lire, né chiarì l’uso fatto di quelle somme quand’era ministro dell’Interno. Sorvolò sulle ragioni per cui un gruppetto di 007 l’avesse tirato in mezzo, né si offrì di fornire ai magistrati di Roma, che pure indagavano sulla faccenda, una qualche giustificazione. Riscontrate le debite differenze (Sala, oltre a non essere il capo dello Stato ma solo il capo di una giunta di sinistra, non è accusato di corruzione), il sindaco di Milano si è comportato proprio come Scalfaro, facendo l’offeso. Quell’«Io ho le mani pulite» è l’equivalente dell’«Io non ci sto». Non spiega niente: è un atto di fede offerto in ragione di telecamere e taccuini. Non c’è alcuna giustificazione di quanto è successo, del perché la Procura un bel giorno abbia deciso di mettere nel mirino le pratiche urbanistiche del Comune, sequestrando decine di cantieri. Non c’è spiegazione di come alcune opere, autorizzate per ospitare uffici, e periziate dunque con un valore più basso dall’Agenzia delle Entrate, poi, con una variante, abbiano ottenuto la possibilità di diventare appartamenti di lusso. Sala dice di avere le mani pulite, ma nessuno, nemmeno i pm, hanno pensato che il sindaco si sia messo in tasca delle banconote. Ciò che gli viene imputato semmai è di non aver visto cosa succedeva sotto i suoi occhi, ovvero gli oneri di urbanizzazione che non venivano incassati perché i nuovi e luccicanti palazzi erano classificati come ristrutturazioni. Oppure di non aver notato che nel progetto San Siro all’inizio erano previsti indici di edificabilità mai visti. Ma soprattutto gli viene addebitata la disattenzione per quello che avveniva dentro la commissione paesaggio, divenuta camera di compensazione e vero centro di potere tra tecnici, professionisti e costruttori. I conflitti d’interessi erano manifesti, ma Sala non se n’è accorto o forse ha pensato che fosse normale che un architetto valutasse un progetto pur avendo lavorato per l’impresa che presentava la domanda di concessione edilizia. Forse non sapeva che della commissione che doveva scegliere il progetto della Biblioteca europea facevano parte persone che avevano collaborato con i commissari. Ma che fosse a conoscenza o meno, poco importa: Sala dice di avere le mani pulite. Però non basta avere le mani pulite se hai gli occhi bendati e non ti accorgi di ciò che accade intorno a te.
Il sindaco, come Scalfaro, non ci sta. Anzi, fa l’offeso per aver saputo dai giornali che i pm lo hanno indagato. Ma ad essere offesi dovrebbero essere i milanesi e anche quelle migliaia di famiglie, che, nonostante abbiano pagato, non possono avere l’appartamento acquistato. Non è colpa loro se gli edifici non sono in regola. Non è nemmeno colpa dei pm. La sola responsabilità è dell’amministrazione guidata da Sala, il quale fino a ieri difendeva a spada tratta il Rito ambrosiano, convinto che «regalare» gli oneri di urbanizzazione ai costruttori e consentire l’edificazione di palazzi da 25 metri di altezza senza concessione edilizia fosse l’interpretazione autentica della legge urbanistica. Caro Sala, non basta avere le mani pulite, serve anche un cervello, altrimenti è meglio dire «Io non ci sto più» e fare le valigie.