In piazza ora ci vanno i genitori. Almeno a Macerata. In 1.000 si mobilitano per impedire la chiusura del Convitto nazionale Giacomo Leopardi, una scuola che ha oltre 100 anni e «abitava», prima del terremoto, una sede che è un monumento nazionale. Protestano contro il sindaco, Romano Carancini (Pd); trascinano in tribunale autotassandosi per pagare le spese legali il direttore dell'ufficio scolastico regionale del Miur, Marco Ugo Filisetti; contestano al Pd che governa la città di aver scelto di tutelare gli interessi di magistrati e avvocati colleghi del sindaco invece del diritto all'istruzione; si oppongono al ministro, Lucia Azzolina, che costringe i ragazzi a fare i doppi turni, a rinunciare alla mensa e al doposcuola. Questa vicenda è un caso grave di malaistruzione e di pessima gestione della cosa pubblica; a quattro anni dal terremoto che ha costretto la scuola a trovare posto in una soluzione di fortuna, non si è fatto nulla per riparare i danni del sisma, ma si è anzi lavorato per chiuderla nonostante l'aumento d'iscritti. Romano Carancini, invocando un conflitto di competenze con la Provincia, è arrivato al punto di disporre un'ingiunzione per le bollette e l'affitto delle cucine. Eppure ci sarebbero 7,3 milioni dei fondi della ricostruzione per restaurare la sede storica, il sindaco però ha impegnato gli uffici comunali a progettare due nuove scuole e in parte finanziate dal Qatar rimaste semivuote nonostante il Comune abbia offerto solo a chi s'iscriveva lì il trasporto gratuito. Così giovedì i genitori, costituito il Comitato, occuperanno il Comune e autotassandosi hanno promosso una causa al Tar contro l'ufficio scolastico regionale del Miur e il suo dirigente Marco Ugo Filisetti. I genitori sospettano che ci siano degli appetiti immobiliari sulla sede storica della scuola che però ha un vincolo perpetuo: finché il Convitto ha iscritti, il palazzo è suo. Nei mesi scorsi però uno stillicidio di fatti e provocazioni ha messo in allarme genitori, docenti e personale di questa scuola che è un'eccellenza: lezioni in inglese e in cinese, doposcuola fino alla 18, un'orchestra, un coro, un giornale online, educatori che seguono gli allievi oltre l'orario normale, ospitalità e sostegno a chi vuole frequentare istituti superiori anche se ha basso reddito. È sì una scuola pubblica, ma è totalmente indipendente e segue un progetto didattico fortemente innovativo per i 500 alunni delle elementari e delle medie. Perciò i genitori non sanno spiegarsi, e lo chiedono al Tar, perché Filisetti prima ha disposto l'ampliamento dei corsi del Convitto, consentendo due nuove classi delle medie e una delle elementari, e poi a iscrizioni chiuse le ha soppresse obbligando i genitori a indirizzare i ragazzi verso le nuove scuole del Comune. Ma non basta, perché si sta studiando un'altra causa e stavolta contro Romano Carancini - di professione avvocato - che ha destinato parte dell'edificio occupato in via d'emergenza dal Convitto al tribunale, che deve esser risanato dall'amianto. Per far posto a giudici e avvocati la scuola deve rinunciare ai suoi spazi che, rispetto alla sede storica, sono già angusti. Ma così facendo il Comune impedisce nuove iscrizioni al Convitto e costringe i ragazzi a convivere con imputati (alcuni anche in manette) avvocati e cancellieri. Avendo concesso questi spazi al tribunale con le disposizioni per il distanziamento Covid gli alunni dovranno fare i turni, molte classi saranno costrette per mancanza di spazio a fare lezione al pomeriggio e gli ingressi per evitare la concomitanza col personale del tribunale dovranno essere scaglionati creando alle famiglie, ai docenti e agli alunni enormi disagi. Sarà impossibile avere mensa e doposcuola, le caratteristiche che rendono speciale, e molto richiesto, il Convitto. Nel silenzio del Miur e del Comune mentre la sede storica va in malora.
Si è presentato vestito in jeans e felpa blu, occhi bassi, barba incolta, circondato dalla polizia penitenziaria. Lo hanno fatto passare da una porta laterale per evitare d'incontrare un drappello di persone - non erano più di dieci - che stavano manifestando davanti al palazzo di giustizia, circondato da un imponente cordone di Polizia. Ma in aula non ha potuto evitare gli occhi dolenti, penetranti, lucidi di lacrime di Alessandra Verni. In quel momento Inocent Oseghale, 30 anni, nigeriano, due figli avuti da una ragazza di Villa Potenza, arrivato in Italia col barcone ed entrato in un programma Sprar come richiedente asilo, poi divenuto spacciatore e per ciò condannato (con tanto di decreto di espulsione mai eseguito), ha abbassato lo sguardo. Dopodiché è rimasto immobile cinque ore. Il presidente del collegio giudicante della Corte d'Assise di Macerata, Roberto Evangelisti, gli ha contestato il reato di omicidio aggravato da crudeltà e futili motivi, insieme a quello di vilipendio e occultamento di cadavere, spaccio di droga e violenza carnale. Oseghale rischia l'ergastolo. Sono le accuse che ha formulato contro di lui il procuratore della Repubblica di Macerata, Giovanni Giorgio, che sostiene l'accusa insieme alla pm Stefania Ciccioli.
È cominciato così, ieri mattina poco dopo le 9, il processo per l'assassinio e lo smembramento del cadavere della diciottenne Pamela Mastropietro, ammazzata il 30 gennaio di un anno fa in un appartamento di via Spalato a Macerata. Il giorno prima si era allontanata dalla Pars, una comunità di recupero e cura delle dipendenze e dei disagi psichici, che si trova a Corridonia. Il corpo di Pamela venne ritrovato ridotto in 24 pezzi (ma il collo non si è mai trovato) chiuso in due trolley (uno era quello della stessa ragazza romana) abbandonati lungo una strada alla periferia di Macerata, a Casette Verdini. Su questo processo aleggia un fantasma: si chiama mafia nigeriana. Oseghale, dice un collaboratore di giustizia, è uno dei capi dei Black Cats, ma anche due nigeriani che erano entrati nell'inchiesta per la morte di Pamela, Desmond Lucky e Lucky Awelima, lasciano intendere che ci sia un legame fra l'unico imputato nel processo con la mafia afro. Chi ha tenuto distante questo fantasma è proprio la Procura di Macerata, che afferma: non ci sono elementi. Confortata in questo dal procuratore generale di Ancona, Sergio Sottani. Ma proprio mentre ieri si svolgeva la prima udienza del processo è uscito, con un anno di ritardo, il rapporto del primo semestre 2018 della Dia, la direzione d'investigazione antimafia. Ebbene la Dia cita proprio il delitto di Macerata, l'abnorme quantità di droga sequestrata dopo l'uccisione di Pamela e i tanti arresti di nigeriani che ne sono seguiti.
L'antimafia dice espressamente: a Macerata si è organizzata la criminalità nigeriana. È un rapporto che peserà anche nel processo? Probabilmente sì, quando toccherà a una delle parti civili, quella sostenuta dall'avvocato Marco Valerio Verni, che è anche lo zio di Pamela e agisce in giudizio per conto di sua sorella, Alessandra Verni, mamma della vittima, e del papà Stefano Mastropietro.
Si è parlato di un processo blindato: il questore di Macerata, Antonio Pignataro, ha vietato qualsiasi manifestazione. Ma in realtà non è successo nulla. Ieri mattina prima dell'udienza davanti al palazzo di giustizia una decina di persone, tutte di Roma, ha srotolato striscioni con scritto «Pamela vive» e «Giustizia per Pamela». Avevano un grappolo di palloncini che avrebbero voluto far volare per inscenare un muto ricordo della ragazza uccisa. Glielo hanno impedito, ma hanno applaudito quando i genitori della ragazza hanno «bussato» al tribunale. In aula c'era anche il sindaco di Macerata Romano Carancini (Pd), che nei giorni scorsi aveva usato toni abbastanza duri nei confronti dei genitori di Pamela («Non ho sentito nessuna autocritica da parte dei Mastropietro per le vicende di quella famiglia») perché il Comune si è costituito parte civile. Ma non ha detto una parola, né si è avvicinato ai genitori Pamela. L'udienza è scivolata tra la lettura dei capi d'imputazione e le prime schermaglie tra difesa e accusa. I difensori di Innocent Oshegale - avvocati Simone Matraxia e Umberto Gramenzi - hanno presentato diverse eccezioni che tendevano soprattutto a cancellare dal processo le perizie dell'accusa, sostenendo che alcuni atti non erano stati correttamente notificati all'imputato. L'accusa si è ovviamente opposta e il tribunale le ha dato ragione respingendo ogni eccezione. È stata poi presentata la lista dei testimoni. Sono una cinquantina quelli ammessi, ma c'è una testimonianza che spicca.
È quella di un collaboratore di giustizia (V.M.) che ha fatto arrestare decine di 'ndranghetisti. Questi sostiene di aver ricevuto in carcere le confessioni di Oseghale, che si accusa del delitto (per la verità lo aveva già fatto con alcuni agenti penitenziari nel carcere di Ferrara, che saranno anch'essi escussi) ma si vanta pure di essere un componente della mafia nigeriana. V.M. deporrà il 6 marzo, alla prossima udienza. Poi comincerà la battaglia delle perizie. L'accusa è convinta di avere la prova che Pamela è stata uccisa, la difesa punta sulla morte della ragazza per overdose. Ma la vera storia delle ultime ore della povera Pamela comincerà ad emergere solo con la primavera.
Più che uno scoop è uno choc: Macerata, la città consacrata alla Madonna, scopre che l'orrore che la pervade non ha limiti. A due mesi dall'efferato delitto di Pamela Mastropietro - la ragazza romana di 18 anni, ammazzata il 30 gennaio scorso, il cui corpo fu fatto a pezzi e nascosto in due trolley - emerge una sconvolgente realtà: la città alle cui porte, all'Hotel House di Porto Recanati, ospizio di clandestini e malavitosi, è stata rinvenuta una discarica di cadaveri è teatro di festini a luci rosse con ragazze minorenni. A questi festini partecipano «insospettabili» che si servono d'immigrati clandestini, per lo più nigeriani, per adescare le giovani grazie alla droga. È come se la morte della Mastropietro avesse scoperchiato il vaso di Pandora: quotidianamente ci sono ingenti sequestri di stupefacenti (ieri, a Monte San Giusto, arrestate quattro persone con oltre 2 quintali di hashish) e fatti di sangue, che indicano come la città sia ormai fuori controllo e sia diventata la base operativa degli spacciatori - forse della mafia nigeriana - di un sistema criminale alimentato dall'abnorme presenza d'immigrati clandestini.
Da Macerata emerge il volto nero della provincia italiana, pervasa da apparenti pubbliche virtù e concretissimi vizi privati. Nello stesso giorno in cui si è tenuta a Roma la marcia in ricordo di Pamela Mastropietro voluta dalla madre della ragazza, Alessandra Verni, con a fianco il Sindaco di Roma Virginia Raggi, che ha sfilato con la maglietta «io sono Pamela» (al contrario del sindaco di Macerata, Romano Carancini del Pd, che non ha mai manifestato solidarietà alla famiglia della ragazza uccisa), la giornalista di Rai News 24 Angela Caponnetto ha raccolto la testimonianza di una ragazza che tra le lacrime denuncia: «Esiste un sistema Macerata. Droga e prostituzione minorile per alimentare un giro di festini a luci rosse in cui sono coinvolti personaggi bene della città». Selvaggia - questo il nome di fantasia della donna, ripresa di schiena e con la voce camuffata - testimonia: «Mi sono decisa a parlare perché mi ritrovo nella tragica storia di Pamela, anche lei come me era una ragazza sola». Le accuse sono precise: il suo fidanzato l'ha portata, dopo averla stordita con la droga, in un casolare dove più volte ha incontrato molti uomini. Questo casolare potrebbe essere una villa nella frazione Sant'Egidio di Montecassiano, hinterland di Macerata. «Lì ad aspettarmi c'erano personaggi facoltosi, ho riconosciuto anche tre poliziotti, un avvocato, tanti dell'alta borghesia di Macerata. Davanti alla villa erano parcheggiate Bmw, Mercedes, Maserati». Questa storia risale a 10 anni fa «ma è stata insabbiata perché di mezzo c'è la massoneria, c'è la mafia». Ricostruendola si scopre che i genitori di Selvaggia fecero un esposto alla Procura della Repubblica a nome della figlia allora minorenne. Ma il fascicolo per un anno scomparve. Dopo un secondo esposto l'indagine fu «riesumata» ma s'insabbiò di nuovo fino a quando il gip, su richiesta del pm, non ha archiviato tutto. Ma oggi, dice Selvaggia: «Basta tacere, dopo quello che è successo a Pamela e che poteva succedere a me, bisogna che queste cose vengano fuori». Anche perché il sospetto è che questi festini siano continuati e che il clima di omertà che c'è in città possa trovare fondamento nei ricatti incrociati.
Vedremo se dopo lo scoop di RaiNews 24 il procuratore della Repubblica, Giovanni Giorgio, vorrà riprendere il filo di quella denuncia caduta nel vuoto 10 anni fa. Come si è scoperto che Macerata è al centro di un ingentissimo traffico di droga controllato dai nigeriani, così ci sono segnali che la città è luogo di reclutamento di giovanissime prostitute - anch'esse nigeriane - che vengono «comprate» nei centri di accoglienza. Già nel 2015 la Corte d'Assise di Macerata condannò a pene pesanti sette nigeriani per sfruttamento della prostituzione. Un'indagine condotta dall'allora procuratore antimafia di Ancona, Vincenzo Luzi, appurò che due uomini e cinque «madame» reclutavano le giovani in Nigeria, le facevano arrivare passando per i progetti di assistenza ai profughi e poi con riti wodoo le ricattavano fin quando le giovani non pagavano tra i 40.000 e i 60.000 euro. E tutt'oggi alla stazione di Macerata giovanissime immigrate si vendono e le telecamere di sicurezza, le stesse che hanno inquadrato Pamela Mastropietro prima di essere uccisa, hanno filmato centinaia di incontri. Ma su questo fronte nessuna indagine pare sia stata aperta anche se il legame tra droga, prostituzione, criminalità nigeriana e delitto di Pamela sembra sempre più evidente. Del resto altre denunce attendono da più di un anno di sortire qualche effetto: sono quelle della Guarda di Finanza che imputa alle Onlus che si occupano dell'assistenza ai migranti un'abnorme evasione fiscale. In particolare il Gus - oltre 35 milioni di fatturato provenienti interamente da soldi pubblici, 407 dipendenti, la più consistente azienda della provincia di Macerata - a cui il Comune attraverso il sindaco Carancini ha di fatto concesso il monopolio dell'assistenza ai migranti. L'Onlus presieduta da Paolo Bernabucci e guidata da Giovanni Lattanzi, responsabile nazionale delle politiche sociali del Pd, è accusata dalla Finanza di aver occultato redditi per 40 milioni e di aver evaso l'Iva per 6 milioni di euro.
Intanto al Gus arrivano da Prefettura e Comune altri appalti milionari per ospitare profughi in una città e in una provincia che hanno già un numero rilevantissimo di migranti. Peraltro il Gus è la Onlus che si è occupata anche dell'accoglienza di Innocent Oseghale, il principale accusato del delitto Mastropietro. Ma ora alla luce della denuncia di Selvaggia c'è da capire se Pamela non sia stata vittima del giro dei balletti a luci rosse e se questo giro - ammesso esista ancora - non condizioni la vita pubblica di Macerata, se Pamela non sia incappata nel giro di chi, arrivato a Macerata accolto dalle Onlus, gestisce eroina e sesso. Oggi diventa indispensabile rileggere la presenza di esponenti del Black Axe - l'Ascia Nera una delle più feroci organizzazioni della mafia nigeriana - ai funerali di Emmanuel Chidi Namdi ucciso dopo una lite con l'ultrà Amedeo Mancini due anni fa a Fermo. Anche perché tra le province di Macerata e Fermo lo spaccio di droga e la prostituzione sono diventati fenomeni abnormi: si stima che tra Porto Sant'Elpidio, Civitanova, Macerata, Lido di Fermo, Porto Recanati e Numana ci siano 420 prostitute nigeriane clandestine. Queste fruttano circa 3.000 euro al mese ciascuna all'organizzazione. È in questo contesto che s'inserisce il delitto di Pamela Mastropietro. È esasperato da questo degrado che Luca Traini il 3 febbraio sparò all'impazzata tenendo per due ore Macerata in ostaggio e ferendo sei immigrati. Ci si è mobiliatati contro il razzismo di Traini - al quale peraltro una recentissima perizia riconosce la seminfermità mentale - ma non si è guardato alla sostanza delle cose. E forse oggi anche il rapporto tra Traini e Pamela va riletto. Si è detto che i due non si conoscevano, ma nell'inchiesta ci sarebbero almeno 45 sms scambiati fra Pamela e Luca. I punti oscuri attorno al delitto di Pamela, col passare delle settimane, invece di diminuire sembrano aumentare. Intanto Macerata è sempre più sotto choc.
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