Ospiti del talk condotto da Daniele Capezzone negli studi di Utopia, Luca Pastorino di Liberi e uguali e Antonio Martino di Forza Italia. Argomenti del giorno: il punto sulla riforma del catasto, la fine dell'emergenza sanitaria e la crisi in Ucraina.
Ospiti del talk condotto da Daniele Capezzone negli studi di Utopia, il responsabile energia della Lega Paolo Arrigoni e il senatore del Movimento 5 stelle Stanislao Di Piazza. Temi del giorno: il conflitto russo-ucraino, gli effetti sull'energia e l'economia, le riaperture e un quadro politico.
Ansa
L’elenco delle restrizioni che verranno eliminate (in clamoroso ritardo) tra oltre un mese dimostra che restiamo prigionieri nonostante il lasciapassare, imposto proprio con la scusa di evitare le chiusure.
Eravamo in emergenza, non eravamo liberi, ma non lo sapevamo. Anzi, se a Natale Mario Draghi aveva chiesto ancora un po’ di pazienza e qualche piccolo sacrificio era proprio «per difendere la normalità raggiunta». Adesso però, dalle fanfare dei giornaloni sulle «riaperture» del 1° marzo e sulla fine dello stato d’emergenza a partire dal 31 marzo, si scopre che anche negli ultimi tre mesi milioni di italiani sono stati limitati nelle loro libertà fondamentali. A cominciare da coloro che, a torto o a ragione, non si erano o non si sono vaccinati e sono stati messi spalle al muro, con la minaccia di perdere persino ogni fonte di reddito.
«Draghi: emergenza finita, adesso riapriamo tutto», titolava ieri La Stampa di Torino. «Covid, l’emergenza è finita. Draghi: dal primo aprile stop anche al sistema ai colori», annunciava Il Corriere della Sera, con la gioia di chi si lascia alle spalle un periodaccio. «Covid, da aprile via i colori. Draghi: «l’obiettivo è riaprire tutto», strillava La Repubblica degli Agnelli-Elkann, che con un piccolo capolavoro grafico metteva sotto questo titolo un’altra gran bella notizia: «Stellantis fa utili record, premiata la fusione». Da domani, con la scusa della guerra in Ucraina, di nuovo cassa integrazione a richiesta, musi lunghi degli azionisti e, incassate le ricche cedole, nuove richieste di sussidi pubblici al governo?
E insomma, gli italiani erano leggermente sacrificati, ma lo scriveva solo La Verità. Nel coro sinfonico senza memoria di questa nuova Italia dei migliori e dei competenti, con politici e opinionisti che cinguettano su Twitter tutto il dì, ci si era scordati le parole dello stesso presidente del Consiglio alla vigilia di Natale. Nella conferenza stampa del 21 dicembre, quella in cui si giocò probabilmente l’elezione a capo dello Stato definendosi «un nonno al servizio delle istituzioni», Draghi affermò: «Dobbiamo difendere la normalità che abbiamo raggiunto, senza nuove chiusure, continuando a garantire la scuola in presenza e una socialità soddisfacente».
Ed eccolo l’elenco delle «normalità» raggiunte, che oggi ricaviamo dai calendari delle «riaperture» che in queste ore tutti i media stanno diffondendo, dopo non aver fatto un plissé per tutto l’inverno.
Da martedì 1° marzo, stop alla quarantena per chi arriva in Italia da nazioni extra Ue, con l’effetto tragicomico che i turisti stranieri avranno più diritti di milioni di italiani, in quanto evidentemente meno contagiosi di noi. Dal 10 di marzo, si potranno visitare i parenti in ospedale, ma per non più di 45 minuti. Insomma, basta con tutti questi anziani che muoiono da soli, dopo che un portavoce dei parenti è stato costretto per settimane a parlare al telefono con un portavoce del reparto ospedaliero. Di pari importanza, almeno come si evinceva ieri dalle «pillole» utili del Sole 24 Ore, il fatto che al cinema si potranno nuovamente mangiare i pop corn, ma sempre tra due settimane.
Il 31 marzo, poi, viene lasciato scadere lo stato di emergenza e quindi (ma è meglio dirlo a bassa voce), l’Italia tornerà a essere la famosa culla del diritto. Dal 1° aprile, poi, e non è uno scherzo, basta con le quarantene da semplice contatto a scuola. La misura che ha rischiato di paralizzare milioni di famiglie, con migliaia di ragazzi falsi positivi o positivi non sintomatici, scade come uno yogurt e chi si è visto si è visto. Sempre dal 1° aprile, all’aperto non sarà più necessario il super green pass e lo stesso vale anche per alberghi e mezzi di trasporto.
Mentre il 15 giugno (che non è esattamente domani ma pazienza, siamo in festa lo stesso), cade anche l’obbligo di vaccinazione per gli ultracinquantenni. Una misura di una certa rilevanza, sicuramente a lungo meditata da Roberto Speranza e dai suoi aurei consulenti del Cts e che si pensava potesse essere una di quelle imposizioni che o sono giuste o sono sbagliate. E invece viene trattata come l’imposizione della zona a traffico limitata sotto le feste: un po’ va bene, ma poi stufa.
Con la fine dell’emergenza (fantasma), cadono anche una serie di misure che fino a ieri sembravano letteralmente vitali, come le mascherine Ffp2 a scuola e il sistema delle Regioni a colori, bianche, gialle, arancioni e rosse. Una bellissima notizia anche per alcuni assessori che si sono industriati per mesi a conteggiare posti letto nei vari «reparti Covid» e nelle terapie intensive con un occhio ai diktat del ministero della Salute e con un altro al punto di rottura del sistema economico locale.
Draghi, mentre rinunciava all’idea di andare a far due chiacchiere con un Vladimir Putin che aveva già deciso di bombardare Kiev, ha anche annunciato l’intenzione di mettere «gradualmente fine all’obbligo di utilizzo del certificato verde rafforzato», a partire dalle attività all’aperto, tra cui fiere, sport, feste e spettacoli.
Non è chiaro se lo farà davvero, anche perché il green pass non blocca i contagi, ma allo Stato può sempre servire, specie se abbinato alla demonizzazione del contante, al progetto dell’euro digitale e al coinvolgimento dell’Agenzia delle entrate nella sanzione delle violazioni dell’obbligo vaccinale. In ogni caso, vista com’è andate con le «riaperture» di questi giorni, è facile prevedere che quando Draghi abolirà il certificato verde, i giornaloni che lo hanno difeso strenuamente applaudiranno sentitamente alla sua scomparsa e al trionfo delle libertà costituzionali.
Continua a leggereRiduci
Ecco #LaVeritaAlleSette del 24 febbraio 2022 con il vicedirettore Claudio Antonelli.
L'argomento di oggi è: "Guerra in Ucraina. Green pass e riaperture"
Hanno introdotto obblighi assurdi. Dal coprifuoco alle mascherine all’aperto. Dalla chiusura dei parchi al divieto di usare le cappelliere negli aerei. Tutte misure inefficaci a frenare il virus, ma utili a soggiogare la gente. Così adesso basta toglierne qualcuna per dare l’illusione della riapertura. E centrare il vero obiettivo: il green pass eterno.
Il primo impatto della pandemia Covid in Italia è stato raccontato in chiave anti razzista. Guai a chiudere le frontiere, mangiamo gli involtini primavera e - solo se si è presidenti della Repubblica - facciamo visita alle scuole primarie con elevato numero di bimbi cinesi. Poi a distanza di pochi giorni il clima aperturista si trasforma in un baratro scuro dal nome anglosassone di lockdown. Prigionia sembrava troppo. I due anni successivi sono stati un susseguirsi di regole e imposizioni, prive di qualunque base scientifica, che hanno finito con lo stordire gli italiani, confonderli. Due anni che hanno consentito che le vere libertà e le finte si mescolassero in una miscela che, con il senno di poi, sembra consustanziale a realizzare la vera gabbia. Cioè, la realizzazione del green pass e il suo mantenimento vita natural durante.
Riavvolgiamo il nastro a marzo del 2020. Lockdown. Divieto di uscita da casa. Salvo per accompagnare il cane o per fare jogging e comunque muniti di autocertificazione. Guai a uscire per una passeggiata. In quelle settimana è consentito andare a fare la spesa, ovviamente, ma viene introdotto il divieto di acquistare prodotti non necessari o di cancelleria nei supermercati. Perché? La domanda resta ancora oggi senza risposta. Negli stessi giorni, nasce il concetto di «congiunti», tra i quali Giuseppe Conte inserisce anche i fidanzati. I quali possono incontrarsi e uscire dal luogo di residenza. Ma pur sempre senza uscire dal Comune dove abitano. Il tutto purché si rincasi prima delle 22. Il Conte bis, infatti, introduce anche la limitazione temporale, poi spostata a mezzanotte. Evidentemente convinto che il virus segua nella sua evoluzione particolari fusi orari. O particolari località. I parchi giochi per bambini ad esempio restano chiusi fino a giugno 2020. E alcuni sindaci mantengono il divieto di utilizzo anche nel semestre successivo. Poco male, così gli italiani si abituano alle follie. D’altronde poco prima, il 3 giugno, viene introdotta una «modifica» nel codice della strada. Si viaggia in auto in più di due persone solo se conviventi. Altrimenti in due purché una stia seduta dietro sul lato opposto. O in tre se l’auto ha tre fila di sedili. I centauri? In due solo se conviventi. Altrimenti da soli a godersi le strade svuotate dal Covid.
Eppure nessuna sollevazione popolare di fronte a tale schizofrenia scientifica, nemmeno quando l’Enac vieta sui voli nazionali l’utilizzo delle cappelliere. Dove forse il governo era convinto si annidassero nugoli di Covid-19 pronti a seguire i passeggeri fin dentro le abitazioni. D’altronde ad agosto dello stesso anno il governo vieta i balli giustificando l’intervento con il rischio assembramenti. Giusto? Forse. A posteriori chiaramente no. Ma la cosa grave e assurda è che impone l’obbligo di mascherina, ma solo tra le 18 e le 6 del mattino. Nemmeno il tempo di assimilare la novità o metterla in discussione che il decreto Emergenze estende l’utilizzo delle maschere anche all’aperto. Nonostante membri del Cts o altri cosiddetti esperti abbiano più volte sconsigliato di camminare con bocca e naso coperti. Così, da ottobre 2020 fino a febbraio 2021 obbligo mascherine all’aperto. Obbligo rispuntato a Natale scorso e abolito tre giorni fa. Coerenza sul modello da utilizzare? Ovviamente no. Al chiuso le Ffp2 obbligatorie per i teatri (anche se con capienza ridotta), ma non per i musei dove bastano le chirurgiche. Nelle chiese, per le quali non serve il green pass, è sempre stato possibile usare chirurgiche e Ffp2. Lasciando al fedele il libero arbitrio. Il quale, fedele, a Natale del 2020 apprende come atto soprannaturale della nascita della zona gialla rafforzata. A quel punto ogni italiano reagisce a modo suo. Molti però da questo stringere le morse traggono un senso di sicurezza e di affidamento. Non vogliamo dire sia sindrome da Stoccolma. Però di qualcosa di patologico deve trattarsi visto che quasi tutti noi abbiamo annotato mentalmente che per fermare il virus era necessario chiudere i ristoranti alle 18. Dove si poteva andare a pranzo ma non a cena e in ogni caso non stare seduti al medesimo tavolo in più di sei. O, in un lasso di tempo più breve, addirittura in quattro. A pensarci adesso sembra tutto folle.
Ma attenzione, l’allucinazione collettiva è un tema più complesso. Primo, perché non è ancora terminata. L’altro ieri hanno riaperto le discoteche, ma con mascherine ai tavoli. Può entrare in sala solo chi ha il super green pass. La capienza deve essere del 50%, si deve ballare a due metri di distanza a meno che non si sia congiunti. Un’assurdità che però ha un senso preciso. E qui viene il punto due. Aver assistito per due anni all’introduzione di vincoli assurdi, fa sembrare ogni minimo passo indietro un ritorno alla libertà. È accaduto prima ai tempi di Conte e sta accadendo con l’attuale governo. Solo che stavolta la posta in gioco è il green pass. Nel giugno scorso è stata introdotta la carta verde. Poi l’obbligo è stato allargato a un numero sempre maggiore di attività o luoghi. Il criterio, inutile dirlo, sempre antiscientifico (basti pensare che a lungo è servito per i treni ad alta velocità ma non per quelli regionali) ha permesso di giocare la stessa carta dell’illusione collettiva.
Così, ora che si verifica la restrizione massima (martedì l’obbligo di super green pass agli over 50 per andare al lavoro), il racconto dei media comincia a introdurre la fase inversa o discendente. Piano piano il lasciapassare su concessione di Roberto Speranza potrà sparire da bar, ristoranti, locali. E poi discoteche, metro o treni regionali. Ma se notate non si fa cenno ad alcuna abolizione. Con la scusa che l’obbligo vaccinale è fissato fino al 15 giugno (perché questa data resta ovviamente un mistero) le veline di Speranza fanno sapere che il lasciapassare resterà per gli spostamenti aerei e i treni ad alta velocità. Sicuramente per accedere agli ospedali e agli altri servizi pubblici. Dovremo esibire il green pass per andare alle poste e per fare un esame clinico. Ma molti italiani esalteranno il senso di libertà insito nel poter esibire la carta. Nel frattempo, come previsto da Bruxelles, l’Italia avrà trasformato i cittadini in identità digitali. Con tutto ciò che ne consegue in termini di tracciamento e controllo fiscale.
Continua a leggereRiduci






