(Totaleu)
Lo ha detto il ministro a margine del consiglio per gli Affari interni, riguardo ai centri di rimpatrio in Albania.
Lo ha detto il ministro a margine del consiglio per gli Affari interni, riguardo ai centri di rimpatrio in Albania.
«Quando lo abbiamo saputo ho pianto: stanno distruggendo la nostra economia, la nostra anima». Pasquina Pachi Attanasio è la presidente del Gal Daunia Rurale in prima fila nel rilancio del Foggiano, di Lesina, del Gargano per ridare prospettiva a una terra che rischia di perdersi nella morsa di bande senza scrupoli. Si parla di vino di San Severo, antichissima tradizione da risollevare, si parla soprattutto di grano duro. Qui Nazzareno Strampelli creò il grano Senatore Cappelli, quello che rende unica la pasta italiana. Qui ancora fa ricerca e il «suo» Centro nazionale di cerealicoltura: «Per colpa dell’Europa», sottolinea Pachi, «rischiamo di perdere questo patrimonio inestimabile». C’è un altro dispetto che l’Europa desiderosa di liquidare in fretta l’agricoltura (rea, a suo di dire, di emettere troppa CO2) ha fatto alla gente di Capitanata: eliminare il grano arso. È scritto nella Pac - politica agricola comunitaria - che impone la rotazione di almeno il 4% delle superfici coltivate a cereali. Vuol dire sospendere la produzione di mais (ne facciamo 11 milioni di tonnellate, per sfamare gli animali ne importiamo almeno 6 milioni) grano duro, frumento e riso per un anno. Ai coltivatori viene dato un contributo compensativo di 110 euro a ettaro, ma se non si fa la rotazione si perde. Nella Pac è scritta un’offesa per la gente del Foggiano: è vietato bruciare le stoppie dopo la mietitura. Tutti hanno mandato a memoria La spigolatrice di Sapri, ma pochi sanno chi fossero le spigolatrici. Erano le donne che finita la mietitura andavano a raccogliere i chicchi di grano dimenticati, le spighe ritorte. Da sempre, fatta la raccolta si incendiano le stoppie. Lo si fa per fertilizzare i campi: bruciando si abbattere il rapporto azoto-carbonio che dopo la mietitura è troppo alto. L’Europa è convinta che questa combustione liberi troppa anidride carbonica nell’aria e dunque la vieta. Nel Foggiano si faceva raccolta dei chicchi e delle spighe combuste per fare la farina di grano arso. La cariosside che avvolge il chicco lo protegge dalla combustione, ma il calore lo tosta e i pani di Daunia, i taralli sono straordinariamente sapidi perché si mescolava (e anche oggi si fa, ma la farina di grano arso è prodotta con la tostatura in forno dei chicchi) farina bianca con farina «nera» che in passato era il solo sostentamento delle famiglie povere ottenuta dalla macinatura del raccolto delle spigolatrici. L’Europa in nome di un green cervellotico cancella tutto questo. Ma rischia di desertificare la già scarsa superficie cerealicola italiana: in cinque anni abbiamo perso oltre 200.000 ettari coltivati a grano. Nel caso del riso c’è poi un sospetto in più. L’Italia è il primo produttore europeo di riso japonica (quello da risotti: ne produciamo circa 1,2 milioni di tonnellate, il 56% le vendiamo all’estero), ma Bruxelles vuole usare il cereale come strumento diplomatico. Per fare accordi con i paesi asiatici vuole favorire l’importazione di riso indica (il Basmati, per capirci). Secondo Coldiretti lo scorso anno l’import id riso da noi è aumentato dell’82% e a livello comunitario solo da Myanmar e Cambogia è arrivato un terzo in più di riso: 292.000 tonnellate. Va aggiunto che un altro 10% di terreni deve restare incolto. Il nuovo regolamento Pac si chiama ecoschema 4 e di fatto pone i coltivatori di fronte a un bivio: accettare i contributi e smettere di produrre oppure affidarsi totalmente al mercato. Una cosa è sicura: in Pianura padana, nel Senese, in Maremma e nelle Marche - dove si produce gran parte del frumento e del mais italiano - si rischia non sia più conveniente coltivare. Aggravando la nostra dipendenza dall’estero. L’Italia ha bisogno tra tenero e duro di circa 39 milioni di tonnellate di grano, ne importiamo oltre 20 milioni. Compriamo all’estero più della metà di frumento e circa un terzo del duro che ci serve a fabbricare 2,9 milioni di tonnellate di pasta (di cui il 60% venduto oltreconfine). Nessuna meraviglia se il prezzo del pane schizza a 5 euro al chilo o se la pasta aumenta del 48% in un anno. È la fluttuazione dei prezzi internazionali resi del tutto instabili da 20 mesi di guerra in Ucraina. In questa condizione l’Europa impone di produrre meno. Lo fa anche limitando i pesticidi e i fertilizzanti. L’Alleanza delle cooperative suona con Davide Vernocchi un nuovo allarme: «Se la Commissione non terrà conto delle obiezioni del Parlamento sulla necessitò di rivedere lo stop ai pesticidi, per l’agricoltura, e l’ortofrutta in particolare, si aprono scenari di profonda crisi.» Bruxelles dice no ai pesticidi ma promuove il glifosato. Se ne è discusso senza esito il 13 ottobre: l’Italia ha votato sì alla proroga di 10 anni dell’erbicida su cui ci sono molti sospetti d’insalubrità, ma perché pare che si possa arrivare a due importanti condizionalità: l’esclusione dei trattamenti con glifosato in pre raccolta e il no all’uso come disseccante dei cerali. Se ne riparla a novembre. Va rilevato che limitando la coltivazione dei cereali, di fatto l’Ue apre le porte a chi usa indiscriminatamente il glifosato. Non è un mistero - per dirne una - che il Canada da cui compriamo oltre il 20% del grano duro lo usa sui semi insilati. Ma cosa importa, basta salvare la faccia green.
Mezzo governo Conte bis accusato di fatti criminosi. La Procura di Roma, in data 28 marzo, ha iscritto nel registro degli indagati gli ancora ministri della Salute, Roberto Speranza, degli Esteri, Luigi Di Maio, dell’Interno, Luciana Lamorgese, della Difesa, Lorenzo Guerini e degli ex titolari dell’Economia, Roberto Gualtieri, della Giustizia, Alfonso Bonafede, delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli, dell’Istruzione, Lucia Azzolina, e dell’Ambiente, Sergio Costa.
Le ipotesi di reato vanno dall’usurpazione di potere politico all’abuso di ufficio aggravato, dal sequestro di persona al procurato allarme, dalla violenza privata alla pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico.
Una sfilza impressionante di condotte di cui dovranno rispondere alla magistratura, e di fronte ai cittadini, per come hanno gestito la pandemia. L’atto formale, è la conseguenza di una denuncia presentata il 12 marzo dello scorso anno da un gruppo di professionisti, tra i quali medici, avvocati e un maresciallo della Guardia di finanza, che si rivolsero alla Procura di Catania dopo aver raccolto una corposa documentazione contro diversi politici che ritengono responsabili dei reati ipotizzati.
Da Catania, la denuncia è finita a Roma, sembra si sia raccolto un faldone con centinaia di atti formali attraverso i quali cittadini e associazioni di tutta Italia hanno messo a conoscenza dell’autorità giudiziaria fatti che possono costituire notizie di reato a carico del ministro della Salute, Speranza, e di ministri confermati e non nell’attuale governo Draghi.
Quelle avanzate nella denuncia di marzo 2021, sono state quasi tutte accolte e sono pesantissime. I denuncianti chiesero che venissero avviate 33 indagini e che fosse accertata «l’effettiva sussistenza dei plurimi profili di falsità, arbitrarietà nell’esercizio da parte del governo del potere politico attribuito per legge al Parlamento, di strumentalizzazione di notizie scientificamente e/o sanitariamente e/o epidemiologicamente false, ovvero manipolazione in malafede di notizie scientificamente vere al fine di imporre all’opinione pubblica (e quindi anche agli eletti in Parlamento […] con conseguente lesione del diritto di elettorato passivo rilevante […] un racconto pandemico falso e volto alla coartazione dei diritti costituzionali e politici dei cittadini.
Primo destinatario della denuncia era l’ex premier, Giuseppe Conte, unico a non comparire nel registro degli indagati. I magistrati hanno chiaramente optato diversamente, anche se nella denuncia si legge chiaramente che occorre verificare se «abbia volutamente distorto il potere di normazione secondaria di cui è stato titolare, nella consapevolezza sua (e degli organi tecnico consultivi, fra i quali in primis il famoso Cts), che i provvedimenti di natura sanitaria fossero privi di presupposti di fatto adeguati a giustificarli».
Quel governo, si afferma, dopo «l’inerzia assoluta nei mesi di febbraio e marzo 2020 […] ha deliberatamente ignorato la Costituzione, utilizzando impropriamente lo strumento della normazione sub regolamentare con i dpcm», un modo di procedere definito «non casuale, ma scientemente meditato e preordinato».
Lo scopo sarebbe stato di «introdurre misure drastiche e limitative dell’esercizio da parte dei cittadini di plurimi diritti costituzionali», e di impedire loro di ribellarsi. La denuncia punta il dito anche contro «Walter Ricciardi e la sua ossessione per il lockdown» e i principali virologi televisivi che hanno insistito per mesi «per imporre misure drastiche di isolamento sociale».
Questa la narrazione del meccanismo, così come viene descritta: «Prima escono in avanscoperta determinati medici virologi a iniziare a spargere prospettive allarmistiche, poi man mano tali annunci terroristici vengono recepiti, senza alcun vaglio critico, dagli organi di stampa che li diffondono per cuocere l’opinione pubblica, e infine, dopo che l’opinione pubblica è stata adeguatamente cotta, finalmente viene adottato il singolo dpcm o la singola ordinanza restrittiva».
Tra le indagini sollecitate, quella volta a conoscere «i criteri tecnico scientifici adottati per la creazione delle proiezioni a breve, medio e lungo termine elaborate dai cosiddetti esperti» e la motivazione scientifica «della decisione di ricoverare, nel periodo estivo/autunnale del 2020 e in tutto il territorio nazionale numerosissimi soggetti asintomatici, per il solo fatto di essere risultati positivi al tampone».
Viene chiesto l’elenco di tutti coloro che hanno eseguito il test «al fine di verificare se la cifra era reale», quando vennero dichiarati aumenti record di positivi nelle 24 ore. E di verificare il perché della «costante, pervicace e ostinata marginalizzazione, da parte dell’autorità sanitaria nazionale, di pressocché tutte le cure, spregiativamente definite “alternative”».
I denuncianti chiedono anche di sapere «chi sono, quali titoli accademici, tecnici e quali competenze possiedono i sedicenti esperti che hanno suggerito al ministero della Salute di imporre l’uso delle mascherine e del distanziamento sociale anche agli alunni delle scuole, alla riapertura di settembre 2020». Anche adesso, potremmo aggiungere.
Mezzo governo Conte bis accusato di fatti criminosi. La Procura di Roma, in data 28 marzo, ha iscritto nel registro degli indagati gli ancora ministri della Salute, Roberto Speranza, degli Esteri, Luigi Di Maio, dell’Interno, Luciana Lamorgese, della Difesa, Lorenzo Guerini e degli ex titolari dell’Economia, Roberto Gualtieri, della Giustizia, Alfonso Bonafede, delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli, dell’Istruzione, Lucia Azzolina, e dell’Ambiente, Sergio Costa.
Le ipotesi di reato vanno dall’usurpazione di potere politico all’abuso di ufficio aggravato, dal sequestro di persona al procurato allarme, dalla violenza privata alla pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico.
Una sfilza impressionante di condotte di cui dovranno rispondere alla magistratura, e di fronte ai cittadini, per come hanno gestito la pandemia. L’atto formale, è la conseguenza di una denuncia presentata il 12 marzo dello scorso anno da un gruppo di professionisti, tra i quali medici, avvocati e un maresciallo della Guardia di finanza, che si rivolsero alla Procura di Catania dopo aver raccolto una corposa documentazione contro diversi politici che ritengono responsabili dei reati ipotizzati.
Da Catania, la denuncia è finita a Roma, sembra si sia raccolto un faldone con centinaia di atti formali attraverso i quali cittadini e associazioni di tutta Italia hanno messo a conoscenza dell’autorità giudiziaria fatti che possono costituire notizie di reato a carico del ministro della Salute, Speranza, e di ministri confermati e non nell’attuale governo Draghi.
Quelle avanzate nella denuncia di marzo 2021, sono state quasi tutte accolte e sono pesantissime. I denuncianti chiesero che venissero avviate 33 indagini e che fosse accertata «l’effettiva sussistenza dei plurimi profili di falsità, arbitrarietà nell’esercizio da parte del governo del potere politico attribuito per legge al Parlamento, di strumentalizzazione di notizie scientificamente e/o sanitariamente e/o epidemiologicamente false, ovvero manipolazione in malafede di notizie scientificamente vere al fine di imporre all’opinione pubblica (e quindi anche agli eletti in Parlamento […] con conseguente lesione del diritto di elettorato passivo rilevante […] un racconto pandemico falso e volto alla coartazione dei diritti costituzionali e politici dei cittadini.
Primo destinatario della denuncia era l’ex premier, Giuseppe Conte, unico a non comparire nel registro degli indagati. I magistrati hanno chiaramente optato diversamente, anche se nella denuncia si legge chiaramente che occorre verificare se «abbia volutamente distorto il potere di normazione secondaria di cui è stato titolare, nella consapevolezza sua (e degli organi tecnico consultivi, fra i quali in primis il famoso Cts), che i provvedimenti di natura sanitaria fossero privi di presupposti di fatto adeguati a giustificarli».
Quel governo, si afferma, dopo «l’inerzia assoluta nei mesi di febbraio e marzo 2020 […] ha deliberatamente ignorato la Costituzione, utilizzando impropriamente lo strumento della normazione sub regolamentare con i dpcm», un modo di procedere definito «non casuale, ma scientemente meditato e preordinato».
Lo scopo sarebbe stato di «introdurre misure drastiche e limitative dell’esercizio da parte dei cittadini di plurimi diritti costituzionali», e di impedire loro di ribellarsi. La denuncia punta il dito anche contro «Walter Ricciardi e la sua ossessione per il lockdown» e i principali virologi televisivi che hanno insistito per mesi «per imporre misure drastiche di isolamento sociale».
Questa la narrazione del meccanismo, così come viene descritta: «Prima escono in avanscoperta determinati medici virologi a iniziare a spargere prospettive allarmistiche, poi man mano tali annunci terroristici vengono recepiti, senza alcun vaglio critico, dagli organi di stampa che li diffondono per cuocere l’opinione pubblica, e infine, dopo che l’opinione pubblica è stata adeguatamente cotta, finalmente viene adottato il singolo dpcm o la singola ordinanza restrittiva».
Tra le indagini sollecitate, quella volta a conoscere «i criteri tecnico scientifici adottati per la creazione delle proiezioni a breve, medio e lungo termine elaborate dai cosiddetti esperti» e la motivazione scientifica «della decisione di ricoverare, nel periodo estivo/autunnale del 2020 e in tutto il territorio nazionale numerosissimi soggetti asintomatici, per il solo fatto di essere risultati positivi al tampone».
Viene chiesto l’elenco di tutti coloro che hanno eseguito il test «al fine di verificare se la cifra era reale», quando vennero dichiarati aumenti record di positivi nelle 24 ore. E di verificare il perché della «costante, pervicace e ostinata marginalizzazione, da parte dell’autorità sanitaria nazionale, di pressocché tutte le cure, spregiativamente definite “alternative”».
I denuncianti chiedono anche di sapere «chi sono, quali titoli accademici, tecnici e quali competenze possiedono i sedicenti esperti che hanno suggerito al ministero della Salute di imporre l’uso delle mascherine e del distanziamento sociale anche agli alunni delle scuole, alla riapertura di settembre 2020». Anche adesso, potremmo aggiungere.
All’inizio ci sono sempre un premietto o uno sconticino, tanto per farsi schedare un po’. Ma in Emilia Romagna alcune amministrazioni hanno deciso di fare di più. A Bologna stanno introducendo la «patente digitale» per i cittadini che si comportano bene e a Fidenza i punti di penalizzazione per gli inquilini delle case popolari che sporcano, o fanno disordine. Con 50 punti, si è letteralmente fuori. Un bel passo avanti verso lo Stato etico, se l’espressione ha ancora un significato in tempo di bombe su ospedali e civili, ma anche verso il modello cinese del «credito sociale», che un domani dividerà buoni e cattivi, o del green pass.
Se i costruttori cinesi dell’auto hanno scelto il Reggiano per mettere piede nella Motor valley emiliana, Bologna ha scelto di legare la sua celebrata tradizione libertaria al controllo burocratico delle virtù, alla maniera di Pechino.
Con la scusa della solita «app al servizio dei cittadini», la giunta guidata dal piddino Matteo Lepore con l’appoggio dei 5 stelle sta spingendo su una digitalizzazione a misura del singolo utente. «Daremo ai cittadini servizi basati sulle loro esigenze e questo ci permetterà di personalizzare la loro esperienza», promette il sindaco. Ma l’assessore all’Agenda digitale, il grillino Massimo Bugani, ha pronto lo smart citizen wallet, che ha tradotto con «portafoglio del cittadino virtuoso». Partirà in autunno, dopo una prima sperimentazione, e come ha spiegato Bugani permetterà a ogni singola persona di avere dei punti «se differenzia bene i rifiuti, se usa i mezzi pubblici, se gestisce bene l’energia, se non prende sanzioni dalla polizia locale». Da un lato, si tratterebbe di comportamenti più o meno doverosi. Dall’altro, va detto che l’elenco tradisce un totale sovvertimento di quello che dovrebbe essere un corretto rapporto tra cittadino e pubbliche amministrazioni, perché saremmo noi a dover dare il voto all’azienda dei rifiuti, alla municipalizzata dei trasporti, all’efficienza e alla gentilezza dei vigili urbani. Ma con la simpatica inversione alla bolognese, il passaggio da cittadino a suddito è implicito.
Bologna, del resto, è laboratorio del famoso «campo largo» che mette insieme sinistra e M5s e Bugani aveva già studiato la stessa idea con la giunta di Virginia Raggi a Roma, dove oltre a essere il capo dello staff del sindaco era anche uno dei migliori ambasciatori della cinese Huawei nell’amministrazione capitolina. Huawei l’anno scorso ha stretto proprio a Bologna un accordo di collaborazione con l’università per l’intelligenza artificiale. E del resto la cultura è importante, tanto che il portafoglio del cittadino virtuoso si arricchirà di punti se una persona «risulterà attiva con la card cultura». Insomma, s’introduce finalmente una qualche penalizzazione dell’ignoranza e chissà se la si può già usare anche per chi usa il termine «scontistica», come ha fatto l’assessore grillino.
Se a Bologna, al momento, il rischio pratico per il singolo cittadino è quello di consegnare più o meno la stessa mole di dati che si regalano alle varie Amazon o a banche e finanziarie, a Fidenza (Parma), la sperimentazione «cinese» è un po’ più invasiva. In questi giorni, negli ingressi delle case popolari sono stati distribuiti volantini con i colori del semaforo. In pratica, dalla scorsa settimana ogni famiglia ha una carta da 50 punti. Si perdono anche 20 punti in un colpo solo, se si mette una pianta o una bici sul pianerottolo, dando fastidio ai vicini, o se si occupano le scale in vario modo. Ma verranno tolti 25 punti (oltre a 50 euro di multa) se si ospitano persone senza avvisare il Comune. E la grigliata sul balcone fa bruciare anche 10 punti. Quando si arriva a zero, si perde il diritto all’alloggio. Però, va detto che si possono guadagnare 5 punti ogni tre anni (saranno troppi?) se non si prendono sanzioni, e un punto sistemando un danno provocato o partecipando a fantomatiche iniziative «per imparare a vivere bene insieme». Che, par di capire, non prevederanno grigliate e barbecue.
Per evitare che un’esplosione di delazione e dispetti incrociati avveleni il clima nelle palazzine, il Comune incaricherà un non meglio precisato «agente accertatore» sul campo, a riprova che anche l’amministrazione impicciona riesce ad aumentare i posti di lavoro. Non solo, ma l’ente delle case popolari Acer provvederà a fornire appositi «corsi di formazione» agli inquilini che vogliono essere virtuosi. Prima o poi diventeranno obbligatori, a riprova che quando nella vita non si è imparato nulla, c’è sempre qualcuno che pagherà dei soldi per spacciare dei corsi di formazione.
La strada verso la patente a punti del cittadino modello, con il suo opposto (non automatico, certo) delle liste di proscrizione, non è facile neppure in Cina, dove il partito comunista la sperimenta dal 2014 a vari livelli e in diverse aree, compreso per il Covid. Ma proprio la gradualità con cui si muove Pechino insegna che quando lo Stato s’improvvisa supermercato, e distribuisce tessere a punti, bisogna fare attenzione. Le promozioni scadono, ma le fregature restano.

