La famiglia Paladino, padre Cesare in testa e le figlie Cristiana e Olivia (compagna del premier Giuseppe Conte), ha avviato con la banca Unicredit la procedura di ristrutturazione e risanamento del debito del gruppo che amministra. I Paladino sono proprietari dello storico Grand hotel Plaza di Roma (un 5 stelle lusso al momento chiuso per ristrutturazione). Come emerge dai documenti delle società Immobiliare Splendido e della controllante Archimede Immobiliare (la capofila della galassia è la Agricola Monastero Santo Stefano Vecchio), i Paladino, riporta Milano finanza, avrebbero già definito gli accordi. Per la precisione, a essere parte della pratica, per un rimodulazione del debito complessivo di 57,63 milioni di euro, sono le società Immobiliare Splendido e la Archimede immobiliare. Il progetto con la banca milanese, cui spettano circa 20 milioni, prevede la dismissione di asset per un ammontare di 24,8 milioni. Sono quindi stati predisposti due piani, il primo per Archimede e il secondo per Immobiliare Splendido (con scadenze rispettivamente 2026 e 2030), che stabiliscono l'integrale saldo di quanto dovuto al Fisco e alla giunta romana con pagamenti su base pluriennale. Tra i creditori, infatti, ci sono anche l'Agenzia delle entrate, gli istituti di previdenza e il Comune di Roma. Capitolo fisco: la cosiddetta «rottamazione ter», varata dal Conte uno, ha permesso la rateizzazione senza multe e interessi di 27 milioni di euro. Però quando mancavano ancora 15 milioni da versare, i Paladino hanno smesso di pagare chiedendo che le dieci rate venissero trasformate in 18. Per quanto riguarda l'Inps non bisogna dimenticare che la Procura di Roma ha aperto un'indagine a carico del «suocero» di Conte che non avrebbe pagato i contributi ai dipendenti. Ma c'è anche la più nota vicenda legata al mancato versamento della tassa di soggiorno al Comune di Roma, per un importo di circa due milioni, somma che il proprietario del Plaza avrebbe dovuto bonificare tra il 2014 e il 2019, e che invece aveva trattenuto. Circostanza che si è conclusa prima con il patteggiamento a un anno e due mesi per peculato, poi grazie al Decreto rilancio quel reato è stato depenalizzato. La sentenza è stata poi revocata e Paladino quindi eviterebbe anche la super multa, perché al momento dei fatti la riforma non era ancora in vigore. L'impegno economico per la ristrutturazione del debito è garantito dalla dismissione di immobili a Roma e di un castello a Torre Sabina (Rieti) e anche dall'incasso del canone di affitto di 5,5 milioni che tornerà a essere versata dalla società che gestisce il Plaza. La struttura negli ultimi mesi è stata al centro delle cronache anche per i racconti degli ex dipendenti per il mancato pagamento degli stipendi. E ora arriva l'ennesima stoccata dall'ex chef executive André Evans, il quale sul suo profilo Facebook ha scritto in un italiano sgangherato: «E noi ex dipendente aspettiamo ancora la liquidazione non percepito ma dichiarato nel unico dati falsati, aspettiamo il legge a fare il suo percorso... Bravo Cesare e Olivia della vostra onesta... Sotto le scarpe».
Nonostante le forti pressioni ricevute, cinque giudici di Cassazione hanno «sgretolato» la norma «ad suocerum» (o «ad familiam») con cui Giuseppe Conte ha consentito di ripulire la fedina penale e favorito l'impunità di Cesare Paladino, gestore dell'Hotel Plaza di Roma e padre di Olivia, la giovane «fidanzata» del premier. La decisione della Suprema Corte, chiamata a decidere sul caso analogo di un albergatore che, come il «suocero» di Conte, aveva incassato la tassa di soggiorno dai clienti ma non l'aveva versata al Comune, costituisce un precedente giurisprudenziale di alto profilo che avrà conseguenze per un certo numero di persone. In primis sul padrone dell'Hotel Plaza (che aveva trattenuto per sé ben 2 milioni di euro incassati tra il 2014 e il 2018 e aveva patteggiato un anno, due mesi e 17 giorni mesi di condanna per peculato), e poi su un gran numero di albergatori. Il contenuto della sentenza aiuta a comprendere con quale approssimazione e palese incapacità giuridica quella norma sia stata scritta non solo dal sedicente «avvocato del popolo», ma anche dagli uffici del ministro Dario Franceschini che ha poi fatto da «scudo umano» a Conte assumendosi la responsabilità di quel comma «nascosto» nel decreto Rilancio del 19 maggio scorso (convertito dalla legge 17 luglio 2020, n. 77) e «mascherato» dalle «misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19». Qualche interrogativo riguarda, alla luce delle 17 pagine della sentenza della Cassazione, anche la decisione del presidente dei Gip di Roma, Bruno Azzolini, che, in qualità di Gup e nonostante il parere contrario del pm, aveva in tempi rapidi accolto il ricorso del «suocero» di Giuseppi e cancellato la sua condanna. Azzolini, a proposito del legislatore, aveva pallidamente osservato: «Non può dubitarsi che abbia compiuto una valutazione “politica", privando di rilevanza penale la fattispecie». In modo analogo Azzolini, lo scorso 10 novembre, aveva dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di un altro albergatore e, prima ancora, lo scorso 23 giugno, il tribunale aveva assolto (perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato) un altro albergatore, che non aveva versato 160.000 euro di imposta di soggiorno. Di diverso avviso era stato un altro Gip di Roma, Paolo Scotto di Luzio, che in precedenza - il 22 ottobre - assolvendo il titolare dell'Hotel Nizza, Carmine Sarnella, aveva seccamente respinto la richiesta di retroattività della nuova norma: «Non è idonea a spiegare effetto sulle condotte anteriori». In questa decisione, il Gip si era uniformato a una pronuncia sempre della sesta sezione della Cassazione (n. 30227-20 del 28 settembre, depositata il 30 ottobre, presidente Stefano Mogini, Orlando Villoni relatore, Anna Criscuolo, Pierluigi Di Stefano, Emilia Anna Giordano giudici) in cui veniva scritto che, in merito alla retroattività, occorreva ribadire che le modifiche introdotte «operano solamente dall'entrata in vigore della novella e non per il passato» e la «trasformazione della qualifica soggettiva si è prodotta solo per il futuro».
Il Gip Azzolini non aveva tenuto conto di questa vincolante pronuncia e la sua decisione favorevole al suocero di Conte era stata immediatamente impugnata dalla Procura di Roma che era evidentemente nel giusto soprattutto alla luce delle due sentenze della Cassazione, in particolare dell'ultima scritta in punta di diritto e ricca di argomentazioni. La nuova importante sentenza (36317/20) è stata depositata giovedì 17 dicembre ed era stata adottata il 28 ottobre dalla sesta sezione penale presieduta da Renato Brichetti, 68 anni, un giudice molto stimato e dalla carriera prestigiosa: dopo la sua inchiesta con Antonio Pizzi sul crac del Banco Ambrosiano (emise un mandato di cattura contro il cardinale Paul Marcinkus), il magistrato è passato al ruolo giudicante, diventando presidente vicario della Corte d'Appello di Milano, poi per pochi mesi capo dell'ufficio legislativo del ministero (sottraendosi in tempo ai nuovi «dilettanti allo sbaraglio» di via Arenula che non capirono e, anzi, osteggiarono la sua indipendenza e la sua capacitò), ha lavorato in Cassazione dal 2005 al 2010 (consigliere della prima e quarta sezione penale e poi delle sezioni unite penali), è stato relatore ed estensore di molte sentenze di importante rilievo e contenuto, fino a diventare un anno fa presidente di sezione di Cassazione.
I cinque giudici della sesta sezione (oltre a Brichetti, Ersilia Calvanese, relatore, Ercole Aprile, Riccardo Amoroso, Benedetto Paternò Raddusa) erano stati chiamati a pronunciarsi sul ricorso di Roberto Brugnoli, rappresentante legale di un albergo tre stelle, l'hotel San Giorgio di Sauze d'Oulx, condannato dalla Corte d'Appello di Torino per essersi appropriato di 5.472 euro incassati dai clienti a titolo di imposta di soggiorno, dal dicembre 2012 al marzo 2016, e di non averla mai versata al Comune. Analogamente al comportamento del legale del «suocero di Conte», che in tempi rapidi aveva fatto ricorso e fruito della nuova norma, l'avvocato dell'albergatore di Sauxe d'Oulz il 29 settembre aveva inviato una nota alla Cassazione in cui faceva presente che il fatto contestato, anche se commesso anni prima, non era più previsto come reato e prevedeva solo una sanzione amministrativa.
Questa richiesta ha consentito alla Cassazione di entrare nel merito della famosa «norma ad suocerum», cui sono state dedicate molte delle 17 pagine. La Corte ha affrontato la questione sotto tutti gli aspetti, a partire dagli effetti che scaturiscono dalla norma pro-suocero sulla fattispecie penale del peculato «con riferimento alle condotte consumate nella vigenza delle precedente disciplina dell'imposta di soggiorno». La nuova norma ha trasformato «radicalmente il ruolo assunto dal gestore rispetto all'imposta: da quello di eventuale incaricato dei regolamenti comunali del pubblico servizio per la riscossione e versamento del tributo nelle casse comunali, al gestore» gli è stata attribuita ex novo «una obbligazione tributaria, che lo espone direttamente con altri (con diritto di rivalsa) alla responsabilità del versamento dell'imposta». Per quanto riguarda la retrocessione ad illecito amministrativo-tributario di una condotta rilevante penalmente in passato, la Cassazione si è inoltrata sul terreno più spinoso: il nuovo riferimento normativo ha comportato una abolitio criminis (ossia l'abrogazione di una norma incriminatrice) delle condotte di peculato commesse in precedenza.
Il conclusione la norma ad suocerum non ha modificato la fattispecie astratta del peculato. Ha fatto «venir meno in concreto la qualificazione soggettiva, pubblicistica del gestore, ma non ha di certo alterato la definizione stessa di incaricato di pubblico servizio. Dal raffronto emerge che il legislatore non ha inteso incidere su un «elemento strutturale» del delitto di peculato, ma è intervenuto modificando lo status di fatto del gestore rispetto alla tassa di soggiorno: dal ruolo di incaricato o soltanto di custode del denaro pubblico incassato per conto del comune a quello di soggetto obbligato solidalmente al versamento dell'imposta». In ogni caso - sottolinea la Corte - «resta pur sempre nell'area penale il comportamento di colui che, in ragione del servizio pubblico svolto, si sia appropriato di denaro che, al momento dell'incasso, era della pubblica amministrazione». Dopo aver ricordato «la qualificazione data ai dipendenti bancari che avevano perso la qualità di incaricati di pubblico servizio», e citate analogie e differenze con la normativa sulla «tassa di sbarco» che le compagnie di navigazione devono versare ai comuni, viene anche rilevato una grave carenza: «Una interpretazione autentica abrogans da parte del legislatore, non accompagnata da disposizioni transitorie, avrebbe l'effetto illogico ed irragionevole di privare per il passato del tutto di sanzione (anche amministrativa e tributaria) la condotta di gestore che ha omesso il versamento dell'imposta, anche se l'ha effettivamente riscossa dal cliente».
In conclusione «deve ribadirsi la rilevanza penale a titolo di peculato delle condotte, tra cui quella ascritta al ricorrente, commesse in epoca anteriore alla novatio legis di cui all'art. 180 comma 4», cioè la norma ad suocerum.
Le parentele acquisite del premier, Giuseppe Conte, cominciano a diventare davvero molto imbarazzanti per il governo: e la notizia della cancellazione della condanna per peculato per il papà della fidanzata che non aveva versato 2 milioni di euro di tassa di soggiorno del Plaza, l'hotel romano superlusso controllato pure da Olivia Paladino, è solo l'ultima nota dolente. Non per la riforma della sentenza di patteggiamento a un anno e due mesi di reclusione, che era diventata definitiva e che gli avvocati di mister Cesare Paladino sono stati bravi a ribaltare, ma perché è la diretta conseguenza di una riforma voluta dal governo giallorosso capeggiato da Giuseppi. Con un colpo di spugna, infatti, il 19 maggio 2020, grazie al comma terzo e al comma quarto dell'articolo 180 del decreto Rilancio, per la legislazione italiana la condotta di omesso versamento dell'imposta di soggiorno non è più un reato penale. Un'operazione che fa il paio con la rottamazione ter varata dal primo governo Conte (che ha dimezzato i 36 milioni di debiti con l'Agenzia delle entrate) e che a soli sette mesi dalla sua approvazione ha fruttato la risoluzione dei problemi penali di mister Paladino.
«Chissà che ne pensano Grillo, M5s, Anac, Antitrust. Chissà che ne pensa il direttore dell'Agenzia delle entrate, che spiega come i 90 miliardi di euro di evasione fiscale annua siano la vera piaga che impedisce all'Italia di avere servizi efficienti e tasse più basse». Il deputato di Italia viva e segretario della commissione di Vigilanza Rai, Michele Anzaldi, si è sfogato su Facebook. E si è chiesto: «C'è ancora qualcuno che ha il coraggio di dire che le domande delle Iene, contro le quali sono stati mandati a intervenire addirittura gli agenti della scorta del premier, non meritavano risposte?».
C'è da precisare che i 2 milioni di euro, poi, Paladino, con i suoi tempi, li ha restituiti al Comune. Ma la domanda di Anzaldi sulla scorta del premier che è andata in soccorso di Olivia, rintanata nel market sotto casa resta ancora senza risposte. Il salvataggio di Olivia è costato un'iscrizione nel registro degli indagati con relativo invio degli atti al tribunale dei ministri (nato da un esposto di Roberta Angelilli di Fdi dopo lo scoop della Verità). Gli uomini della scorta, stando alla ricostruzione del ministero dell'Interno, avrebbero aiutato Olivia a uscire dal market e lei, senza salire sull'auto blu, sarebbe rientrata a piedi a casa. Lasciando in custodia al titolare dell'alimentari, però, la sua borsa da palestra. Su Dagospia, a quel punto, Dago si è chiesto se «la pallida Paladino si andava per caso ad allenare in una palestra il 26 ottobre, il giorno dopo il dpcm firmato dal suo compagno che ha decretato la chiusura di tutte le strutture sportive al chiuso d'Italia».
Qualche giorno dopo, la sera di Halloween per la precisione, si accendono i riflettori su un nuovo giallo: Giuseppi e Olivia a cena in un'enoteca, nonostante la chiusura dei locali stabilita da uno dei dpcm. Il titolare del locale spiegò: «Una delle ultime volte che sono venuti al locale mi pare che fosse settembre». Il registro delle prenotazioni non ha aiutato a fare chiarezza. E l'ufficio stampa di Palazzo Chigi ha confermato la versione.
È rimasto in silenzio, invece, quando l'Uif, l'Unità di informazione finanziaria di Bankitalia, ha segnalato una pioggia sospetta di denaro sonante sul conto corrente della società di mister Paladino. Era il 24 gennaio 2019 e sul conto arrivò un doppio deposito per un totale di 42.000 euro in pezzi extralarge: tutte banconote da 500. Ma anche lady Paladino era entrata nel mirino degli 007 dell'Uif, insieme alla sorella Cristiana e al fratellastro John Rolf Shawn Shadow, per un rimborso di un vecchio prestito di 1 miliardo di lire erogato, nel lontano 1994, dalla Banca popolare della Marsica.
Via della Fontanella Borghese non è solo al centro di Roma, la strada è anche al centro del caso che coinvolge la scorta del premier Giuseppe Conte, la sua compagna Olivia Paladino e l'inviato delle Iene Filippo Roma. Sulla vicenda, oggetto di indagini del Tribunale dei ministri di Roma, è intervenuta ieri durante un question time alla Camera il ministro Luciana Lamorgese.
In aula la titolare del Viminale ha esordito precisando: «Gli elementi che mi appresto a riferire, non sono tratti da una presunta relazione di servizio bensì da un appunto informativo […] predisposto a seguito della pubblicazione di alcuni articoli di stampa». Non ci sarebbe quindi nessuna relazione di servizio sui fatti avvenuti la mattina del 26 ottobre, quando gli uomini del presidente sarebbero intervenuti per sottrarre la first lady alle domande del giornalista sulle vicende giudiziarie del padre, che ha patteggiato una condanna a 1 anno e due mesi per peculato per la ritardata restituzione di circa 2 milioni di tassa di soggiorno al Comune di Roma (risarcito su ordine della Procura).
Un inseguimento breve, visto che la donna si è chiusa nel supermercato che dista poche decine di metri dalla sua abitazione. Nella risposta, il ministro, ha affermato che la scorta si trovava nelle vicinanze dell'abitazione della signora Paladino in attesa che ne uscisse il presidente del Consiglio dei ministri. Gli agenti, impegnati in una operazione di controllo preliminare avrebbero notato la presenza della troupe della trasmissione Le Iene e uno di loro si sarebbe prima avvicinato al supermercato, poi sarebbe stato chiamato in causa da un dipendente. Una versione che contrasta con le affermazioni dell'inviato Mediaset, che ha escluso la presenza della scorta durante il lungo appostamento sotto l'appartamento della first lady, concluso verso le 11 quando, armata di borsone da palestra, la compagna di Giuseppi è uscita da casa. Filippo Roma ha anche evidenziato che mezz'ora dopo, il premier era in collegamento da Palazzo Chigi per una cerimonia di commemorazione di Willy Monteiro.
Nel video dell'intervento si sente Conte esordire dicendo di aver seguito tutti gli interventi precedenti al suo. Torniamo in via Fontanella Borghese. Il palazzo signorile in cui abita la fidanzata del presidente del Consiglio, è disposto di tre piani. Spesso le persiane sono chiuse, ma la maggior parte dei commercianti della zona conosce bene la first lady. La titolare di un negozio sull'altro lato della via ci dice: «Qualche volta sul balcone ho visto sia lei (Paladino ndr) che la figlia». Spieghiamo che dei suoi colleghi ci avevano parlato dell'attico, ma la nostra interlocutrice ribatte: «Non ho mai visto nessuno lì». Come detto, l'edificio è imponente, ma al catasto l'appartamento indicato dalla dirimpettaia come l'abitazione di «Olly» non risulta essere più adibito ad uso abitativo dal 2007. Salvo sviste della vicina, quindi sotto il profilo formale la coppia trascorrerebbe il tempo libero in un locale destinato a «negozi e botteghe».
Olivia e la sorella Cristiana possiedono il 47,5 per cento a testa della Srl Agricola monastero Santo Stefano Vecchio, che proprietaria di una tenuta agricola a Fiano Romano, composta da 30 tra immobili, terreni boschivi e seminativi tra i quali spicca il monastero che dà il nome all'azienda. Santo Stefano Vecchio controlla direttamente (10,6 per cento delle quote) e attraverso altri veicoli (Immobiliare Splendido e Immobiliare Archimede) la Srl Unione esercizi alberghi di lusso, la società di gestione del Plaza, situato in un palazzo che fa parte del portafoglio immobiliare della Immobiliare Splendido.
Via della Fontanella Borghese è un piccolo feudo di famiglia: alla società proprietaria dell'appartamento, la Immobiliare Splendido, sono intestati sette immobili, compreso un negozio fronte strada di 162 metri quadri e altri ai piani superiori di 176 e 119 metri quadri. Da lì in una manciata di minuti a piedi si raggiunge via del Corso, qui al 128 sorge l'albergo di famiglia: il Grand Hotel Plaza. Una struttura di lusso, in questo momento chiusa al pubblico per il Covid, al cui interno si trova una palestra. Passo indietro: quando Paladino si rifugiò nel supermercato vicino casa, venne realizzato un video nel quale si vede che la donna aveva lasciato nel mini market un borsone da palestra, che è stato oggetto di un concitato dialogo durante l'intervento della scorta.
La domanda è lecita: in quella sacca - che secondo quanto riferito dal ministro Lamorgese non è stata affidata alla scorta - c'erano indumenti sportivi che Paladino avrebbe utilizzato nella struttura dell'albergo? Gli altri edifici riconducibili alla Immobiliare di Roma Splendido srl sono dislocati negli angoli più esclusivi della Capitale. Nel quartiere Parioli, a via Archimede per la precisione, in un palazzo moderno sono otto le unità che fanno capo alla società di famiglia. Poco lontano, a via Po, altri due appartamenti, uno di proprietà della Agricola Monastero e uno della Archimede Immobiliare composto da 5,5 vani. Tra i negozi bisogna annoverarne anche uno poco distante dal Colosseo. La dipendente dello studio medico a fianco racconta: «Da quando ci siamo trasferiti qui, nel 2016, l'ho sempre visto sfitto. Tanto che ad un certo punto volevamo ingrandirci e abbiamo chiesto informazioni all'amministratore, ma non se n'è fatto nulla». Poi nel cuore di Trastevere ancora locali commerciali e appartamenti. «Ho questa attività da più di 15 anni e il magazzino di fianco quasi mai è aperto. Raramente portano qualche oggetto». Dopo avere fatto presente alla titolare che il magazzino appartiene alla Paladino, la signora ribatte: «Sì lo so, ha anche un attico». L'edificio in questione che domina piazza Santa Maria in Trastevere fa angolo con una delle vie che portano alla piazza, lungo la quale si trovano altri immobili di famiglia, tra cui un grande appartamento di ben 18 vani. Complessivamente, alle società della famiglia della compagna del premier sono intestati 27 immobili a Roma, ai quali se ne aggiungono altri nel Lazio, che insieme ai terreni, portano le proprietà a 70.
Nonostante questo ben di Dio di patrimonio immobiliare, alcuni dipendenti dell'hotel Plaza, di proprietà di Cesare Paladino, il padre di Olivia, lamentavano mancati pagamenti e si erano rivolti all'ispettorato del lavoro.
Negli ultimi giorni la coppia Conte-Paladino è stata alla prese anche con un altro «giallo» legato all'uso della scorta. Nella serata dello scorso 31 ottobre una donna abitante nel centro storico di Roma avrebbe visto la compagna di Giuseppi a cena in un'enoteca dopo l'orario di chiusura dei ristoranti e sarebbe stata allontanata dalla scorta del premier. A chiarire definitivamente la questione ha provveduto l'ufficio stampa di Palazzo Chigi, che in una nota ricevuta e pubblicata da Dagospia, il sito che ha pubblicato l'audio, scrive: «In merito a una notizia che sta circolando in queste ore, basata sulla comunicazione audio di una presunta testimone, la quale afferma che il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte avrebbe partecipato a una cena la sera del 31 ottobre scorso in un ristorante rom che invece doveva rimanere chiuso per le misure restrittive da poco adottate, l'ufficio stampa di Palazzo Chigi precisa che si tratta di notizie false, destituite di ogni fondamento, a carattere gravemente diffamatorio». E ancora: «Si precisa che l'ultima volta che il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha cenato nel ristorante indicato dalla presunta gestione risale alla fine di settembre». Una smentita che riguarda quindi il solo Conte, che in effetti non è stato visto dalla signora, ma non la sua compagna. La veridicità delle affermazioni contenute nell'audio è tutta da dimostrare, ma se fosse il racconto fosse confermato si aprirebbe un interrogativo su un intervento della scorta in assenza del premier.
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte è stato informato ieri dalla Procura di Roma del procedimento che lo riguarda (nato da un esposto di Roberta Angelilli di Fdi dopo lo scoop della Verità), come previsto dalla legge costituzionale del 1989: «Il procuratore della Repubblica, omessa ogni indagine, entro il termine di quindici giorni, trasmette con le sue richieste gli atti relativi al collegio di cui al successivo articolo 7 (il Tribunale dei ministri, ndr), dandone immediata comunicazione ai soggetti interessati perché questi possano presentare memorie al collegio o chiedere di essere ascoltati». Il premier potrà presentare documenti a difesa, come, si suppone, la relazione di servizio della sua scorta che aveva già informato il Viminale da cui dipende (essendo agenti destinati al presidente del Consiglio) del parapiglia avvenuto in via della Fontanella Borghese di Roma, quando la stessa scorta e il giornalista delle Iene Filippo Roma avevano avuto un confronto mentre l'inviato poneva domande a Olivia Paladino.
Nella relazione di servizio gli angeli custodi del premier hanno riferito di che «si trovavano in osservazione e controllo» al di sotto dell'abitazione della compagna del premier, in quanto Conte era nell'appartamento della Paladino e i poliziotti attendevano l'uscita del premier. Questo per evidenziare che non erano partiti da Palazzo Chigi per sottrarre la Paladino dalle grinfie della Iena. Questo significherebbe, come ha sottolineato Roma, che lunedì 26 ottobre alle 11 del mattino Conte era a casa della fidanzata, mezz'ora prima di un collegamento ufficiale dal suo ufficio sulla vicenda dell'omicidio di Willy Montero Duarte. Certo, la Presidenza del Consiglio dista 500 metri da via Fontanella Borghese, ma la ricostruzione andrà verificata, anche perché gli inquirenti capitolini, che non potevano fare investigazioni, si sono limitati a chiedere delucidazioni all'inviato e hanno trasmesso il fascicolo al Tribunale dei ministri.
Il presidente del collegio è Maurizio Silvestri e toccherà a lui e alle colleghe Marcella Trovato e Chiara Gallo stabilire se nell'utilizzo della scorta ci sia un reato e soprattutto se si tratti di un reato ministeriale, cioè commesso nell'esercizio delle funzioni. È lo stesso collegio che ha archiviato le accuse di omissione di atti d'ufficio e abuso d'ufficio mosse nei suoi confronti per aver negato lo sbarco della Alan Kurdi.
Silvestri compare anche nelle chat di Palamara. In una conversazione di gruppo molto numerosa, intitolata «Saluto Titti (Tiziana Gualtieri, ndr)», il 29 marzo 2018, scrive: «Un bacio a Titti». Del presidente del Tribunale dei ministri parla anche il procuratore di Viterbo Paolo Auriemma, il quale scrive a Palamara: «Ho chiamato Maurizio Silvestri (all'epoca una delle toghe più autorevoli dell'ufficio Gip di Roma, ndr) e gli ho spiegato la situazione di Marco e F. e ha detto che lo chiamerà in giornata […] naturalmente l'ho legato alla riservatezza». Replica Palamara: «Bravo». Mancinetti (dal 2018 al 2020 consigliere del Csm, costretto alle dimissioni per un'incolpazione) era rientrato all'ufficio Gip dalla Corte d'appello e si preoccupava delle possibili incompatibilità in procedimenti in cui la difesa era rappresentata dall'amica F., avvocato.
Il reato inizialmente ipotizzato per cui è stato iscritto il fascicolo è il peculato, che si configura quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, avendo per ragione del proprio ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o altra cosa mobile altrui, se ne appropria. Ma dopo aver sentito Roma gli inquirenti si sono convinti che l'ipotesi di reato più corretta è l'abuso d'ufficio. Il motivo? Lo stesso inviato ha ammesso che nella vicenda non sarebbe stata utilizzata nessuna auto: la casa della Paladino dove sembra stazionasse la scorta, dista solo 50 passi dal market, dove si è svolto il breve alterco.
Che farà il Tribunale dei ministri? Se vuole approfondire la questione, dovrà acquisire i filmati realizzati dalle Iene e mai andati in onda, e chiedere i tabulati della Paladino per verificare se abbia chiamato la scorta di Conte o il compagno negli istanti in cui Roma la incalzava con le sue domande. Ieri negli studi Mediaset erano attesi gli uomini della Procura di Roma che avrebbero dovuto prelevare i video, ma evidentemente, non potendo fare indagini, il procuratore Prestipino e il pm Carlo Villani hanno preferito inviare gli atti al Tribunale dei ministri senza fare ulteriori accertamenti. Dopo l'esplosione del caso del fascicolo su Conte una fonte, B. F., ci ha contattato per raccontarci che la sera di Halloween una sua amica ha visto l'auto di Conte, un'Audi elettrica scura, che veniva ricaricata a una colonnina in via dei Prefetti a Roma. La signora sarebbe entrata nell'enoteca di fronte alla macchina e avrebbe chiesto se per caso si trovasse a cena il capo del governo, nonostante la chiusura dei locali stabilita da uno dei suoi dpcm. Mentre la titolare chiedeva all'intrusa di allontanarsi, la donna avrebbe intravisto la Paladino attraversare la sala e dirigersi verso la toilette. A questo punto sarebbe intervenuta la scorta per allontanare la «ficcanaso». Il proprietario del locale, Daniele, ci ha detto: «Sinceramente non ricordo se ad Halloween Giuseppe Conte e Olivia Paladino siano stati qui. Sono clienti abituali, la signora Paladino l'ho vista crescere. Una delle ultime volte che sono venuti al locale mi pare che fosse settembre». Il registro delle prenotazioni non aiuta a fare chiarezza. Olivia ha ancora la residenza a 140 passi da qui, nell'abitazione della madre.





