La sinistra che protesta contro lo spoils system del governo di Giorgia Meloni non è solo quella che ha approfittato della fine del governo Draghi per piazzare le proprie pedine, ben 82 come ha ricordato il nostro giornale, prima delle elezioni politiche. È anche quella che da anni occupa ruoli apicali della pubblica amministrazione, l’alta burocrazia da cui dipende il raggiungimento dei risultati strategici dei singoli governi. Negli ultimi giorni, in prossimità delle prime nomine nelle agenzie fiscali e alla vigilia di quelle di primavera nelle partecipate statali, si sono spesso fatti sentire sui quotidiani due professori da sempre vicini al Partito democratico, ovvero Franco Bassanini e Sabino Cassese. Quest’ultimo ha ricordato sul Corriere della Sera che all’Italia servirebbe una classe dirigente neutrale, magari cresciuta in una scuola della pubblica amministrazione come l’Ena francese. È di sicuro un auspicio, ma di certo fa sorridere che la proposta venga pubblicizzata proprio adesso, proprio quando al governo c’è il centrodestra e non più il centrosinistra. Del resto, non è difficile ricordare che le nomine nella macchina amministrativa dello Stato italiano, il cosiddetto deep State, siano passate negli ultimi 20 anni spesso sotto l’attento controllo sia di Bassanini sia di Cassese, entrambi ex ministri della Funzione pubblica. Dalle due fondazioni a cui fanno capo, Irpa (Istituto ricerca pubblica amministrazione) e Astrid, è uscita la maggior parte degli incarichi pubblici nei governi dal Duemila a oggi. Tra i soci, i membri del comitato scientifico o i partecipanti alle iniziative dei due enti, si possono trovare i pesi massimi della classe dirigente pubblica italiana. C’è Giulio Napolitano, figlio dell’ex capo dello Stato. C’è Bernardo Giorgio Mattarella, figlio dell’attuale presidente della Repubblica. C’è Alessandro Tonetti, vicedirettore generale di Cdp, tra i possibili sostituti del direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera. C’è anche l’ex presidente della Corte costituzionale Giuliano Amato. Per comprendere il peso del centrosinistra, basta guardare i dipartimenti della presidenza del Consiglio dei ministri, ruoli apicali, strutture che non hanno solo la funzione «di coordinare l’indirizzo politico generale», ma anche quello di fornire «il supporto tecnico gestionale». Su 25, 23 sono occupate da storici dirigenti di centrosinistra. Non è un caso che in Irpa (la fondazione di Cassese) ci sia il nuovo responsabile golden power Bernardo Argiolas. Ma tra i soci c’è anche Luigi Fiorentino, a novembre nominato capo del dipartimento per l’informazione e l’editoria. Fiorentino, dopo essere stato segretario generale all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, diventò nel 2011 capo di gabinetto con l’ex ministro dell’Istruzione Francesco Profumo, ai tempi del governo di Mario Monti. Poi lo è stato anche del ministro Maria Chiara Carrozza, durante il governo di Enrico Letta, e al contempo è stato anche vicesegretario generale della presidenza del Consiglio dei ministri dei governi di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. In Irpa c’è anche Pia Marconi, nominata nel luglio dello scorso anno (a una settimana dalla caduta del governo di Mario Draghi) dall’ex ministro di Grazia e giustizia Marta Cartabia a capo del dipartimento per la Trasformazione digitale. Marconi è stata capo del dipartimento della funzione pubblica tra il 2014 e il 2018 sempre durante i governi Renzi e Gentiloni. Tra i soci della fondazione di Cassese c’è anche Carlo Notarmuzi, ex capo del coordinamento amministrativo, tuttora dirigente ma in un altro ufficio. Al suo posto è arrivata infatti Elisa Grande che era stata nominata nel 2017 (la firma è dell’ex sottosegretario di Stato Maria Elena Boschi) a capo del dipartimento per la programmazione economica e il coordinamento della funzione economica. All’ufficio di segreteria del Consiglio dei ministri troviamo Angela Lorella Di Gioia, già al ministero dell’Interno durante i governi Letta e Renzi. Al dipartimento pari opportunità c’è Laura Menicucci, in carica già dal 2018. Al dipartimento politiche di coesione troviamo Michele Palma, anche lui con una lunga carriera nell’alta burocrazia, già nel 2015 «direttore generale dell’ufficio per gli affari generali, internazionali e gli interventi in campo sociale del dipartimento per le pari opportunità». I dirigenti che provengono da un’area di centrodestra si contano davvero sulle dita di una mano. Ci sono Marcello Fiori alla funziona pubblica, o Michele Sciscioli al dipartimento per le politiche giovanili, ma sono davvero una sparuta minoranza in una macchina statale da sempre a trazione centrosinistra.
Terminata la manovra inizia il gran ballo del rinnovo dei vertici delle società controllate o legate al Mef: sul tavolo la sostituzione o la conferma, tra gli altri, dei vertici Eni, Enel e Leonardo. Su quest'ultima poltrona incombono le inchieste giudiziarie che coinvolgono Alessandro Profumo. In totale gli incarichi sono 67. Intanto il Centro Studi Comar ha analizzato i bilanci di 34 di queste, confrontando i dati tra il 2020 e 2021: Il loro fatturato complessivo è stato di 279,6 miliardi in aumento di 86,9 miliardi di euro (+45,1%).
Terminato il varo della manovra economica, il governo di Giorgia Meloni si troverà presto ad affrontare un dossier ancora più spinoso. E’ quello che riguarda il rinnovo delle società partecipate dal ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef). E’ il gran ballo delle nomine pubbliche, con sul tavolo la sostituzione o la conferma dei vertici di società strategiche come Eni, Enel e Leonardo. In totale le società partecipate con cariche in scadenza nel 2022 sono 67, di cui 17 di I livello (partecipate direttamente dal Mef) e 50 indirette. A tracciare una prima fotografia è stata Inrete, in un documento chiamato «Il domino delle nomine». Ma c’è chi ha fatto i conti in tasca alle stesse aziende, come il Centro Studi Comar che ne ha analizzate 34 controllate dal Mef, nella quarta edizione «Rapporto sui bilanci delle Società partecipate dallo Stato 2017-2021».
Il loro fatturato complessivo è stato di 279,6 miliardi, cifra mai raggiunta, in aumento di 86,9 miliardi di euro (+45,1%) nel confronto tra fine 2021 e 2020,; gli utili si attestano su 11,4 miliardi, in miglioramento di 15,6 miliardi di euro considerando la perdita precedente durante la pandemia; i debiti ammontano a 182,8 miliardi, in crescita di 18,6 miliardi (+11,3%); i dipendenti sono 462.880 (+1,13%). Nell’aumento, si distinguono: Enav (+106%), Eni (+100%), Enel (+84%), Saipem (+46%); i minori incrementi, dal 10% in giù, sono di Snam, Italgas, Terna Leonardo e Poste. I numeri sono molto buoni.
Le aziende statali dimostrano di aver superato il difficile periodo della pandemia e non sembrano risentire delle incertezze derivanti dalla crescita dei costi delle materie prime, da un’inflazione ai massimi, come dal rialzo dei tassi d’interesse o da una frenata dei consumi. Le società con il migliore rapporto “risultati su fatturato” sono Snam (+45,7%), Terna (+31,7%), Italgas (+28,6%), Infratel (+27,3%), Sport e Salute (+20,6%), Poste (+17,6%); le peggiori Itsart (-3.039,5%), Eur (-173,4%), Ita Airways (-164,3%), Open Fiber (-58,1%), Saipem (-35,8%). Nei prossimi mesi alcune di queste dovranno cambiare i loro vertici.
Tra le società direttamente partecipate del Mef in scadenza c’è Amco dove a giocarsi il posto è Marina Natale, amministratore delegato che fu attaccata dal ministro della Difesa Guido Crosetto su twitter prima della nascita del governo Meloni. Il rinnovo è previsto entro il 30 aprile o il 30 giugno in occasione dell’assemblea di approvazione del bilancio.
Lo stesso discorso vale per Monte dei Paschi di Siena: in scadenza ci sono Francesca Bettio, e Rita Laura d’Ecclesia (vicepresidenti) e l’amministratore delegato Luigi Lovaglio, insieme al resto del cda di 11 membri. Situazione complessa anche per Leonardo. A metà dicembre, a distanza di 6 anni, la procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio nei confronti di quattro persone tra cui gli ex vertici di Mps Alessandro Profumo e Fabrizio Viola (ex presidente e ex amministratore delegato) nell'ambito dell'indagine per false comunicazioni societarie, falso in prospetto e aggiotaggio sul caso della corretta contabilizzazione dei crediti deteriorati (Npl). Il filone di inchiesta sui crediti deteriorati non ha avuto vita facile. Dopo essere rimasto nei cassetti per anni, era stato riaperto nel 2021 dal gip Guido Salvini, che aveva rigettato la richiesta di archiviazione dei tre pm che si erano occupati all'inizio delle indagini. Giordano Baggio, Stefano Civardi e Mauro Clerici erano stati anche indagati per omissione di atti di ufficio a Brescia per aver chiesto l'archiviazione degli ex vertici della banca toscana: le loro posizioni sono state poi archiviate quest'anno. «Sono tranquillo. Ho operato correttamente, nel pieno rispetto del (mutevole) quadro normativo e sempre nell'ambito di un proficuo e condiviso confronto con le Autorità di controllo», ha spiegato Profumo, all'indomani della notizia. Resta il fatto che per come stanno così le cose oggi, si entrerà nel vivo della parte giudiziaria a marzo. proprio quando il dossier nomine sarà bollente.
Spinoso è anche il capitolo Consap dove ci sono da scegliere i destini del presidente Mauro Masi e dell’amministratore delegato Vincenzo Federico Sanasi D’Arpe. Passano al rinnovo delle cariche anche Consip (presidente è Valeria Vaccaro e l’amministratore delegato Cristiano Cannarsa), l’Enav ( presidente Francesca Isgrò e l’amministratore delegato Paolo Simioni), Enel (presidente Michele Crisostomo, e l’amministratore delegato Francesco Starace), Eni (presidente Lucia Calvosa e l’amministratore delegato Claudio Descalzi).
E ancora: Equitalia Giustizia ( il presidente Giuseppina Rubinetti e l’amministratore delegato Paolo Bernardini sono in scadenza), Istituto poligrafico e zecca dello Stato (lasciano 3 membri del cda, il presidente Antonio Palma, l’amministratore Francesca Reich), Poste Italiane ( amministratore delegato Matteo del Fante e il presidente Maria Bianca Farina). Sarà interessante anche seguire la situazione di Ita, un tempo Alitalia, Le sorti della ex compagnia di bandiera, prossima a un accordo con i tedeschi di Lufthansa, sono uno dei piatti forti della politica industriale italiana dei prossimi mesi. E anche da quello che accadrà si scoprirà in primavera il destino del presidente Alfredo Altavilla e dell’amministratore delegato Fabio Lazzerini.
In scadenza c’è anche Sogesid (il presidente Carmelo Gallo e i 2 membri del Cda), Sport e Salute (con il presidente Vito Cozzoli) e Sogin dove però i commissari straordinari Fiamma Spena, Giuseppe Maresca e Angela Bracco dovrebbero restare in carica fino al 19 luglio 2023. Per quanto riguarda le società partecipate dai ministeri sono in scadenza i vertici di Difesa e Servizi (Difesa), le Ferrovie Appulo lucane (Mit), Acciaierie d’Italia, Cdp Venture Capital Srg, Infratel Italia, Medio Credito Centrale – Banca del Mezzogiorno (Inviatalia), Monte dei Paschi fiduciaria, Mpd Capital Service, Mps Leasing & Factoring (Monte dei Paschi), Techno Sky – Technologies For Air Traffic Management (Enav), Enel Italia (partecipata di Enel, in scadenza il presidente Nicola Lanzetta in un cda composto da 2 membri). Tra le partecipate di Eni sono invece in scadenza Agi, Eni Global Energy Markets (presidente Cristian Signoretto in un cda di 4 membri), Eni Plenitude, Eni Sustainable mobility, Eni, trade & biofules, EniMed.
Per il gruppo Fs risultano invece in scadenza i membri di Ferservizi, Fs International, Grandi Stazioni immobiliare, Italcertifer, Rfi ( 3 membri del cda, il presidente Anna Masutti e l'amministratore delegato Vera Fiorani), Trenitalia (i 3 membri del cda, il presidente Michele Meta e l’amministratore delegato Luigi Corradi), Treno Alta velocità (l’amministratore unico Irenangela Smargiassi).
Nonostante il presidente del Consiglio Mario Draghi abbia negli ultimi mesi tenuto lontana la politica dalle nomine pubbliche, esistono ancora sacche di resistenza, con i soliti noti, come l’ex premier Massimo D’Alema, capaci di piazzare le proprie pedine. È il caso di Ram, Rete autostrade Mediterranee, società in house del ministero dell’Economia di Daniele Franco ma finanziata dal ministero delle Infrastrutture e Mobilità sostenibili (Mims) di Enrico Giovannini. Ram ha piena competenza sul piano della digitalizzazione logistica del Paese, dai porti agli interporti fino alle reti: gestirà i quasi 400 milioni di euro del Pnnr destinati al settore. L’attuale presidente è Zeno D’Agostino, anche lui sponsorizzato dal Partito democratico, che è allo stesso tempo presidente del porto di Trieste, noto per aver siglato durante il primo governo di Giuseppe Conte l’accordo per la Via della Seta con la Cina. La sua nomina in Ram è sempre stata criticata per un potenziale conflitto di interesse: era presidente della società che avrebbe dovuto finanziare le autorità portuali per la digitalizzazione. Ora invece Giovannini ha pensato di sostituirlo con Ivano Russo, attuale direttore generale di Confetra, la Confederazione del trasporto. Russo verrebbe nominato amministratore unico competente a decidere dove spendere i circa 200 milioni del Pnrr per la digitalizzazione logistica, ma anche le risorse (circa 80 milioni di euro) per gli incendivi al Marebonus e al Ferrobonus, nonché gli appalti per le autorità di sistema portuale. In totale sono appunto 400 milioni di euro.
Russo è sostenuto a spada tratta dai dem. È molto legato all’ex presidente Giorgio Napolitano (il padre era l’autista di fiducia) e in passato è stato responsabile della sede di Napoli dell’Associazione Italiani europei di D’Alema, quando nel comitato promotore c’erano Enzo Amendola e Gianni Pittella. Ha lavorato al Centro studi di Confindustria Napoli, poi con lo stesso Pittella e Napolitano in Europa, sino a diventare il consigliere e braccio destro dell’ex ministro Graziano Del Rio (ai Trasporti). È quindi finito in Confetra dove è diventato un dominus.
Secondo voci insistenti il ministro Giovannini lo nominerebbe amministratore di Ram (nonostante gli attacchi di Russo ai principali armatori italiani e i contrasti con l’autotrasporto), senza fargli perdere il posto in Confetra. Eppure ci sarebbe un grosso conflitto di interessi, perché sceglierebbe come investire i soldi pubblici e come distribuirli proprio ai gruppi membri di Confetra, preparandosi quindi a essere riconfermato fra tre anni. La zampata di D’Alema nel settore della logistica arriva in una fase più che mai complessa e confusa per tutto il sistema logistico italiano, con le difficoltà di gestione dei 400 milioni di euro in arrivo da Bruxelles. Non a caso lunedì i presidenti delle autorità portuali si sono incontrati con il ministro Giovannini che ieri ha rilanciato il piano di digitalizzazione del porto di Rotterdam, gestito dal gruppo Cisco. Il problema è che il modello olandese rischia di non funzionare con quello dei 40 porti italiani. «Come comprare un robot tagliaerba che va bene per la reggia di Versailles da usare nel proprio orto», suggerisce un addetto ai lavori. Del resto da almeno 16 anni la «Piattaforma logistica nazionale» è un disastro. Non sono mai stati fatti passi in avanti. L’esperienza di Uirnet è stata oltremodo fallimentare. Collegata a Uirnet c’è Logistica Digitale (controllata all’80% da Enterprise Service Italia e al 10% da Fai Service e al 10% da Vitrociset del gruppo Leonardo) concessionaria collegata per la gestione e lo sviluppo della «Piattaforma logistica nazionale» e la commercializzazione dei relativi servizi.
Il 25 marzo scorso Leonardo si è fatta avanti per acquisire la quota di maggioranza. Perché farlo proprio ora? La società è stata messa in liquidazione per risultati finanziari e operativi carenti. Nell’ultimo bilancio è stata registrata una perdita di 4.031.022 euro (in aumento rispetto ai 2.444.927 euro dello stesso periodo precedente). I costi della produzione si attestano a 3.989.335 euro. A novembre dello scorso anno un decreto del governo ha stabilito che le funzioni di «digitalizzazione dell’intermodalità e della logistica integrata» devono passare immediatamente da Uirnet (ribattezzata poi Digitalog) al ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili. Il Mims viene quindi chiamato ad «accelerare l’implementazione e il potenziamento della Piattaforma per la gestione della rete logistica nazionale incoerenza con il cronoprogramma previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza». Per farlo potrà sottoscrivere una convenzione con Ram che gestirà appunto 400 milioni di euro del Pnnr. E sarà Russo a tirare i fili.
Nel decreto varato si allungano i tempi delle assemblee, sia per le società controllate dal ministero dell'Economia sia per le banche. Nei prossimi giorni i consigli di amministrazione stabiliranno la data. In totale, come ha calcolato il centro studi CoMar, sono 76 le aziende del Mef - 19 a controllo diretto e 57 a controllo indiretto - che devono rinnovare i propri organi sociali, in tutto 105, tra consigli d'amministrazione (55) e collegi sindacali (50), attualmente composti da 506 persone.
Il decreto del governo per combattere l'emergenza coronavirus allunga i tempi delle assemblee delle società controllate da ministero dell'Economia e quindi allunga anche i tempi per il rinnovo dei consigli di amministrazione fino alla fine di luglio. Il governo di Giuseppe Conte ha scelto per una misura più leggera rispetto alle indiscrezioni che erano emerse nei giorni scorsi, ovvero a un possibile rinvio a ottobre delle nomine. In realtà l'articolo 106 del decreto Cura Italia spiega che con l'avviso di convocazione delle assemblee delle società per azioni, ma anche cooperative o assicurazioni, potranno ricorrere a mezzi di telecomunicazione, cioè gli azionisti potranno esercitare il loro esercizio di voto online, da remoto.
Lo stesso vale per le banche popolari e di credito cooperativo. Sui tempi si saprà di più nei prossimi giorni, quando si riuniranno i consigli di amministrazione di Enel, Eni, Poste, Si, Terna, Leonardo, Enav, Rai Way e Monte dei Paschi. Di sicuro dovrà intervenire anche la Consob, perché andranno chiariti alcuni aspetti legati al calcolo delle percentuali di partecipazione alle stesse assemblee. A questo si potrebbe aggiungere nei prossimi giorni una golden power più forte per difendere i nostri asset strategici, nei settori aerospazio o telecomunicazione, come richiesto dal presidente del Copasir Raffaele Volpi.
In totale, come ha calcolato il centro studi CoMar, azienda specializzata in comunicazione, sono 76 le Società del Ministero Economia e Finanze - 19 a controllo diretto e 57 a controllo indiretto - che devono rinnovare i propri organi sociali, in tutto 105, tra consigli d'amministrazione (55) e collegi sindacali (50), attualmente composti da 506 persone, di cui 258 consiglieri e 248 sindaci (145 persone nelle società controllate dal Mef direttamente e 361 nelle indirette). A rinnovo si calcola che andranno società per un totale di fatturato totale superiore ai 221,7 miliardi di euro, il margine operativo netto è di oltre 25,1 miliardi di euro, i dipendenti 381.927 (secondo gli ultimi bilanci disponibili, al 31 dicembre 2018).
Tra i criteri che si dovranno seguire nelle nomine, vi è quello dell'equilibrio di genere, rafforzato con l'ultima legge di bilancio, che prevede che le donne ottengano una rappresentanza di almeno due quinti dei consiglieri d'amministrazione e dei sindaci. Su 506 componenti degli organi sociali uscenti, calcola il Centro studi CoMar, le donne sono 178, pari al 35,2% complessivo. Percentualmente, le donne sono maggiormente presenti nelle società controllate direttamente dal Mef, rispetto alle indirette (54 donne consigliere su 145 consiglieri totali - 37,2%) e nei Collegi sindacali, rispetto ai cda (101 donne sindaco su 248 sindaci totali - 40,7%).
Il Centro studi CoMar ha analizzato anche la presenza in Borsa: il ministero dell'Economia detiene partecipazioni azionarie dirette in società ammesse alla quotazione delle proprie azioni in mercati regolamentati e altre quali emittenti di strumenti quotati per un totale di 11 società (19 sono le non quotate); altre 3 sono presenti in Borsa attraverso le capogruppo Cdp o Rai. Tra queste, le società interessate dai rinnovi 2020 sono in totale 11, con 14 organi sociali, di cui 9 consigli di amministrazione e 5 collegi sindacali; e con 113 componenti, di cui 83 consiglieri e 30 sindaci.
Le società del Mef sono attive in diversi settori dell'economia, tra cui quelle per l'energia: sono 9 le società per azioni che andranno al rinnovo, di uno o entrambi gli organi sociali: Acquirente Unico, Enel, Eni, Gestore dei mercati energetici, Gestore dei servizi energetici, Ricerca sul sistema energetico, Sogin, Terna e Cdp Reti (quale capogruppo con partecipazioni in Snam, Italgas e Terna). Per queste società dell'energia, sono interessati 14 organi sociali (8 consigli di amministrazione - Commissari e 6 Collegi sindacali), con 77 componenti uscenti (43 Consiglieri e 34 Sindaci). Attualmente, le donne sono 28, a fronte di 49 uomini, equivalenti al 36,3% del totale dei componenti; tanto da fare del settore energia quello "più rosa" rispetto alla media di tutte le società del Mef.






