Habemus commissario. Finalmente il governo ha nominato l'uomo che dovrà occuparsi della ricostruzione del ponte di Genova e di ricucire una città che dal 14 agosto è divisa in due. Il prescelto è Marco Bucci, un signore che i ministri competenti avevano sottomano fin dal primo giorno, ma che inspiegabilmente, fin dalla prima ora, avevano scartato. Bucci è infatti il sindaco del capoluogo ligure e, oltre a guidare la Superba dal 27 giugno di un anno fa, è un manager. Nel curriculum spunta un trentennio trascorso ai vertici di una serie di multinazionali in Italia, Svizzera e America. Insomma, per dirla semplice, Bucci è uno che ci sa fare, e che oltre a occuparsi del Comune sa come si conduce un'azienda, come si fa un business plan, come si stipulano i contratti e si ordinano le forniture.
Perché in principio il suo nome fosse stato scartato da chi aveva il compito di decidere è un mistero. Forse qualcuno deve aver pensato che l'uomo era stato eletto, fra le altre, anche sotto le bandiere di Forza Italia e dunque fosse in qualche modo etichettato e quindi poco spendibile. Così, per settimane si è girato in tondo, sfogliando la margherita dei pretendenti e passando da un manager Fincantieri, e dunque in sospetto di conflitto d'interessi, a un altro. Insomma, si è perso tempo e l'unica cosa che si è guadagnata è la rabbia della gente, degli sfollati che ancora non sanno quando verrà loro restituita la casa e dei viaggiatori che sono costretti a circumnavigare la città per giungere a destinazione. Per raccontarcela tutta, si è dilapidato un patrimonio di consenso che fin dalle prime ore, cioè dal giorno del crollo, si era riversato sui nuovi governanti, guardati come gli unici al di fuori dal sistema e dunque non condizionabili e neppure responsabili.
Ricordate il giorno del funerale delle povere vittime sepolte sotto le macerie del viadotto? In quella giornata gelida, nonostante il caldo agostano, i parenti dei morti e le famiglie degli sfollati fischiarono chi rappresentava il vecchio potere (Maurizio Martina e compagni) e applaudì i volti della nuova maggioranza. L'applauso fu un gesto politico, l'espressione della volontà di cambiamento di una città da sempre dominata dalla sinistra. Dopo anni di sciagure, di morti causa alluvione e di altri morti causa crolli, Genova dimostrava di voler voltare pagina e possibilmente in fretta. Basta parole, basta comizi, da oggi servono i fatti.
Il battimani in una giornata di lutto che toglieva lo spazio alle lacrime serviva a quello, a dire ora bisogna chiudere una stagione e aprirne una nuova. E però sono trascorsi due mesi: per l'esattezza 50 giorni. Settimane passate a discutere se la ricostruzione dovesse essere affidata ad Autostrade o a qualcun altro. Se toccasse occuparsene a un politico o a un tecnico. Se per il progetto fosse meglio prendere il modello disegnato da Renzo Piano o commissionare il ponte a un altro architetto. In pratica, abbiamo occupato il tempo a discutere, come quasi sempre capita in questo Paese. Forse era giusto così, forse era necessario chiarirsi le idee, prima di tirare su piloni non troppo solidi, destinati a fare la fine del ponte sulla Valpolcevera. Però adesso, chiusa la fase dei se e dei ma, il viadotto bisogna farlo senza altro indugio, completandolo entro il 2019, come era stato promesso. E insieme all'opera è necessario realizzare anche il resto, cioè le case per gli sfollati, ricostruendo ciò che c'è da ricostruire.
La questione non è un affare che riguardi solo Genova, il suo traffico, la sua popolazione. No. Tener fede alle promesse è una faccenda che interessa tutta Italia. E non perché tutta Italia debba passare di lì, da Levante e Ponente e viceversa, ma perché il ponte ci darà la misura di cos'è questo governo, se cioè sia davvero l'esecutivo di cambiamento che ci è stato promesso o se, ancora una volta, sia un gabinetto di ministri che tira a campare, districandosi fra leggi, magistratura e soldi.
L'Italia è piena di opere incompiute o di strade che dovevano essere pronte anni fa, ma che faticano a essere completate. In genere questi interventi vanno a passo di lumaca per consentire a chi le deve realizzare di aumentare i prezzi. Si incassa di più ritardando che arrivando puntuali, perché si gioca sugli indennizzi, sulle attualizzazioni e sulle penali. Qualche imprenditore, a forza di trovare scuse, ha fatto i milioni, mentre lo Stato in genere ha fatto schifo. Ecco, noi vorremmo che questo non accadesse e che il ritardo nella nomina del commissario non ne autorizzasse altri. Bucci ha ricevuto il mandato. Adesso, oltre a quello deve ricevere i soldi. Non per sé, ma per fare ciò gli è stato chiesto. Il primo a tenerlo presente ovviamente sarà lui, ma a non dimenticarsene deve essere soprattutto il governo.



