Spiace dirlo: ma il fallimento dello Stato non si misura sulla base dell’uso dei manganelli da parte delle forze dell’ordine, come pare credere il presidente della Repubblica. Bensì, con la mancata difesa dei funzionari di polizia i quali, per una paga da fame, sono chiamati a difendere lo Stato, ma poi, nei momenti di difficoltà, o semplicemente quando non è politicamente corretto, sono lasciati soli, costretti a pagare gli avvocati che li devono rappresentare in giudizio e messi alla mercé degli odiatori di professione. Ho scritto con cinquant’anni di ritardo rispetto a Pier Paolo Pasolini che io sto dalla parte degli agenti e dei carabinieri, che come chiunque, ma sempre meno di un politico, possono sbagliare. Tuttavia, anche quando incorrono in errori, se sono in servizio lo fanno in nome dello Stato, cioè di noi tutti. In ogni organizzazione c’è qualche mela marcia, qualcuno che non rispetta la legge e dunque, se lo fa, va punito. Tuttavia, questo non giustifica la caccia allo sbirro che si è scatenata dopo i fatti di Pisa e Firenze. Né autorizza a criminalizzare chi il crimine lo persegue per dovere.
Non conosco Silvia Conti, la funzionaria di polizia a capo del reparto mobile di Firenze, ossia del reparto messo a tutela degli obiettivi sensibili di Pisa. Da quel che leggo è una professionista preparata e capace, ma che purtroppo rischia di pagare il prezzo dell’ipocrisia generale e della strumentalizzazione politica. Nella città toscana un gruppo di studenti, forse spinto da agitatori e professori (che a volte sono la stessa cosa) ha inscenato una manifestazione non autorizzata. La polizia ha sbarrato il passo al corteo, ritenendo che potesse raggiungere alcuni obiettivi sensibili, tra cui la sinagoga. Il raduno, nonostante l’alt imposto dalle forze dell’ordine, non ha indietreggiato, anzi. I ragazzini sono stati mandati avanti contro gli agenti ed è finita come doveva finire, cioè come finisce in qualsiasi Paese normale, ovvero con le forze dell’ordine che hanno caricato per disperdere i disobbedienti. Nella civilissima Svezia, patria dei diritti e della socialdemocrazia, Greta Thunberg ha provato a disobbedire a un ordine della polizia, che le chiedeva di levare le tende e andare altrove, e gli agenti dopo averla prelevata di peso l’hanno condotta in tribunale, dove è stata condannata, perché è così che funziona lo stato di diritto in un Paese dove lo Stato non è fallito.
Da noi no. Se le forze dell’ordine ti dicono che non puoi passare e tu provi a forzare il blocco, nei guai non finisci tu, che disattendi le disposizioni degli agenti, ma chi ti impedisce di andare oltre, ovvero in questo caso Silvia Conti, funzionaria stimata e premiata, prima donna a comandare un reparto mobile in Italia. Vi sembra normale? Il funzionario della questura fa rispettare le regole e garantisce la sicurezza, ma se qualcuno strumentalizza la questione e manda avanti dei pischelli, pressandoli contro il cordone di polizia affinché un manganello li colpisca, la colpa non è di chi ha ordito la trama, ma di chi ha garantito l’ordine e la sicurezza.
Risultato, dal Colle suonano a festa le campane della banalità, per dire che il manganello è un fallimento della società. Ma forse i primi a fallire sono quelli che non rispettano l’ordine e la polizia, e di questo al Quirinale non si sono accorti. Cinque anni fa, su Panorama, feci una copertina dal titolo «Tiro al bersaglio». Un’inchiesta esclusiva firmata da Gianluigi Nuzzi spiegava che ogni due ore e mezzo un poliziotto o un carabiniere venivano feriti «per servizio», ma quest’impegno delle forze dell’ordine non era neppure riconosciuto, non solo in termini economici, ma neanche rendendo omaggio agli agenti. Dal 2013 al 2018 sono stati poco meno di 17.000 i carabinieri feriti in servizio. Tuttavia, non mi risultano sermoni del Colle sulla materia. Oggi, dopo che una banda di anarchici ha assaltato un’auto della polizia per liberare uno stupratore immigrato, arriva la solidarietà del presidente della Repubblica. Spiace dirlo, ma siamo fuori tempo massimo, perché ormai i buoi sono scappati dalla stalla e rischiano di fare danni. Quest’anno abbiamo il G7, ovvero una serie di incontri importanti in cui gruppi di agitatori e di professionisti del caos possono provare a ripetere quello che accadde a Genova nel 2001, dopo la vittoria del centrodestra. Anzi, quello che accade in queste settimane, sembra la prova generale di quello che potrebbe accadere fra qualche mese. Una città messa a ferro e fuoco, come Genova 23 anni fa, sarebbe l’operazione perfetta per guastatori ed estremisti. E questo sì sarebbe un fallimento. Ma non solo dell’Italia, anche di chi con le sue paternali non ha capito niente di ciò che sta succedendo. Ovviamente, tanto per fare cognomi e non solo nomi, mi riferisco a Mattarella e alle prediche inutili.