Generale Carlo Jean, dall’alto della sua esperienza militare sul campo, le chiedo di descrivermi in parole semplici l’operazione che l’esercito israeliano sta portando avanti nella striscia di Gaza.
«Un combattimento all’interno di una superficie densamente abitata e fortificata che si svolge su due piani completamente differenti. Uno in superficie, dove predomina la presenza di civili. Ed uno in profondità, caratterizzato dalla presenza dei miliziani di Hamas che si nascondono nei cunicoli assieme agli ostaggi».
L’esistenza dello Stato di Israele ha da sempre trovato fondamento sui principi della dissuasione e deterrenza. Ma in questa situazione ribattere colpo su colpo anche con maggiore energia significa porre a rischio la vita di molti civili. Questo finirebbe per far aumentare il consenso o comunque la benevolenza nei confronti di Hamas da parte della comunità internazionale. Israele è in un vicolo cieco?
«Non bisogna sopravvalutare l’impatto che le manifestazioni di piazza in Occidente possono avere sulle decisioni del governo israeliano. Per quest’ultimo il problema è vincere o morire, perché se per caso non riesce a raggiungere il suo obiettivo, cioè un’eradicazione completa di Hamas, si pone praticamente in dubbio la sua stessa futura esistenza. Israele è continuamente sotto attacco. Tanti sono i suoi nemici: Hamas, Hezbollah, i pasdaran iraniani e così via. Se combatti per la vita o la morte non ti lasci condizionare dalle manifestazioni di piazza all’estero. L’unica cosa di cui Israele deve preoccuparsi è di avere il sostegno degli Stati Uniti. E quest’ultimo invece sì che può essere influenzato dalle manifestazioni pubbliche di dissenso in piazza. Ecco come mi spiego le dichiarazioni della Casa Bianca in merito alla necessità di corridoi umanitari dentro la striscia di Gaza. E può darsi che Israele, in tal senso, qualche misura simbolica la attui. Più per mettere un ombrello sulla testa di Biden che altro».
Israele è sempre stata abituata ad imporre e quindi vincere guerre di breve durata. In questa situazione però rischia una guerra lunga e logorante?
«Il rischio della guerra lunga è molto pesante. Israele non ha un esercito professionale ma di cittadini. Questi sono anche il fulcro dell’economia israeliana. E non possono essere permanentemente distratti dalle loro attività. Arriverà un momento in cui la mobilitazione deve cessare. Perché ciò succeda Hamas deve essere però definitivamente distrutta. Se ciò non avvenisse nulla sarebbe ottenuto».
Al di là delle dichiarazioni di Hezbollah, dobbiamo effettivamente attenderci un rischio di allargamento del conflitto a nord in Libano?
«A mio avviso su quel fronte ci sarà una guerra a bassa intensità. Hezbollah non metterà sul campo tutta la sua forza militare perché teme la risposta devastante di Israele messa spalle al muro. Un po’ come la Russa a Grozny in Cecenia o Assad ad Aleppo».
Come cambia la governance di Israele in tempo di guerra?
«A mio avviso, la guerra è condotta dal Consiglio di guerra in cui militari hanno molta voce in capitolo. La maggioranza di questi, con l’eccezione di qualche generale in congedo, è dell’idea che Israele debba andare fino in fondo».
In quanto esperto di strategia e geopolitica le chiedo: il mondo arabo è unito e compatto con Hamas?
«Ci sono dei distinguo da fare. Il più importante è quella tra Fratelli musulmani e salafiti. Questi vedono come fumo negli occhi un successo di Hamas. L’Arabia Saudita non può accettare questa prospettiva soprattutto se uno Stato come lo Yemen spara missili contro Israele. Ed oltre al conflitto con lo Yemen, l’Arabia Saudita deve affrontarne uno strisciante con l’Iran. E quest’ultima non sembra avere nessuna intenzione di essere coinvolta in uno scontro diretto con Israele di cui teme comunque le reazioni devastanti se Tel Aviv fosse messa spalle al muro».
Lei ritiene plausibile un supporto dei mercenari russi di Wagner in favore di Hezbollah ma anche di Hamas?
«Prospettiva francamente trascurabile, essendo Wagner partner di Stati come Emirati Arabi Uniti ed Egitto. Quest’ultimo ha cacciato i Fratelli musulmani con il colpo di Stato di Al Sisi. Dubito che possano supportare Hamas».
Come è schierata la politica americana sulla vicenda Israele - Hamas?
«Se anche Trump tornasse alla Casa Bianca, avverrà fra un anno quando i giochi saranno fatti. I repubblicani sono sempre stati molto favorevoli ad Israele. Trump ha favorito la politica israeliana di insediamento dei coloni nella West Bank ed il trasferimento a Gerusalemme della capitale. Una politica molto convergente con quella di Netanyahu, che invece Biden considera verosimilmente come un matto pericoloso».
E forse anche larghi strati dell’opinione pubblica israeliana. Come si spiega il 7 ottobre? Una fortezza inespugnabile perforata con disarmante facilità. Le interpretazioni dietrologiche sono tante…
«A mio avviso il fallimento è dovuto ad un eccessivo affidamento all’aspetto tecnologico. Senza tener conto che i collegamenti e lo scambio di informazioni possono essere fatti coi cosiddetti “pizzini” caratteristici della mafia. Comunicazioni non elettroniche che non possono essere intercettate dalla tecnologia».
L’elemento umano è fondamentale nell’intelligence?
«Certo e c’è un ulteriore aspetto. Non so quanto determinante in Israele, visto che qui l’intelligence è fondamentale. Ma chi vuol fare carriera nel mondo dello spionaggio spesso attacca l’asino dove vuole il padrone. Lo si è visto in Iraq per quanto riguarda gli Usa, ad esempio».
Si confondono le aspettative con le speranze?
«Esatto. Si cerca di dimostrare che le idee del capo sono vere. Accadde nella Seconda guerra mondiale quando l’intelligence sovietica non prevedeva l’invasione tedesca perché Stalin era convinto che Hitler non lo avrebbe attaccato».
Fanno molto discutere le dure prese di posizione dell’Onu contro Israele. Direi un grande classico. Lei come se lo spiega, generale?
«Il cosiddetto sud globale sta acquistando notevole voce. L’Iran è a capo della commissione sui diritti umani. Ed il segretario Guterres deve tener conto che la maggioranza degli Stati che fanno parte dell’Onu sono contrari ad Israele. Come del resto accade in Italia dove le manifestazioni di piazza contro Israele sono sempre tante».
Il piano di Hamas è molto cinico. Più morti cadono, in Israele o a Gaza, più fa proseliti. Soprattutto sui social.
«La strategia non è fatta dalle anime buone. Ci sono dietro sempre interessi e calcoli sulle reazioni dell’opinione pubblica che può essere più o meno pilotabile».
Esiste un problema di destinazione dei finanziamenti? Soldi diretti alla Palestina che finiscono nelle tasche dei signori della guerra? Quelli che Fausto Biloslavo chiama «terroricchi»?
«La cosa è abbastanza inevitabile. Sebbene i soldi che le organizzazioni internazionali o gli Stati europei danno non siano da buttar via, parliamo di una quota piccola del bilancio pubblico. E questi sono una piccola parte rispetto ai soldi che arrivano dagli Stati arabi. Le autocrazie pagano i terroristi all’estero per non avere problemi in casa».
Che fine fa il conflitto Russia Ucraina in questo scenario?
«Più di un centinaio di obiettivi ucraini attaccati dai russi di cui l’opinione pubblica non si cura. Conflitto ben gestito dalla Russia da un punto di vista informativo. Attenzione ora polarizzata sul conflitto medio-orientale e tutti si dimenticano le atrocità perpetrate dai russi in Ucraina attraverso l’utilizzo di bombardamenti e droni».
A proposto di droni, generale, l’alleanza Russia-Iran è robusta?
«Tradizionalmente la Russia rifornisce l’Iran di armi sofisticate e sistemi contraerei. Centrali nucleari e verosimilmente tecnologie per l’arricchimento dell’uranio. E comunque la presenza della Russia è abbastanza limitata o condizionata da quella cinese. Perché mentre Mosca si presenta in Medio Oriente con armi e belle parole, Pechino arriva anche con valige piene di dollari».
L’Iran è una potenza militare?
«L’Iran ha costruito una notevole potenza militare dopo la guerra con l’Iraq sviluppando sistemi missilistici all’avanguardia. I droni russi poi vengono costruiti in casa ma con fabbriche che utilizzano tecnologia di origine iraniana».
La Cina come guarda al conflitto Israele - Hamas secondo lei?
«Tiene i piedi in due staffe perché molto verosimilmente è molto più preoccupata dalla crisi economica interna che rischia di diventare politica e sociale. Ci sono aperture cinesi verso gli Stati Uniti. Un cambiamento di rotta dentro una politica estera che è sempre stata un misto di contrapposizione e cooperazione».




