Alla fine, nel Consiglio dei ministri che si è tenuto ieri a Palazzo Chigi, la maggioranza non ha seguito Mario Draghi sulle tasse. L’idea del premier era quella di reperire i fondi per calmierare il caro bollette annullando i vantaggi fiscali per chi guadagna più di 75.000 euro l’anno: un bel gruzzoletto che vale 248 milioni di euro. Ma nessuno gli ha dato corda.
Sul tema ieri c’è stata grande bagarre (tanto che a un certo punto la seduta è stata sospesa) e alla fine tutto si è concluso con un’intesa senza un voto formale, in attesa che un emendamento ad hoc venga presentato in Parlamento.
Al momento, insomma, chi guadagna più di 75.000 euro l’anno non ha ancora una spada di Damocle puntata, ma potrebbe avercela presto e non godere dei vantaggi fiscali derivanti dal taglio strutturale di 7 miliardi di Irpef e 1 miliardo di Irap a partire dal 2022. Ieri, in particolar modo, a dare battaglia contro questa misura sono stati Lega, Forza Italia e Italia viva.
La lega
La prima a esultare perché al momento i redditi più alti non sono stati toccati è stato proprio il Carroccio che ha fatto notare che i soldi anti caro bollette ci sono e che vanno reperiti altrove, non su chi guadagna di più. «In Parlamento», fanno sapere dal partito guidato Matteo Salvini, «la Lega chiederà di fare ancora di più» per sterilizzare i rincari di luce e gas, «recuperando risorse dagli sprechi del reddito di cittadinanza».
Mentre Mariastella Gelmini, capo delegazione di Forza Italia al governo, lasciando la conferenza stampa sulle misure contro la violenza sulle donne ha parlato di «una soluzione che ha convinto tutta la maggioranza. Non ci sono state divisioni ma una valutazione approfondita e una risposta nell’interesse di tutti, sia dei ceti più deboli, con un rafforzamento della riduzione delle bollette, sia con una considerazione proporzionale per quanto riguarda la riforma».
Per Italia viva, «qualsiasi ipotesi che preveda un prelievo aggiuntivo non andrebbe nella direzione che lo stesso premier Draghi ha più volte ribadito e in cui ci riconosciamo pienamente: non è il momento di prendere i soldi ai cittadini, ma di darli».
Ad ogni modo, nel cdm di ieri è stato confermato lo stanziamento di circa 800 milioni contro il caro bollette, una cifra di certo non sufficiente a proteggere gli italiani dalla batosta che li attende. È infatti purtroppo ormai noto che a gennaio è prevista una stangata con prezzi in crescita per il gas del 50% e della luce del 17%.
Gli 800 milioni arriveranno per circa 500 milioni dal «tesoretto» della riforma di Irpef e Irap per il 2022 e per circa 300 milioni da altri fondi reperiti in bilancio e non utilizzati appieno. In tutto quindi per il primo trimestre del prossimo anno ci sarà un intervento da 2,8 miliardi di euro.
La parziale vittoria di ieri dei redditi più alti, a ogni modo, non rende felici i sindacati. «Non siamo soddisfatti» perché la proposta del governo in tema di fisco «non dà risposte a lavoratori e pensionati», ha detto il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, a Un giorno da pecora su Radio Rai. L’idea di congelare il taglio Irpef per i redditi oltre 75.000 euro «non è la nostra richiesta. Abbiamo chiesto che le risorse siano utilizzate sul cuneo fiscale e di dare potere d’acquisto a lavoratori e pensionati, con misure strutturali. Le scelte non vanno in questo senso», ha aggiunto. Il malcontento è tale che la Uil non esclude la possibilità di uno sciopero. «Vediamo», dice Bombardieri, «Aspettiamo di capire la proposta finale. Aspettiamo fino alla fine, nei prossimi giorni valuteremo e decideremo».
Sulla stessa linea anche il numero della Cgil, Maurizio Landini. A oggi, dice il sindacalista, «non ci sono risposte» alle richieste contenute nella piattaforma sindacale unitaria per una vera riforma fiscale e delle pensioni che superi la legge Fornero, per sostenere il lavoro contrastando la precarietà e nuove politiche industriali. Anche per Landini, l’orientamento sarebbe quello di «proseguire e anche intensificare la mobilitazione, senza escludere iniziative di carattere generale».
il sindacato Ugl
Di ben altra opinione Paolo Capone, leader dell’Ugl. «È inaccettabile penalizzare il ceto medio per far fronte alla crisi economica messa in atto a causa della pandemia», ha detto. «La riforma fiscale deve tutelare i lavoratori che hanno subito danni e perso il lavoro per via del Covid-19. In tal senso, occorre intervenire sul cuneo fiscale per riattivare i consumi e far ripartire il Paese. L’obiettivo è quello di sostenere l’occupazione e tutelare chi ha perso il lavoro, chi è in difficoltà, soprattutto i più giovani».
Un altro elemento di rottura ha riguardato la decontribuzione di 1,5 miliardi una tantum che, nel patto tra partiti raggiunto al Mef la settimana scorsa, doveva interessare i lavoratori dipendenti sotto i 47.000 euro di reddito, mentre da ieri, anche grazie al pressing delle unioni di lavoratori, si sta ragionando di abbassare la soglia dai 35.000 euro di reddito in giù, restringendo la platea dell’intervento solo alle fasce più deboli.




