Al polo espositivo e culturale XNL di Piacenza, una grande mostra (sino al 25 giugno 2025) celebra Giovanni Fattori, protagonista indiscusso dei Macchiaioli e del grande naturalismo europeo della seconda metà dell’Ottocento, in occasione del bicentenario della sua nascita. Fra dipinti, disegni e incisioni esposte oltre 170 opere, tra cui alcune acqueforti di straordinaria bellezza.
Madre fiorentina (Lucia Nannetti «una buona donna che credeva in Dio e nei Santi») e padre livornese, Giovanni Fattori (1825-1908) ha vissuto tutto (o quasi) il XIX secolo, respirando appieno «l’aria» dei moti risorgimentali e di un clima artistico e culturale vivace e frizzante, che in Toscana aveva il suo fulcro a Firenze, dove Fattori, che sin da piccolo dimostrò un precoce interesse per il disegno, frequentò l’Accademia di Belle Arti e, soprattutto, il popolare caffè Michelangelo, luogo di ritrovo di parecchi artisti e patrioti fiorentini.
Fu qui, fra questo gruppo di amici un po’ bohémien, grandi ammiratori del realismo del pittore francese Gustave Courbet, che nel 1856 nacque la «poetica dei Macchiaioli»,una forma d’arte nuova e antiaccademica, che voleva cogliere il reale senza idealizzazioni, rappresentando le cose nella loro totalità e interezza, senza perdersi nei dettagli, nei contorni e nelle sfumature. Un movimento artistico nuovo, che rifiutava il classicismo e gli eccessi della poetica romantica in nome di una pittura fatta di colori netti e definiti, di chiari e scuri che si alternavano in blocchi contrapposti di colore. Praticamente una pittura «a macchie» (termine dispregiativo dato loro dai critici del tempo, ma molto amato da questi artisti, che da questa tecnica pittorica presero appunto il nome di Macchiaioli) dove la forma esisteva perchè creata dalla luce e la realtà altro non era che un insieme di «getti di luce», in cui il passaggio da un oggetto all’altro avveniva attraverso cambiamenti cromatici: solo macchie di colori sulla tela, senza disegni e senza contorni. Nelle loro opere, le figure erano appena abbozzate, i volti non definiti, contorni e sfumature tendevano a sparire: tutti punti in comune con gli Impressionisti, che anticipano di circa un decennio
Spirito ribelle, curioso, vivace, insofferente e rivoluzionario, Giovanni Fattori si riconobbe appieno in questo nuovo movimento artistico, di cui, in breve tempo, divenne uno degli esponenti di spicco insieme a Telemaco Signorini e Silvestro Lega. I paesaggi e le spiagge maremmane, contadini, gli umili, i butteri, i soldati e i cavalli, le battaglie e le scene di vita militare, questi i suoi soggetti preferiti, rappresentati in opere mai scontate e sempre distanti da una roboante e sterile retorica celebrativa, tanto da essere fra le testimonianze più autentiche e coerenti del nostro Risorgimento, di cui Fattori ha rappresentato, condiviso e vissuto le atmosfere, le speranze e le disillusioni . E a questo artista progressista, fra i più significativi del panorama figurativo italiano ed europeo del XIX secolo, Piacenza dedica la mostra «Giovanni Fattori 1825-1908. Il genio de Macchiaioli», una grande retrospettiva curata da Fernando Mazzocca, Elisabetta Matteucci e Giorgio Marini in collaborazione con la Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi.
La Mostra
Suddivisa in nove sezioni, l’esposizione abbraccia tutto il percorso artistico e di vita di Giovanni Fattori, con un’attenzione particolare per la sua produzione grafica, composta soprattutto da acqueforti di straordinaria bellezza, che rivelano la sua capacità di rinnovare il linguaggio attraverso una tecnica nuova, complementare alla pittura. In un coinvolgente percorso espositivo, tanti i capolavori in mostra, che spaziano dal ritratto ai paesaggi campestri e marini, dalle scene di vita rurale alla «pittura militare », un genere che lo differenzia dagli altri Macchiaioli e che costituisce la parte preponderante di una vastissima produzione, favorita anche da una vita lunga, vissuta a cavallo di due secoli. Fattori amava i suoi «quadri di soldati » (come li definiva lui), sia quelli epici e monumentali, sia le tele più piccole, dove ad essere rappresentate non erano le grandi battaglie, ma la vita ordinaria, la solitudine e il sacrificio dei soldati: bellissimi, in mostra, La Vedetta, dove l’ocra della pianura si confonde con un cielo azzurro-violaceo e Soldati Francesi del 59, un dipinto realizzato con fasce di colori sovrapposti, i cui il volto dell’unico soldato frontale offre allo spettatore un viso che è una solo una macchia di colore, senza occhi, naso e bocca. A colpire è l’insieme, non il particolare. Ed in questa mostra, a colpire il pubblico è anche l’insieme della produzione di Giovanni Fattori, un artista che nella sua lunga vita ha attraversato varie esperienze, dalla rivoluzione della «macchia», agli anticipi di alcune correnti del Novecento, scrivendo una pagina importante della storia dell’arte italiana ed internazionale.
A chiudere il percorso espositivo, in dialogo perfetto con il naturalismo ottocentesco di Fattori, i raffinati lavori del fotografo contemporaneo tedesco Elger Esser, noto soprattutto per le sue immagini paesaggistiche liriche e introspettive: un confronto costruttivo e originale fra due artisti di epoche diverse, che invita il visitatore a riflettere sul continuo e dinamico sviluppo dell'arte.



























