Il 74% dei cittadini campani boccia sui social la decisione del presidente della Campania Vincenzo De Luca di non riaprire le scuole, materne, elementari e medie oggi, 10 gennaio. Chiusura che, tuttavia, potrebbe venire meno perché il ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi ha impugnato l’ordinanza di chiusura, ma prima sarà necessario un passaggio in Cdm, mentre il Tar della Campania ha chiesto i documenti sul contagio che hanno motivato questa scelta, per poter decidere proprio sul ricorso presentato da alcuni genitori contro l’ordinanza. Sul rientro a scuola cresce il muro contro muro: il governo ribadisce il «tutti in classe», le amministrazioni locali, ordine dei medici, sindacati e presidi chiedono di rinviare il ritorno tra i banchi. Comunque sabato l’ufficio di Francesco Figliuolo ha emanato una nuova circolare che prevede l’effettuazione di test antigenici rapidi gratuiti per gli alunni delle scuole secondarie di primo e secondo grado. «È importante il ritorno a scuola, che è un luogo sicuro con mascherine e distanziamento. Lo scontro tra governo ed enti locali vede però protagonisti anche i sindaci. In molti, soprattutto nei piccoli centri, hanno deciso il rinvio con apposite ordinanze. Insiste per posticipare la riapertura anche il presidente Veneto, Luca Zaia che torna a chiedere un intervento del Cts perché «si rischia una falsa riapertura» . «Sulla ripartenza delle scuole sono d’accordo con la decisione presa dal governo» ha affermato Sergio Abrignani, immunologo del Cts, «Sicuramente bisognerà monitorare la situazione ma è un rischio da prendere nel momento in cui tutto è aperto; niente ci fa prevedere che torneremo in lockdown». «Il governo e il Miur hanno il dovere di mettere in campo il massimo sforzo con azioni di affiancamento alle scuole perché diversamente il sistema scolastico non riuscirà a gestire la prevista diffusione del contagio nella fascia di età scolare». È questo in sintesi l’appello che l’Associazione Nazionale Dirigenti Scolastici ha inviato al governo Draghi.
È una questione della massima importanza e delicatezza, «riguarda diritti fondamentali e inviolabili delle persone» per questo è già stata fissata l'udienza di merito il prossimo 6 ottobre. Parte bene la prima discussione del ricorso presentato al Tar di Genova da oltre 400 sanitari contro le Asl della Liguria. «Un segnale incoraggiante, abbiamo speranza di raggiungere un esito positivo», commenta l'avvocato Daniele Granara, punto di riferimento di oltre 2.500 tra medici e operatori sanitari di varie Regioni che non vogliono sottoporsi al vaccino, come li obbliga a fare il dl 44, convertito in legge lo scorso primo giugno.
Sono medici di base e ospedalieri, infermieri, odontoiatri, farmacisti, chimici, biologi e veterinari che attraverso Granara hanno presentato il ricorso ai Tar della Liguria, del Piemonte, della Lombardia, del Veneto, dell'Emilia Romagna, della Toscana e delle Marche. Ieri i giudici amministrativi liguri, oltre a fissare l'udienza di ottobre «hanno detto chiaramente che, se nel frattempo le Asl dovessero procedere nei confronti di medici o infermieri, sono pronti ad applicare in ogni momento, anche ad agosto, la sospensione cautelare urgente dei provvedimenti», spiega il legale genovese, docente di diritto costituzionale. Convinto che non «sia ammissibile che un Paese civile come l'Italia disattenda una disposizione europea, che dice di non rendere obbligatorio un vaccino sperimentale», Granara ieri è stato intervistato dal New York Times per la battaglia che conduce a favore di sanitari che, se rifiutano di vaccinarsi, vengono demansionati o lasciati a casa senza stipendio.
«Rappresento anche centinaia di medici di base con 1.000, 1.500 pazienti ciascuno. Le aziende sanitarie li sospenderanno e lasceranno i loro pazienti senza assistenza medica, o spingeranno per cambiare la legge?», poneva come interrogativo l'avvocato, cercando di illustrare al quotidiano statunitense la situazione che si è venuta a creare in Italia. «In Europa e all'estero hanno capito che questa obbligatorietà è liberticida», commenta con La Verità. I sanitari italiani che non vogliono vaccinarsi rappresentano lo 0,2% del totale nazionale: 45.000 su 1,9 milioni e molte Asl, su pressione del governo, hanno già spedito le lettere di richiamo chiedendo spiegazioni del rifiuto e promettendo provvedimenti quali il dimensionamento o la sospensione dal lavoro senza retribuzione. Le prossime udienze amministrative, sempre in via telematica come d'obbligo fino al 31 luglio, saranno il 14 luglio a Milano, Brescia e Parma, il 15 a Bologna. «Ogni Tar ha la sua visione, ma questo di Genova è un buon precedente», dichiara il professore. «Non è importante avere provvedimenti formali in un senso o nell'altro, bisogna impedire che questo obbligo sia effettivo perché è costituzionalmente illegittimo». Il legale ci tiene a sottolineare che «non è una causa contro le Asl, ma per l'affermazione di diritti inviolabili. Nell'interesse delle stesse aziende sanitarie e dei cittadini, che rimarrebbero privi di medici e infermieri negli ospedali e negli ambulatori».
Tra i sostenitori, invece, dell'obbligo di vaccinare alcune categorie, se proprio non si riesce a imporlo a tutta la popolazione, c'è il sindacato dirigenti scuola che oggi terrà un sit in davanti al ministero della Pubblica istruzione sotto lo slogan «Basta Dad o sarà disobbedienza civile». Arriveranno dirigenti scolastici da tutta Italia, per ottenere un incontro con il ministro Patrizio Bianchi su ripartenza a settembre e nuovi incarichi. E «nello spettro della didattica a distanza che aleggia sulla ripartenza», ieri il presidente nazionale di categoria, Attilio Fratta, annunciava: «Proporrei l'obbligatorietà per quegli insegnanti che non si sono ancora immunizzati, come per i medici. Se una persona costituisce un pericolo sociale deve essere allontanata. Stesso discorso vale per gli studenti, i vaccini salvano le vite, di tutti. Quindi bene all'immunizzazione per la fascia che va dai 12 ai 16 anni».
Nel Lazio, intanto, la giunta Zingaretti procede con l'elastico: dopo aver fermato le prenotazioni «per mancanza di dosi» alla fine di giugno, sono state riaperte quelle per le vaccinazioni con Pfizer dei ragazzi tra i 12 e i 16 anni che saranno effettuate a partire dalla terza settimana di luglio. Quindi i vaccini ci sono, e ci sono sempre stati. La sensazione è che, non solo nel Lazio ma anche in altre Regioni, ci sia piuttosto un problema di slot liberi che vengo appositamente ristretti o allargati (e così sembrano sempre pieni) dando la colpa alle forniture.
Dal contatore del ministero della Salute si vede che a livello nazionale le prime dosi stanno precipitando (ormai sono meno di un terzo del totale) e anche i totali stanno scendendo: la tendenza è sotto quota 500.000 entro metà luglio. Ieri mattina il commissario per l'emergenza, Francesco Figliuolo, ha inviato una lettera alle Regioni e alle Province autonome, in cui si raccomanda di individuare delle corsie preferenziali negli hub per incentivare le vaccinazioni dei professori e del personale scolastico e universitario che ancora non è stato immunizzato. La percentuale di personale scolastico raggiunta finora dalla prima dose, scrive Figliuolo, è pari all'85% sulla media nazionale e ha fatto registrare un incremento dello 0,5% rispetto al 23 giugno scorso, ma il commissario chiede «di attuare in maniera ancor più proattiva il metodo di raggiungimento attivo del personale che non ha ancora aderito alla campagna vaccinale, coinvolgendo anche i medici competenti».
Il commissario Francesco Figliuolo avvia il confronto diretto con le Regioni con incontri bilaterali per fare il punto sulle scorte (che ci sono, ma vanno sapute gestire riprogrammando le agende) e la campagna vaccinale. Nel frattempo, lancia la missione scuola. Ovvero immunizzare i 215.000 docenti e operatori che ancora mancano all'appello delle dosi. Missione complicata considerando anche che il generale dovrà fare i conti con le ferie dei vaccinatori e lo smantellamento di molti hub entro settembre.
L'agenda di Figliuolo è fitta e il dialogo con alcuni governatori non facile considerando che da giorni alcuni lamentano un rallentamento nelle somministrazioni a causa della mancanza di vaccini. La tesi è sempre stata smentita dal generale, ribadendo che c'è un numero sufficiente di fiale per vaccinare 500.000 persone al giorno. E ieri a smentire l'allarme sulle scorte è stata anche una dichiarazione della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen al Parlamento europeo: «Si sta diffondendo la variante delta e troppe dosi non vengono usate e restano nei frigoriferi. Aumentiamo gli sforzi per convincere gli europei a vaccinarsi. La vaccinazione significa protezione e anche libertà e la prova sono i 250 milioni di europei che hanno già scaricato il certificato vaccinale». Come abbiamo scritto più volte nelle ultime settimane, a scarseggiare non sono i vaccini ma i vaccinandi . Vanno infatti considerati gli effetti della pessima comunicazione sui richiami per chi ha avuto la prima dose di Astrazeneca, c'è chi non si fida del mix e chi invece ha paura di fare anche la seconda dose con il vaccino anglosvedese. Non si può parlare di calo delle consegne se il problema è non riuscire a piazzare Az e J&J (comunque disponibili). A questo si aggiungono le ferie e quella flessibilità, chiesta alle Regioni dallo stesso commissario Figliuolo, a spostare le prenotazioni dei richiami per chi non vuol far cadere la data mentre è in vacanza. Senza dimenticare i vaccinatori. In luglio e agosto nei singoli hub (ma anche nelle farmacie, negli studi dei medici di famiglia e dei pediatri) andranno gestiti anche i turni per le ferie degli operatori sanitari, per non parlare dei volontari che comprensibilmente potranno diminuire.
«Siamo un po' indietro, ma abbiamo spinto molto su 70-80enni, ora dobbiamo spingere sui cinquantenni, soprattutto convincere i 215.000 insegnanti e operatori scolastici che mancano a vaccinarsi per tornare a scuola in sicurezza», ha detto ieri Figliuolo. Per questo è partita una lettera alla Regioni - la seconda in meno di un mese - per «incentivare con ogni mezzo» le somministrazioni. L'obiettivo è avere un quadro chiaro su quali siano le difficoltà e riuscire a raggiungere almeno 180-190.000 di quei 215.000 che ancora mancano. Già lo scorso 25 giugno Figliuolo aveva chiesto di attuare in «maniera più incisiva» le vaccinazioni dei prof attraverso un «raggiungimento attivo» di coloro che mancano, indicando il 20 agosto come deadline per avere l'elenco completo di tutti quelli che per motivi sanitari non potevano sottoporsi al vaccino e soprattutto di quelli che non hanno intenzione di aderire alla campagna. In base all'ultimo report del governo, sono 1.063.903 i professori e il personale scolastico vaccinati, ma ancora 216.221 quelli che non hanno fatto la prima dose. In questa fascia due settimane fa ce ne erano 235.899 e 7 giorni fa 227.537: in 15 giorni sono stati raggiunti meno di 20.000 prof, un numero irrisorio. Ancora più bassi i numeri nella fascia 12-19 anni. Su una platea di 4,6 milioni, 179.000 hanno completato il ciclo vaccinale (il 3,87%) e 994.000 hanno fatto la prima dose (il 21,48%) ma 3,8 milioni di ragazzi sono completamente scoperti.
Senza dimenticare gli over 60. Per convincere i circa 450.000 ultrasessantenni lombardi che non hanno ancora fatto il vaccino a immunizzarsi contro il Covid «andremo casa per casa», ha annunciato ieri il vicepresidente e assessore al Welfare della Regione Lombardia Letizia Moratti, spiegando che una prima sperimentazione con «unità mobili» avrà luogo domani e il e 9 luglio nei comuni di Mortara, in provincia di Pavia, e di Monzambano, in provincia di Mantova. Secondo l'ultimo bollettino diffuso da Davide Manca, docente del Politecnico di Milano, il 70% degli adolescenti lombardi di 12-19 anni deve ancora ricevere la prima dose vaccinale» contro il Covid-19. La Lombardia ha comunque già vaccinato almeno con la prima dose il 63% dei residenti ossia quasi il 71% degli individui vaccinabili (12+ anni) e la copertura vaccinale degli ultraottantenni praticamente completa» nella Regione.
Intanto nel Lazio, l'assessore alla Salute Alessio D'Amato, garantisce che entro l'inizio dell'anno scolastico tutti i 12-19enni che lo vorranno saranno vaccinati: tra il 18 e il 23 luglio riapriranno le prenotazioni con Pfizer e si utilizzeranno gli hub, per semplificare le procedure, mentre dopo la metà di agosto partiranno le vaccinazioni negli studi dei pediatri. Quindi le dosi ci sono, e ci sono sempre state. Basta saperle gestire.
Studi dimostrano che iniezioni continuative di farmaci con questa tecnologia non hanno profili di sicurezza verificati. I sieri alternativi (Novavax) ci sarebbero, ma siamo legati dai contratti a quello tedesco-americano
Il Centro europeo di prevenzione e controllo delle malattie (Ecdc) prevede che entro fine agosto il 90% delle nuove infezioni nella Ue sarà dovuto alla variante Delta, giudicata più trasmissibile rispetto ad altre. Già dai primi mesi della pandemia sono state riscontrate e valutate migliaia di mutazioni virali, e anche se la maggior parte di esse non sembra in grado di alterare la pericolosità dell'agente patogeno, alcune potrebbero rivelarsi più resistenti all'immunità indotta dai vaccini attualmente distribuiti. Se un booster si renderà necessario - non come un normale richiamo, ma perché arriveranno nuove varianti capaci di «bucare» la protezione di alcuni vaccini - andrebbe messa in piedi una «macchina» organizzativa di scorta da attivare in tempo zero se scatta l'emergenza per immunizzare di nuovo tutti gli italiani. E non basterebbe di certo affidarsi alla somministrazione della terza dose in farmacia o presso i medici di famiglia, strutture che già adesso stanno mostrando i loro limiti in termini di distribuzioni delle dosi. Siamo davvero pronti per gestire un nuovo round di vaccinazioni a tappeto? «A breve partirà un progetto che vede come attuatore l'Istituto superiore di sanità, verranno erogate risorse per progettare un sequenziamento che abbia valore statistico e scientifico per studiare come circola virus e come evolve», aveva assicurato il commissario Francesco Figliuolo in audizione alla Camera lo scorso 7 giugno. Ieri, però, il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri ha detto di aver presentato ai primi di gennaio un progetto per le varianti con il presidente dell'Aifa, Giorgio Palù, ma, ha tuonato Sileri, «non è mai stato finanziato e per mesi l'ho sollecitato. Solo pochi giorni fa ha trovato un finanziamento e sta partendo. La lentezza di questi mesi è di esclusiva responsabilità del gabinetto del ministero della Salute».
La sfida non riguarda solo la logistica o il sequenziamento, ma anche il tipo di «arsenale» con cui dovremmo affrontare le eventuali nuove mutazioni. Perché come ha scritto La Verità la settimana scorsa, l'Italia ha già speso 2,3 miliardi di euro per 121,5 milioni di dosi di vaccino prodotto da Pfizer-BioNtech a 19,50 euro a dose. Ovvero il 13,5% di quel nuovo contratto da 900 milioni di dosi firmato dalla Commissione Ue a inizio maggio per avere garantite le forniture a partire da gennaio 2022. E la cifra può anche raddoppiare se acquisteremo anche la parte pro quota degli altri 900 milioni di dosi già opzionate da Bruxelles da qui al 2023. L'essere legati troppo a una sola azienda ci espone al rischio di esserne dipendenti per i prossimi anni sia in termini di forniture sia di gestione dei richiami. Presto arriveranno sul mercato nuovi vaccini, persino più evoluti - come quelli di Sanofi o come Novavax, a proteina, efficace sulle varianti al 90% - ma non avremo i soldi per comprarli perché li abbiamo già spesi. Ad alimentare il dubbio di aver scommesso tutto su un unico «cavallo» sono anche i pareri di alcuni esperti come Antonio Cassone, ex direttore del dipartimento di Malattie infettive dell'Iss, e Roberto Cauda, ordinario di Malattie infettive presso la Cattolica di Roma. In un intervento pubblicato sul sito de La Repubblica i due infettivologi sostengono che il Covid diventerà endemico, magari con una malattia di simil-influenzale, contro cui comunque almeno i soggetti a rischio, dovranno annualmente - o a diversa scadenza - rivaccinarsi.
Il punto però è: con quale vaccino? I vaccini a mRna che stiamo usando (Pfizer e Moderna) sono ancora autorizzati in via emergenziale, sono cioè in attesa di ottenere una approvazione finale da parte degli organi regolatori. Abbiamo sufficienti prove che ripetute iniezioni di mRna soddisfino il requisito della sicurezza, che certamente ha una asticella più alta per una vaccinazione di routine, in persone già vaccinate, di quella che abbiamo accettato per la vaccinazione in emergenza? La risposta, spiegano i due esperti, è che non c'è alcuna prova perché mancano sperimentazioni in materia. Anzi, «ci sono indizi biologici, clinici e sperimentazioni nell'animale di laboratorio che ci inducono a ritenere che multiple somministrazioni di mRna, perlomeno di come questa molecola è attualmente preparata, potrebbero non essere accettabili. Se quindi l'idea è di rifarci una bella nuova somministrazione di mRna nel prossimo autunno, magari insieme al vaccino influenzale, (Moderna lo sta già preparando) è augurabile che i dati di questa sperimentazione siano resi disponibili al più presto», aggiungono Cassone e Cauda. Sottolineando che sono però presenti o in dirittura d'arrivo, vaccini la cui tecnologia è nota da tempo per la sua sicurezza anche dopo somministrazioni multiple.
Si tratta di vaccini a subunità, con proteine ricombinanti. Uno di questi è il Novavax, in cui la proteina trimerica Spike del coronavirus, non il suo codice di mRna, rappresenta l'antigene immunizzante. Sembra, quindi, «saggio non accettare come unica ed ovvia necessità che chi ha fatto un vaccino ad Rna continui a farlo negli anni».






