Il maggiore incasso dell'Iva può far evitare all'Italia la procedura di infrazione da parte dell'Unione europea. Nelle trattative Roma-Bruxelles il governo potrebbe infatti puntare anche sul miliardo e mezzo di extra gettito Iva generato nel 2019, oltre che sul risparmio che deriverà dalle operazioni quota 100 e reddito di cittadinanza. Per entrambe le misure, introdotte dal governo gialloblù, ci sono al momento molte meno adesioni rispetto a quanto era stato stimato. Questo significa che le spese effettive che lo Stato dovrà sostenere saranno inferiori rispetto a quanto era stato messo a bilancio. Per quanto riguarda, ad esempio, quota 100 era stato stimato che 330.000 lavoratori avrebbero usufruito della misura e dunque era stata considerata una spesa di quattro miliardi di euro. Al momento, però, risultano solo 101.000 le domande accolte dall'Inps e in stand-by ce ne sono ancora 127.000, che non necessariamente verranno accettate tutte.
Per quanto riguarda invece l'Iva si stima un incasso notevole per il 2019, grazie ad un extra gettito di circa un miliardo e mezzo, se il trend di crescita rimanesse stabile al 4%, per i prossimi due quadrimestri. Secondo l'ultimo rapporto delle entrate tributarie e contributive dei primi quattro mesi dell'anno (gennaio-aprile) pubblicato dal Ministero dell'economia e della finanza, le imposte indirette hanno registrato un +0,2% rispetto allo stesso periodo del 2018. Nel dettaglio viene evidenziato come le entrate Iva, comprese di scambi interni (tra questi c'è anche la parte relativa allo split payment) e importazioni, hanno registrato un +4,6% ottenendo un extra gettito di un miliardo e mezzo.
Se dunque si dovesse ipotizzare una crescita costante del 4% per i prossimi otto mesi (maggio-dicembre) si dovrebbe arrivare a fine anno con un incasso Iva pari a circa tre miliardi e mezzo di euro. Tendo conto che a bilancio per il 2019, il governo aveva stimato che l'introduzione della fattura elettronica avrebbe portato a entrate per due miliardi di euro (provvedimento messo in atto per cercare di combattere l'evasione Iva ed entrato in vigore per i privati a partire dal 1° gennaio 2019) ci sarebbe un extra gettito di circa un miliardo e mezzo. Questo potrebbe dunque essere usato da governo per ridurre il deficit al 2,1%, ed evitare la procedura di infrazione da parte della Commissione europea.
La crescita dell'incasso dell'Iva è supportata dagli ancora numerosi adempimenti fiscali che pesano nelle tasche dei contribuenti italiani da qui alla fine dell'anno. Ci sono infatti ancora tutte le liquidazioni mensili e trimestrali dell'Iva, le comunicazioni annuali, l'esterometro (la fattura elettronica per le aziende che lavorano all'estero e devono comunicare digitalmente all'Agenzia delle entrate le transazioni effettuate) e la fattura elettronica, ovviamente. Inoltre, sulla fattura digitale da luglio (o ottobre per chi fattura mensilmente) partono anche le sanzioni se la si emette in ritardo. Aspetto che non è stato considerato nelle entrate fiscali dei primi quattro mesi del 2019, dato che il governo aveva concesso l'esenzione delle sanzioni nei primi mesi dell'anno. Ci sarà dunque da tener conto nell'ammontare totale dell'Iva a fine 2019 anche delle sanzioni per i ritardatari.
Oltre all'Iva c'è inoltre da considerare che sono stati riaperti i termini per diversi adempimenti fiscali come la pace fiscale e la rottamazione ter. Anche da questi deriverà un piccolo tesoretto che potrà essere usato dal governo per cercare di ridurre il deficit ed evitare la procedura di infrazione della Commissione europea. Resta solo da capire se in Europa saranno soddisfatti dai conti presentati dal governo o richiederanno una manovra bis per aggiustare i bilanci dello Stato.
- L'Agenzia smentisce i dati sulle partite Iva con l'obbligo e si affida alle stime del Politecnico di Milano. In ogni caso contrastano con quelle del Mef e dei commercialisti. Giorgia Meloni: «Abolire subito la legge».
- L'Agenzia delle entrate ci scrive: «Gli operatori interessati dall'obbligo generalizzato sono, al netto degli esoneri, compresi tra 2,5 e 3 milioni».
Lo speciale contiene un articolo e la lettera dell'Agenzia delle entrate.
È guerra sui dati della fattura elettronica. L'Agenzia delle entrate ha infatti sottolineato, tramite una rettifica inviata alla Verità, come «secondo autorevoli stime realizzate dal Politecnico di Milano, gli operatori interessati dall'obbligo generalizzato (della fattura elettronica) sono, al netto degli esoneri, compresi tra 2,5 e 3 milioni». E dunque, non sarebbe vero il fatto che mancherebbero quasi due milioni di partite Iva all'appello della efattura. Se però si prendono in considerazione i dati presenti all'interno dell'Osservatorio delle partite Iva del Ministero dell'Economia e delle finanze (Mef) si giunge ad una conclusione ben diversa. Secondo il Mef, infatti, a fine 2017 (tendo conto dell'aumento dell'1,2% rispetto al 2016) ci sono circa 6.100.00 partite Iva attive. Il Politecnico di Milano ha poi stimato come ci siano circa 2 milioni di partite Iva esenti dalla fatturazione elettronica. E dunque il totale di soggetti che devono fatturare elettroniche devono essere circa 4 milioni. Dato che l'Agenzia delle entrate ha dichiarato come ci siano 2,7 milioni di partite Iva che hanno inviato fatture elettroniche a marzo 2019, si può sostenere che manchino all'appello circa 2 milioni di partite Iva. Particolare inoltre il fatto che l'Agenzia delle entrate citi come fonte il Politecnico di Milano, che per quanto possa essere autorevole, di certo non possiede tutti i dati sul numero di partite Iva che dovrebbe avere la stessa Amministrazione fiscale o il Ministero dell'economia e delle finanze.
Il gap di partite Iva è inoltre un dato che è stato confermato anche dall'Associazione nazionale dei commercialisti, che già ad inizio settimana aveva denunciato la mancanza di circa 2 milioni di partite Iva dall'appello della fatturazione elettronica. In secondo luogo l'Agenzia delle entrate sottolinea come i 688 milioni di euro tengono conto anche di cinque mesi del 2018 (da luglio a dicembre). Nel comunicato stampa che l'Agenzia delle entrate ha però pubblicato il 18 marzo c'è scritto come «in poco più di due mesi è stato smascherato un complesso sistema di frodi messo in atto attraverso false fatturazioni tra società cartiere e sono stati scoperti e bloccati falsi crediti Iva per 688 milioni di euro». I 688 milioni di euro dunque, riguardano i primi mesi del 2019 o tengono in considerazione anche gli ultimi mesi del 2018?
Inoltre, l'Agenzia delle entrate non si è espressa in merito al fatto che i 688 milioni di falsi crediti Iva bloccati non siano un risultato da imputare alla fatturazione elettronica. Nell'articolo contestato dall'Amministrazione fiscale (come si evince dalla lettera pubblicata in pagina) veniva infatti spiegato come i 688 milioni di euro era un risultato da destinare ad un'altra norma (Legge di Bilancio 2018 e al successivo provvedimento dell'Agenzia delle entrate pubblicato verso fine agosto 2018). Questa permette l'Agenzia dell'entrate di bloccare tutti i crediti Iva in F24 che presentano profili di rischio. Non ha però nulla a che vedere con la fatturazione elettronica e suoi possibili esiti. Anche in questo caso Marco Cuchel, presidente dell'Associazione nazionale dei commercialisti, ha ribadito quanto affermato in precedenza e la poca chiarezza nei dati pubblicati dall'Agenzia delle entrate. Si può dunque sostenere come non ci sia ancora chiarezza sui dati della efattura annunciati dall'Amministrazione fiscale il 18 marzo 2019. Ieri, infine, ha commentato i dati resi pubblici dalla Verità, Giorgia Meloni, numero uno di Fdi: «Un fallimento annunciato, ecco il risultato di uno Stato che ha l'ossessione di perseguitare chi lavora e produce. Il popolo delle partite Iva continua ad essere vessato e tartassato, mentre nel resto del mondo viene considerato una risorsa fondamentale. L'obbligo di fattura elettronica va abolito subito».
«Obbligati a fatturare digitalmente? Non più di 3 milioni»
Gentile Direttore,
desideriamo fornire alcune precisazioni in merito all'articolo
In soli tre mesi di fattura elettronica sono sparite 2 milioni di partite Iva, a firma di Giorgia Pacione Di Bello, pubblicato oggi sul giornale da lei diretto.
In primo luogo, la platea dei soggetti obbligati ad emettere fattura elettronica dal 1° gennaio 2019 non è, come affermato nel titolo e all'interno dell'articolo, di oltre 4 milioni. Nel riportare questo dato, infatti, l'autore commette l'errore di non tenere conto delle esclusioni previste dalla norma con riferimento a soggetti che beneficiano di regimi agevolati o appartengono a categorie particolari. Si tratta, nello specifico, delle imprese e dei lavoratori autonomi che rientrano nel regime dei «minimi» e dei «forfettari», dei produttori agricoli e delle associazioni sportive dilettantistiche con proventi fino a 65.000 euro. Inoltre, per il 2019, sono stati esonerati gli operatori sanitari (medici, farmacisti, odontoiatri) con riguardo ai dati per i quali vige l'obbligo di trasmissione al sistema tessera sanitaria. Secondo autorevoli stime realizzate dal Politecnico di Milano, gli operatori interessati dall'obbligo generalizzato sono, al netto degli esoneri, compresi tra 2,5 e 3 milioni. A conforto di tali stime, si può constatare che, ad oggi, sono 2,8 milioni le partite Iva che hanno utilizzato il sistema di interscambio.
In secondo luogo, nell'articolo si definiscono «strani» i dati pubblicati dall'Amministrazione lo scorso 18 marzo con riferimento all'operazione antifrode che ha consentito di bloccare 688 milioni di euro di falsi crediti Iva grazie alle analisi del rischio basate su efatture e dati del portale Fatture e corrispettivi. Secondo l'autore, dell'articolo, infatti, «risulta un po' difficile pensare che l'Agenzia delle Entrate abbia potuto avere i dati di tutto febbraio ed aver analizzati per il 18 marzo». Anche in questo caso, si omette di considerare un dato rilevante, e cioè che l'operazione ha riguardato soggetti operanti nel commercio di idrocarburi, settore interessato dall'obbligo di fatturazione elettronica già a partire dal primo luglio 2018, come era stato puntualmente descritto durante l'evento di presentazione dei dati.
Agenzia delle Entrate
- Molti software per lo scambio di documenti fra le parti presentano vulnerabilità: i pirati informatici riescono a inserirsi nelle transazioni e dirottare le somme sui propri conti correnti. Meglio ricontrollare.
- Oltre il 4% delle pratiche sono ancora compilate male. Errori su partite Iva e doppi invii: pronto uno sciopero dei commercialisti.
Lo speciale comprende due articoli.
Fatture elettroniche a rischio hacker. Diversi istituti di credito stanno infatti segnalando casi di frode legati al fatto che ignoti riescono ad accedere alle e-fatture emesse da società e professionisti, modificandone le coordinate bancarie. Proprio per questo le banche hanno iniziato a mandare, ai loro clienti, un'informativa dove si consiglia di verificare direttamente con il beneficiario la correttezza dell'iban, prima di dare l'autorizzazione al pagamento. Gli hacker riescono dunque ad intercettare la fattura elettronica mentre è in transito, dal cliente al fornitore, e a cambiare coordinate bancarie in modo da dirottare la somma su un altro conto corrente. Inoltre, è anche possibile modificare altri dati. Marco Cuchel, presidente dell'Associazione nazionale dei commercialisti, spiega come sia possibile avere accesso a tutte le transazioni che una determinata azienda ha fatto con i suoi fornitori, agli importi e a tutto il resto dei documenti comunicati - o allegati - all'interno di una fattura elettronica, conoscendo il codice fiscale dell'emittente. Se infatti si sa che azienda e fornitore usano lo stesso software per gestire la fatturazione elettronica - e la piattaforma risulta essere non protetta - «si può avere accesso all'elenco delle e-fatture conoscendo il codice fiscale» del soggetto che emette le suddette. In questo modo si ha accesso allo storico delle fatture e a tutti gli altri dati. Si può inoltre decidere di cambiare non solo l'iban, ma anche altre informazioni, che potrebbero danneggiare ulteriormente l'azienda o il fornitore di turno. Questi gap informatici, sottolinea Cuchel, riguardano sicuramente i software a pagamento. Non si ha, al momento, ancora la certezza che il software messo in campo dall'Agenzia delle entrate sia immune agli stessi problemi tecnici o che gli hacker non riescano ad accedere alle fatture elettroniche direttamente dal sistema di interscambio dell'Agenzia delle entrate, anche perché il tutto ruota attorno al problema della privacy.
Gli hacker riescono infatti ad entrare all'interno dei vari sistemi informatici grazie alla presenza di software non protetti dagli attacchi esterni e che non si sono preoccupati di tutelare la privacy dei dati dei clienti. Proprio per questo a fine 2018 il Garante della privacy aveva chiesto all'Agenzia delle entrate delle spiegazioni su diverse criticità che circondavano la fattura elettronica. Erano infatti state evidenziate diverse vulnerabilità in materia di trattamento dei dati personali. «Trasmissione e memorizzazione di una ingente mole di dati non direttamente rilevanti ai fini fiscali, con conseguenze per la tutela della riservatezza, in particolare in merito alle strategie aziendali» riportava la nota.
Le criticità della privacy non si può dire siano state risolte. L'Agenzia delle entrate ha infatti cercato di mettere una toppa al problema della privacy decidendo di memorizzare solo i dati fiscali, senza però arrivare a soluzioni conclusive. Inoltre, più volte, nel 2018 diversi professionisti avevano sottolineato che sarebbe stato meglio prorogare l'entrata in vigore della fattura elettronica, voluta dal governo Gentiloni, perché il sistema paese non risultava essere ancora pronto ad accogliere l'innovazione. L'Associazione nazionale dei commercialisti aveva anche proposto, se proprio si voleva mantenere come data di inizio il 1 gennaio 2019, di procedere per gradi. Iniziare dunque prima dalle società più grandi e consolidate per poi arrivare fino alle piccole e medie imprese. Il governo grilloleghista ha però deciso di continuare sulla strada tracciata da quello precedente e di procedere con l'introduzione della fattura elettronica a inizio 2019. Uno dei motivi che ha spinto l'esecutivo Lega-M5s a non posticipare l'introduzione è stata la speranza di incassare 2 miliardi di euro dalla lotta all'evasione Iva. Somma messa appunto a bilancio dal governo. Da quando la fattura elettronica è però entrata in vigore non sono mancati i problemi e i disservizi. I rallentamenti risultano infatti essere all'ordine del giorno, così come i vari blocchi dei sistemi e i ritardi nella consegna delle e-fatture. Molti esercizi commerciali hanno continuato ad emettere fatture di cortesia, al posto della fattura elettronica, perché non ancora pronti alla novità. E altri hanno inserito un sovrapprezzo per ogni e-fattura che veniva richiesta (benzinai). Alcune case di software hanno inoltre segnato come gli siano arrivate solo nei giorni scorse, fatture emesse a gennaio, a causa di problemi legati al Sistema di interscambio dell'Agenzia delle entrate. E infine, come se non fosse abbastanza, lo stesso sistema di fatturazione elettronica ha reso la vita difficili a imprenditori e professionisti, dato che anche per un semplice errore di battitura (sbagliare un numero o una lettere) si deve rinviare una fattura elettronica allo stesso fornitore. Il risultato? Doppie/triple fatture per uno stesso ordine.
L'hackeraggio dell'iban risulta dunque essere l'ultima di una serie di problematiche che più volte professionisti e il mondo produttivo avevano cercato di segnalare al governo, senza che venissero recepite.
Oltre il 4% delle pratiche sono ancora compilate male
Sono 228 milioni le e-fatture inviate da 2,3 milioni di soggetti, da quando la fattura elettronica è diventata obbligatoria: il 1 gennaio 2019.
Secondo gli ultimi dati pubblicati dall'Agenzia delle entrate il 4,43% degli invii non è andato a buon fine per errori nella compilazione: indicazione di partita Iva errata, codice destinatario errato, fattura duplicata, errore nell'estensione del file, due o più fatture con lo stesso nome. Gli interessati hanno dovuto procedere a una nuova emissione della fattura elettronica, dopo aver inserito i dati corretti.
Sono inoltre state rilasciate circa 7 milioni di deleghe per i servizi del sistema fatture e corrispettivi, di cui 2 milioni tramite gli uffici dell'Agenzia delle entrate e 5 milioni attraverso le altre modalità (area riservata del sito Internet, pec).
Nonostante i vari disservizi e i problemi con la privacy, che hanno contrassegnato tutto il periodo preso in considerazione per l'elaborazione dei dati, l'Autorità fiscale si è dichiarata soddisfatta del risultato ottenuto, dato che le e-fatture risultano essere più che raddoppiate nei primi 18 giorni di febbraio. «Al 31 gennaio», riporta la nota «erano circa 100 milioni le fatture inviate da parte di 1 milione e mezzo di operatori». Mentre nei primi 18 giorni di febbraio ne sono state inviate, stando ai calcoli dell'Agenzia delle entrate, 128 milioni.
Entrando nel dettaglio dei dati, è possibile osservare diversi trend sulla e-fattura, se si prendono in considerazione variabili diverse. Per quanto riguarda i settori produttivi, al primo posto si posiziona il commercio all'ingrosso e al dettaglio-riparazione di autoveicoli e motocicli, con un invio di 55.750.194 fatture elettroniche. Seguito a distanza dal manifatturiero con 20 milioni di fatture trasmesse (20.236.052) e terzo a pari merito, per le attività a noleggio, le agenzie di viaggio e i servizi di supporto alle imprese che hanno superano la soglia dei 10 milioni di file (10.490.684). Fanalino di coda il settore dei trasporti con 7,7 milioni di e-fatture inviate, nel periodo esaminato.
Per quanto riguarda invece la platea degli operatori coinvolti, tra i più attivi, dopo concessionarie e autofficine, troviamo liberi professionisti (338.691), seguiti da costruttori (269.972), manifatture (269.600), agenti immobiliari (142.627), alberghi e ristoranti (121.171).
Se si osservano infine i dati a livello regionale, si nota come viene riproposto il dualismo nord-sud. La prima della classifica, per numero di fatture emesse, risulta infatti essere la Lombardia con oltre 80 milioni di invii (81.180.119), seguita dal Lazio (51.235.686 invii), e dall'Emilia-Romagna (13.524.740). Risultati positivi anche per il Veneto con 12.153.873 invii e il Piemonte con 12.009.929. L'Italia centrale vede la Toscana superare la soglia di 8 milioni di fatture inviate (8.048.074), seguita dalle Marche (3.103.146) e dall'Umbria (1.792.741). Al Sud la Campania fa registrare quasi 7 milioni di invii (6.947.742), seguita da Sicilia e Puglia che hanno inviato rispettivamente: 4.696.895 e 4.344.587 fatture elettroniche. Le associazioni dei commercialisti danno segni d'impazienza e preannunciano proteste: «Alla luce di una condizione divenuta insostenibile le associazioni Adc e Anc, riunite in confederazione, intendono dare seguito alla proclamazione di una astensione colletiva della categoria, avviando le procedure formali previste dallo specifico codice di autoregolamentazione, per il periodo 29 aprile-3maggio 2019».
Note di credito come se piovesse. Il nuovo sistema di fattura elettronica sta complicando la vita di professionisti e imprenditori. Se prima, quando si commettevano degli errori (data, descrizione, importo) nella compilazione della fattura cartacea si stracciava il foglio e se ne compilava un'altra, adesso con la fattura elettronica questo non è più possibile.
Il file Xml elettronico con l'errore viene infatti inviato al sistema di interscambio dell'Agenzia delle entrate (il postino digitale), che se riesce consegna la fattura al destinatario. Successivamente, il mittente, accortosi dello sbaglio, dovrà rimandare un'altra fattura digitale allo stesso fornitore.
Il risultato non è altro che una doppia fattura per uno stesso ordine. Gli errori che comportano l'invio di una seconda efattura vanno dai più banali (una lettera o un numero sbagliati) a quelli più complessi e tecnici, che per loro natura comportano di default un nuovo invio (come il codice destinatario errato, che non permette l'identificazione e dunque la ricezione della fattura).
L'intolleranza agli errori sta però rallentando ulteriormente l'invio delle efatture, che rimangono ben oltre i cinque giorni nello «stato di attesa dell'esisto». Non si sa dunque se la fattura digitale emessa sia stata recapitata oppure no. Il tempo di attesa ha però conseguenze su chi deve usufruire delle detrazioni Iva, dato che «in molti casi hanno già provveduto ai pagamenti delle fatture al ricevimento della copia di cortesia» come sottolinea l'Associazione nazionale dei commercialisti (Anc). «La conseguente impossibilità di recuperare il dovuto nei termini della liquidazione», continua l'Anc, «determina un danno per il contribuente, che si vede costretto ad affrontare un esborso non dovuto, con il versamento di un'Iva periodica maggiore, e rischiare così difficoltà finanziarie».
Che il sistema di fatturazione elettronica avesse dei problemi lo si era già appurato i primi giorni dell'anno, caratterizzati da blocchi e rallentamenti vari. Ieri, essendo uno degli ultimi giorni possibili per inviare le fatture relative al mese di gennaio, i disservizi sono aumentati. Il sistema dell'Agenzia delle entrate ha funzionato, nonostante i continui rallentamenti e i blocchi momentanei. Questo ha però avuto ripercussioni anche sui software a pagamento. L'effetto a catena deriva dal fatto che tutti i programmi, a pagamento o meno, riportano al sistema di interscambio dell'Agenzia delle entrate. E dunque, se questo presenta dei rallentamenti per il sovraffollamento di fatture elettroniche avranno problemi anche i professionisti o le imprese che usano sistemi a pagamento.
Visti gli innumerevoli disagi, a febbraio il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ha inviato una lettera al ministro dell'economia Giovanni Tria e al direttore dell'Agenzia delle entrate, Antonino Maggiore, chiedendo di prorogare al 16 marzo la moratoria sulle sanzioni per la tardiva trasmissione delle fatture elettroniche. Il governo gialloblù ha però deciso di non prorogare la moratoria delle sanzioni, lasciando come termine ultimo per l'invio delle fatture elettroniche di gennaio il 16 febbraio. Si è invece deciso di far slittare al 30 aprile la scadenza per l'invio ultimo dell'esterometro (fatture elettroniche fatte a fornitori esteri) per cercare di alleggerire il carico fiscale. E questo perché, se si è una società con fornitori italiani ed esteri, si dovranno mandare fatture digitali agli italiani, fatture cartacee agli esteri ed esterometro all'Agenzia delle entrate per segnalare le attività non italiane.
Per ovviare a questo sdoppiamento è però possibile inviare solo la fattura elettronica per segnalare all'Agenzia delle entrate le attività estere. Opzione scelta da molte società. In questo caso la proroga decisa dal governo risulta essere di poco aiuto al mondo produttivo italiano.
Ma non solo: queste distorsioni stanno dando vita a ulteriori complicazioni. Molte società stanno infatti continuando a emettere copie di cortesia, che non hanno nessun tipo di valenza fiscale, perché non ancora del tutto pronte all'invio di fatture elettroniche. E chi invece risulta essere in linea invia efatture solo a determinati orari o in cambio di un pagamento extra (vedi benzinai e la richiesta di 0,40 centesimi a fattura).



