Nella rossa Emilia Romagna non solo vaccinano gli insegnanti quando le scuole sono chiuse, ma si sprecano dosi non utilizzate. Ci sono categorie fragili, come i malati oncologici, i pazienti in dialisi, gli over 70 non ancora immunizzati, i disabili che attendono la prima somministrazione, ma i medici di famiglia sono concentrati a distribuire il vaccino Astrazeneca al personale scolastico. Con grosse difficoltà, come documentato ieri dalla trasmissione Fuori dal coro, condotta da Mario Giordano su Rete 4. Nel servizio si vedono medici di base che mostrano fiale di vaccino aperte e non completamente utilizzate. «Ho ancora tre insegnanti in attesa, ma devo avere altri otto pazienti prima di aprire una fiala, altrimenti sono costretto a buttarla», spiega uno dei dottori interpellati. Da ciascun flaconcino Astrazeneca si ricavano facilmente undici dosi, però una volta aperto il prodotto deve essere utilizzato entro 48 ore se conservato in frigorifero, o in un arco di tempo massimo di sei ore se a temperatura ambiente. L'inviata di Mediaset, Maria Letizia Modica Alliata, ha sentito una quarantina di medici di base tra Bologna, Casalecchio, Imola e ha potuto verificare quanta disorganizzazione ancora esista nella vaccinazione. «Ho avuto difficoltà a trovare undici persone per volta che venissero in studio», dichiarava la dottoressa Maria Pia Casatello nel servizio mandato in onda ieri sera. Un altro medico assicurava: «Non ho alcuna intenzione di buttare vaccini di mia iniziativa, perciò dovrò chiedere all'Igiene pubblica un avvallo. Spero che non succeda, sarebbe davvero un peccato». Lo stesso dottore si dichiarava non convinto che in Italia ci siano insegnanti «tutti multipli delle dosi Astrazeneca arrivate». Perciò il suo commento è stato: «Qualche vaccino è andato a puttane». Ma come? Meno di due settimane fa Paolo Bordon, direttore dell'Ausl Bologna, dichiarava: «Con la vaccinazione del personale scolastico, grazie alla piena collaborazione offerta dai medici di medicina generale, che hanno aderito massicciamente all'invito della Regione Emilia Romagna, entriamo ora in una nuova fase importante nella diffusione dell'immunizzazione dei cittadini». L'assessore regionale alle Politiche per la salute, Raffaele Donini, ai primi di marzo parlava di «60.000 dosi nella disponibilità dei medici di base per il personale scolastico», che tra maestri, professori, educatori e collaboratori fanno circa 120.000 persone. In Emilia Romagna i medici di medicina di assistenza primaria generale sono poco più di 2.900, a oggi sono stati vaccinati 28.764 tra docenti e non, quindi facendo una suddivisione grossolana, ciascun dottore ha somministrato Astrazeneca a 9,9 pazienti in 15 giorni. Molti di loro avevano ricevuto due flaconi di vaccino da undici dosi, quindi potevano fare in totale 22 pazienti. Una miseria, ma nemmeno a dieci sarebbero arrivati. Dati sconfortanti, anche se l'autentica vergogna sono quelle fiale aperte, lasciate in frigorifero, come abbiamo visto ieri sera in ambulatori medici o studi privati, perché non c'erano abbastanza professori e bidelli in fila per undici a ricevere il vaccino. Qualcuno ha raccontato di aver chiesto se poteva utilizzare le dosi rimaste per somministrarle ai familiari, ma il divieto è tassativo. Qualcun altro si è lasciato sfuggire di aver buttato il flaconcino non del tutto svuotato e potrà giustificarsi dicendo di aver deciso secondo coscienza, perché dopo alcune ore il farmaco aperto non può essere inoculato. Ma perché sprechiamo vaccino prezioso? Ieri in Emilia Romagna risultavano vaccinati soprattutto gli ultraottantenni (114.522) e i cittadini in una fascia di età tra i 50 e i 59 anni (88.886), mentre quelli tra i 70 e 79 anni sono appena 19.144 e 46.956 quelli tra i 60 e i 69 anni. «Si stanno vaccinando soggetti più giovani, sia pure di categorie essenziali, ma non i malati cronici che sono molto più a rischio», denunciava tre giorni fa Silvestro Scotti, segretario nazionale Fimg, la Federazione dei medici di famiglia. Che Astrazeneca possa essere somministrato anche agli over 65 è stata definita «un'ottima notizia dal presidente della Regione, Stefano Bonaccini. «Ci permetterà di coprire maggiormente categorie dove le vaccinazioni sono già iniziate», ha poi aggiunto. La Verità però continua a documentare la presenza di 3 milioni di dosi lasciate in frigorifero, in Italia, perché mancano vaccinatori e un piano articolato. In Emilia Romagna, secondo i dati del ministero della Salute, il 4 marzo nove dosi su dieci di Astrazeneca erano ancora nel refrigeratore. Adesso scopriamo che i vaccini si aprono e vengono sprecati, perché i medici di famiglia non riescono a mettere insieme undici persone nello stesso giorno, anzi in 48 ore. «Siamo in difficoltà, non sappiamo come partecipare» alle vaccinazioni, dichiarava ieri in chiusura del servizio televisivo Giandomenico Savorani, uno dei medici di base. Se così accade anche nelle altre Regioni, questa campagna rischia di diventare una farsa ai danni delle categorie più fragili.
Non piace a tutti i governatori l'ipotesi di un meccanismo di solidarietà, in base al quale le Regioni che hanno conservato più dosi di vaccino ne cederebbe una parte a quelle che hanno somministrato di più, senza tenere le scorte per il richiamo. Ieri il presidente dell'Emilia Romagna, nonché presidente della conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini, ha ribadito quanto era emerso martedì sera nella videochiamata con i ministri Francesco Boccia, Roberto Speranza e con il commissario Domenico Arcuri. «Abbiamo deciso il riequilibrio tra Regioni, perché Pfizer ha deciso unilateralmente a chi togliere di più e a chi meno. Regioni come la nostra, la Lombardia e il Friuli sono state colpite in maniera più pesante», ricordava il governatore.
Il problema, però, è l'assenza di un piano di vaccinazione nazionale che stia funzionando e se manca vaccino, è perché le dosi sono state distribuite senza obbligare con precise direttive a metterne da parte il 30%. Si doveva fin dall'inizio programmare una campagna che garantisca agli oltre 1,2 milioni di italiani già vaccinati di poter fare anche il richiamo, senza prefigurare intervalli di tempo diversi da quelli raccomandati da Pfizer, ovvero dopo 21 giorni. Marco Cavaleri, responsabile vaccini dell'Ema, l'Agenzia europea del farmaco, l'ha detto chiaramente su Repubblica: «Non abbiamo dati sull'efficacia della singola dose sul lungo termine e quindi raccomandiamo di usare il vaccino in linea con i test clinici e con la nostra autorizzazione». Ma al commissario per l'emergenza interessava solo dimostrare che l'Italia corre nelle vaccinazioni, per essere primi in Europa a iniettare il maggior numero di farmaco anti Covid. La gara a chi arriva primo non è ragionevole, se si utilizzano tutte le fiale inviate da Pfizer sapendo che le dosi sono due. Invece di insistere sul concetto di Regione più o meno virtuosa in base alle somministrazioni di farmaco effettuate, bisognava modulare la campagna non solo in riferimento al target dei cittadini da immunizzare, ma anche delle scorte obbligatorie. Non opzionali.
Adesso, i governatori che hanno conservato più dosi fanno resistenza e non accettano di essere penalizzati solo perché Arcuri tenta di rimediare alla mancata programmazione, chiedendo di rivedere la distribuzione dei vaccini. Il piano al vaglio dei suoi uffici sarebbe quello di destinare le prossime prime dosi ai richiami, rimandando così la fase 2 della vaccinazione per molti degli over 80 che, dopo operatori sanitari e pazienti Rsa, come da piano nazionale, sono la seconda categoria per cui è prevista la somministrazione. Sull'idea di redistribuire le fiale in giro per il Paese si è espresso con molta chiarezza l'assessore regionale alla Sanità della Regione Lazio: «Il problema non è il trasferimento di dosi ma averle tutti», ha detto Alessio D'Amato. «Anche perché noi non siamo nelle condizioni di trasferirle in quanto abbiamo già 100.000 persone che devono essere sottoposte a richiamo nei prossimi 14 giorni». L'assessore aveva infatti precisato che «i ritardi Pfizer impongono priorità nella somministrazione delle seconde dosi per completare la copertura vaccinale». Anche il presidente del Veneto, Luca Zaia, ha dichiarato: «Per adesso stiamo facendo solo i richiami», aggiungendo «ma ci servono 110.000 dosi», perché «dobbiamo essere messi nelle condizioni di vaccinare». Il governatore veneto pensa che le seconde dosi dovrebbero essere «garantite da un magazzino nazionale», che il commissario Arcuri non ha previsto. Le Regioni sono costrette a litigare perché devono arrangiarsi senza quel piano dettagliato che doveva essere pronto dallo scorso ottobre, come da raccomandazione Ue, e devono fronteggiare l'assenza di vaccini come di vaccinatori. Ieri dovevano essere pronti i primi 1.500 infermieri promessi da Arcuri. Lo scorso 11 dicembre, il super commissario aveva emanato un avviso pubblico per assumere con un contratto a tempo determinato fino a 3.000 medici e 12.000 infermieri e assistenti sanitari, per sostenere la campagna di somministrazione del vaccino nelle 1.500 strutture distribuite su tutto il territorio nazionale, ma sono arrivate solo 3.900 domande di infermieri. Le tre agenzie per il lavoro, che li stanno selezionando facendosi pagare ben 25 milioni di euro, evidentemente non riescono a rispettare i tempi annunciati da Arcuri.
Alla base di una così scarsa risposta all'avviso pubblico ci sarebbe il malcontento, per un trattamento economico giudicato troppo basso con stipendi da 1.500 euro per sei vaccinazioni l'ora su una base di 37 settimanali, senza nessuna prospettiva di assunzione a fine contratto. Manca il personale promesso da dicembre, eppure la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi) si è resa disponibile a mettere a disposizione i circa 60.000 infermieri liberi professionisti che hanno i requisiti richiesti dal bando. Possiamo somministrare i vaccini, hanno scritto in una lettera una lettera appello inviata al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ai ministeri della Salute e degli Affari regionali, al commissario Domenico Arcuri e al presidente delle Regioni, Stefano Bonaccini. L'invito è rimasto senza risposta. Ad oggi continuano a mancare infermieri e prima della prossima settimana non sono attesi i primi rinforzi promessi. Anche per i vaccinatori e i medici il piano nazionale prosegue alla giornata, forse oggi si conoscerà come sarà distribuito sul territorio lo scarso personale a disposizione.




