La Battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571 di Andries Van Eertvelt, dipinto del 1640 (Getty Images)
La grande lezione della battaglia di Lepanto, combattuta il 7 ottobre 1571, e la jihad dei giorni nostri.
Il 20 settembre 1905 fu proiettato in pubblico a Roma il film di Filoteo Alberini, pioniere del cinema, davanti a un'immensa folla. Con i suoi 250 metri di pellicola per 10 minuti di girato era da record. Oggi solo 4 minuti sono sopravvissuti.
Arrivò prima dei fratelli Lumière il pioniere del cinema Filoteo Alberini, quando nel 1894 cercò di brevettare il kinetografo ispirato da Edison ed inventò una macchina per le riprese su pellicola. Ma la burocrazia italiana ci mise un anno per rilasciare il brevetto, mentre i fratelli francesi presentavano l’anno successivo il loro cortometraggio «L’uscita dalle officine Lumière». Al di là del mancato primato, il regista e produttore italiano nato ad Orte nel 1865 poté fregiarsi di un altro non meno illustre successo: la prima proiezione della storia in una pubblica piazza di un’opera cinematografica, avvenuta a Roma in occasione dell’anniversario della presa di Roma. Era il 20 settembre 1905, trentacinque anni dopo i fatti che cambiarono la storia italiana, quando nell’area antistante Porta Pia fu allestito un grande schermo per la proiezione di quello che si può considerare il primo docufilm in assoluto. L’evento, pubblicizzato con la diffusione di un gran numero di volantini, fu atteso secondo diverse fonti da circa 100.000 spettatori.
Filoteo Alberini aveva fondato poco prima la casa di produzione «Alberini & Santoni», in uno stabile di via Appia Nuova attrezzato con teatri di posa e sale per il montaggio e lo sviluppo delle pellicole. La «Presa di Roma» era un film della durata di una decina di minuti per una lunghezza totale di 250 metri di pellicola, della quale ne sono stati conservati 75, mentre i rimanenti sono andati perduti. Ciò che oggi è visibile, grazie al restauro degli specialisti del Centro Sperimentale di Cinematografia, sono circa 4 minuti di una storia divisa in «quadri», che sintetizzano la cronaca di quel giorno fatale per la storia dell’Italia postunitaria. La sequenza parte con l’arrivo a Ponte Milvio del generale Carchidio di Malavolta, intenzionato a chiedere al generale Kanzler la resa senza spargimento di sangue. Il secondo quadro è girato in un interno, probabilmente nei teatri di posa della casa di Alberici e mostra in un piano sequenza l’incontro tra il messo italiano e il comandante delle forze pontificie generale Hermann Kanzler, che rifiuta la resa agli italiani. I quadri successivi sono andati perduti e il girato riprende con i Bersaglieri che passano attraverso la breccia nelle mura di Porta Pia, per passare quindi all’inquadratura di una bandiera bianca che sventola sopra le mura vaticane. L’ultimo quadro non è animato ed è colorato artificialmente (anche se negli anni alcuni studiosi hanno affermato che in origine lo fosse). Nominata «Apoteosi», l’ultima sequenza è un concentrato di allegorie, al centro della quale sta l’Italia turrita affiancata dalle figure della mitopoietica risorgimentale: Cavour, Vittorio Emanuele II, Garibaldi e Mazzini. Sopra la figura dell’Italia brilla una stella che irradia la scena. Questo dettaglio è stato interpretato come un simbolo della Massoneria, della quale Alberici faceva parte, ed ha consolidato l’idea della forte impronta anticlericale del film. Le scene sono state girate sia in esterna che in studio e le scenografie realizzate da Augusto Cicognani, che si basò sulle foto dell’epoca scattate da Ludovico Tumminello nel giorno della presa di Roma. Gli attori principali del film sono Ubaldo Maria del Colle e Carlo Rosaspina. La pellicola era conosciuta all’epoca anche con il titolo di «La Breccia di Porta Pia» e «Bandiera Bianca».
Erano le 18:19 ora italiana del 17 luglio 1975 quando i due moduli spaziali Apollo e Soyuz si agganciavano a 222 km di distanza dalla Terra. Dal modulo americano e da quello sovietico per primi si strinsero la mano Thomas Stafford e il «collega» russo Alexey Leonov. Un gesto carico di significato, quello compiuto dai due membri della missione congiunta Usa-Urss in quel giorno di 50 anni fa quando il mondo era ancora in piena Guerra fredda.
La missione Apollo-Soyuz, che anticipò le successive portate a termine nel decennio successivo dopo il lancio della Iss (la stazione spaziale internazionale) e della Mir (la stazione spaziale sovietica), nacque dalla distensione tra le superpotenze nei primissimi anni ’70. Nello specifico nel 1972, lo stesso anno in cui gli americani compirono l’ultimo allunaggio con l’Apollo 17, i due Paesi che si erano misurati nella corsa allo spazio del decennio precedente giunsero ad un accordo siglato il 24 maggio durante la visita di Richard Nixon a Mosca. L’intesa delineò l’obiettivo della missione del 1975, che era quello di completare l’agganciamento o «docking» di due sistemi inizialmente incompatibili. In tre anni gli ingegneri americani e sovietici riuscirono a superare le molte difficoltà tecniche (e non ultime quelle linguistiche) e a realizzare un sistema in grado di unire il modulo Apollo con la Soyuz tramite una camera di compensazione che permetteva di adattare le diverse condizioni all’interno dei moduli.
L’Apollo CSM-111 (command service module) fu lanciato dal Kennedy Space Center il 15 luglio 1975, con a bordo gli astronauti Thomas Stafford, Vance Brand e Donald Slayton. La Soyuz 19 fu lanciata lo stesso giorno dal cosmodromo di Baikonur con a bordo Alexey Leonov e Valery Kubasov. Il 16 luglio furono effettuate le manovre di sincronzzazione orbitale fino al rendez-vous del giorno successivo. Per i seguenti due giorni gli astronauti sovietici e americani furono impegnati in esperimenti scientifici ma anche in pranzi collettivi e interviste che saranno viste in tutto il mondo. Dopo 44 ore le due navicelle si separarono per poi testare un nuovo e riuscito riavvicinamento in orbita. La Soyuz atterrerà il 19 luglio 1975 in Kazakistan mentre l’Apollo, rimasto più a lungo in orbita, sarà recuperato nell’Oceano pacifico dalla nave della Marina americana USS New Orleans il 24 luglio successivo.
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