2023-08-01
Il realismo di Sunak: 100 nuovi pozzi
Il premier inglese annuncia perforazioni nel Mare del Nord a caccia di idrocarburi. Ambientalisti e pezzi di Tories imbufaliti. Lui: «Senza, scordatevi le zero emissioni».Nell’autunno del 2021, ha avuto luogo la conferenza dell’Onu sui cambiamenti climatici, nota come Cop26 o Patto di Glasgow. In quell’occasione, tra le altre cose, si fissarono gli obiettivi per la cosiddetta decarbonizzazione: taglio del 45% delle emissioni di anidride carbonica entro il 2030 e raggiungimento delle emissioni zero intorno al 2050. Per questioni di prestigio internazionale, la Gran Bretagna ha fatto di tutto per ospitare l’evento e accreditarsi come madrina delle nuove politiche green. Tuttavia, mentre si siglavano questi accordi, Londra già stava guardando ai giacimenti del Mare del Nord. Insomma, bello l’ambientalismo, belle le energie rinnovabili, bella Greta Thunberg, bello tutto, ma petrolio e gas fanno sempre gola.Ora, in un’estate rovente sia per le alte temperature sia per la martellante propaganda «ecoansiogena», il primo ministro britannico Rishi Sunak ha pensato bene di annunciare l’approvazione di circa 100 nuove licenze per lo sfruttamento dei combustibili fossili presenti nel Mare del Nord, nonché la realizzazione di due nuovi impianti di cattura e stoccaggio del carbonio. Ovviamente la notizia ha mandato su tutte le furie gli ecologisti di ogni ordine e grado. A criticare il premier, infatti, non sono stati solo i laburisti e le truppe cammellate della deindustrializzazione in salsa green, ma anche il conservatore Chris Skidmore, ex ministro di Università e Ricerca, nonché sostenitore delle politiche verdi all’interno del partito Tory. Senza giri di parole, Skidmore ha definito le nuove licenze «la decisione sbagliata presa proprio nel momento sbagliato, quando il resto del mondo sta vivendo ondate di caldo record». Una decisione, ha aggiunto l’ex ministro, che «sta dalla parte sbagliata della storia».A Skidmore hanno fatto eco anche le organizzazioni ambientaliste: «Questa è una picconata agli impegni climatici assunti dal Regno Unito», ha commentato per esempio Lyndsay Walsh, consulente di Oxfam. Anche Mike Childs di Friends of the Earth non le ha mandate a dire: «La concessione di centinaia di nuove licenze per petrolio e gas getterà semplicemente più benzina sul fuoco, senza peraltro fare nulla per la sicurezza energetica, dato che questi combustibili fossili saranno venduti sui mercati internazionali e non riservati solo all’uso interno del Regno Unito».Di fronte alla prevedibile levata di scudi bipartisan, Sunak ha subito cercato di spegnere le polemiche: questa misura, ha spiegato il primo ministro, «è del tutto coerente con il nostro piano per arrivare all’obiettivo delle zero emissioni». Come ha illustrato l’ufficio stampa di Downing Street, importare gas e petrolio dall’estero implica molto più inquinamento a causa dei trasporti. Sfruttando il mercato interno, al contrario, non solo si riduce questo impatto negativo, ma si aumenta anche l’autonomia energetica del Paese. Del resto, ha precisato il governo britannico, pure raggiungendo nel 2050 l’obiettivo delle emissioni zero, gli idrocarburi non spariranno, come per magia, dalla lista delle fonti energetiche. Nel 2021, in effetti, dal documento finale della Cop26 era stato stralciato l’impegno alla dismissione integrale dei combustibili fossili: una modifica pretesa (e ottenuta) dai maggiori consumatori di carbone, su tutti l’India. In tal senso, l’esecutivo di Londra sta agendo in maniera del tutto logica e pragmatica. Semmai, servirebbe fare più chiarezza, proprio per evitare questa contraddizione un po’ schizofrenica tra teoria e prassi, tra retorica green e opportuna azione di governo.
Jose Mourinho (Getty Images)