Nonostante i proclami, nella fascia 12-39 anni il booster non abbatte l’ospedalizzazione rispetto a chi ha fatto 2 punture. E fa addirittura «salire» i ricoveri in terapia intensiva.
Nonostante i proclami, nella fascia 12-39 anni il booster non abbatte l’ospedalizzazione rispetto a chi ha fatto 2 punture. E fa addirittura «salire» i ricoveri in terapia intensiva.Non è che i più giovani, vaccinati con la terza dose, abbiano scongiurato il rischio di finire in ospedale o in terapia intensiva. Stando all’ultimo report dell’Istituto superiore della sanità, aggiornato al 9 febbraio, nella fascia 12-39 il tasso di ospedalizzazione è stato sì di 96 persone su 100.000 tra i non vaccinati, mentre calava a 26 in chi ha completato il ciclo da più di 120 giorni, però saliva a 28 in chi ha fatto la seconda dose da meno di quattro mesi e in coloro che hanno pure il booster in corpo il ricorso al ricovero ordinario è di 27 su 100.000. Ci saremmo aspettati risultati diversi, considerato il calo della protezione del farmaco anti Covid e l’insistenza con quale viene prescritto il richiamo, senza il quale non si può avere il green pass rafforzato. «Terza dose ai ragazzi? Va fatta, perché è il completamento di un ciclo vaccinale. I dati ci dicono che solo una copertura di questo tipo dà maggiori garanzie rispetto alle infezioni del virus», sostiene Antonella Viola, immunologa e docente di patologia generale presso l’università di Padova. È solo una delle tante voci pro punturina aggiuntiva. Un coro pro lasciapassare senza evidenze scientifiche, se guardiamo il tasso dei ricoveri degli under 40, pubblicato dall’Iss. «La vaccinazione fatta nei tempi raccomandati, e la dose booster quando raccomandata, sono strumenti molto importanti perché riducono la probabilità di contrarre l’infezione», ha detto il presidente dell’Istituto, Silvio Brusaferro. Il richiamo, per l’appunto, non andrebbe fatto a tutti, e comunque nemmeno protegge molto dal contagio perché sempre secondo gli ultimi dati pubblicati, il tasso di incidenza di casi Covid in chi ha già fatto il booster è 5.247 su 100.000. Nemmeno di un terzo si è ridotto, rispetto ai 15.413 contagiati tra i non vaccinati. Pure i numeri sui ricoveri in terapia intensiva non fanno ben sperare. Se l’indicatore per i non vaccinati tra 12 e 39 anni è 2,6 su 100.000 e 0,4 tra chi ha completato il ciclo da meno di quattro mesi, per coloro che hanno fatto la terza dose sale a 0,6 per 100.000 abitanti. L’Iss mette poi un tasso complessivo, dagli over 12 agli ultraottantenni che, è di 1,6 per 100.000. Detta così, spiega poco, ma se lo rapportiamo a 1 milione di abitanti, diventano 16 persone, che su 36.180.861 italiani che hanno già fatto il booster, significano 578 ricoveri in rianimazione. Non è un dato molto confortante, anzi ci dovremmo preoccupare. Ma torniamo alla fascia degli under 40 e in particolar modo ai giovanissimi. Perché costringere con il ricatto del super lasciapassare giovani che, tranne negli sfortunati casi di fragilità per patologie concomitanti, rischiano pochissimo se si ammalano di Covid, e grazie all’infezione possono acquisire un’immunità naturale? L’Iss, tra l’altro, sottolinea che è in calo il tasso di incidenza nella fascia 16-19 anni e 20-29, mentre l’Aifa riferisce un tasso di segnalazione di eventi avversi pari a 28 ogni 100.000 dosi di vaccino somministrate nella fascia pediatrica 5-16 anni. Non sono pochi, per un farmaco che dovrebbe far star bene, non male. E non è una consolazione rapportare il dato con i 109 eventi riscontrati nella restante popolazione: se un genitore deve decidere di far fare la punturina al figlio, ha il diritto di essere tranquillo. Altrimenti lascia che si infetti e venga curato come fosse un’influenza o un malanno stagionale, con farmaci somministrati subito, al primo sintomo di coronavirus. E visto che da gennaio il booster viene dato pure per la fascia 12-15 anni, calcoliamoli bene i rischi per i nostri adolescenti.
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