2019-09-13
Studio sulle coppie omosex rivela: i figli delle lesbiche cercano il padre
I risultati pubblicati su «Gay.it»: i bimbi di due donne hanno difficoltà ad assumere condotte conformi al proprio sesso.L'importanza e la centralità della figura paterna, già ribadite da fior di manuali di psicologia, da oggi hanno nuova e insospettabile conferma: quella di uno studio pro Lgbt. È difatti proprio Gay.it, portale non certo tacciabile di nostalgie patriarcali, ad aver illustrato, martedì, gli esiti di una ricerca uscita sul numero di settembre del Journal of Developmental & Behavioral Pediatrics che ribadisce l'insostituibilità del padre sul piano educativo. Il tutto nell'ambito di un perfetto caso di eterogenesi dei finiti. Sì, perché questa ricerca, intitolata «Gender development in children with gay, lesbian, and heterosexual parents» e a cui hanno preso parte ben tre università – quelle di Amsterdam, Pavia e Roma -, è stata concepita e realizzata con un fine totalmente altro, vale a dire quello di verificare se i figli di coppie arcobaleno sperimentino meno criticità rispetto agli altri. Più precisamente, scopo del lavoro era quello di monitorare le condizioni dei figli in tre differenti contesti: quello della famiglia naturale, della coppia omosessuale e della coppia lesbica.Per fare questo, i ricercatori hanno selezionato 120 bambini tra i 3 e i 9 anni: 40 provenienti da una famiglia cosiddetta tradizionale, 40 da coppie di omosessuali che li hanno ottenuti tramite l'utero in affitto e i restanti 40 da coppie di lesbiche che li hanno messi al mondo tramite la donazione di spermatozoi. Fatto ciò, da una parte si sono sottoposte ai genitori batterie di domande sotto forma d'intervista, dall'altra si son osservati attentamente i piccoli intenti a giocare.Diciamo subito che confrontare gruppi di appena 40 coppie, per un totale di 120 figli, significa operare con campioni estremamente ridotti, di «bassa potenza statistica» direbbe un addetto ai lavori, vale a dire assai limitanti rispetto alla possibilità di riscontare differenze; basti dire che lo studio del sociologo americano Mark Regnerus uscito nel giugno 2012 che evidenziava forti problemi per chi cresce con coppie arcobaleno si basava su un campione pari a 2.988 figli. Un secondo pesante limite di questa ricerca riguarda l'età dei bambini considerati, che come si diceva arrivava fino a 9 anni, tagliando così fuori l'adolescenza e la possibilità di monitorare le eventuali ripercussioni in altre fasi dello sviluppo. Siamo insomma ben lontani da una ricerca che possa dirsi realmente utile a trarre qualsivoglia conclusione generale e che quindi possa autorizzare affermazioni del tipo «le famiglie omogenitoriali non creano alcun danno ai bambini», come trionfalmente scritto da Alessandro Bovo su Gay.it.Suffraga queste criticità metodologiche il fatto che, come prevedibile, non siano state osservate differenze tra i bambini delle famiglie tradizionali e quelli cresciuti da due maschi. Invece - e qui sta il vero, involontario scoop della ricerca - delle differenze sono state rilevate tra questi due gruppi e i bambini delle coppie lesbiche. Più precisamente, si è notato come i bambini di coppie gay ed etero abbiano trascorso più tempo a giocare con i giocattoli del proprio genere, mostrando quindi più solide identità maschili e femminili, mentre i piccoli di coppie lesbiche hanno dato prova di una flessibilità di genere maggiore.Ora, per quanto non si debbano caricare lo stile di gioco dei bambini e le loro preferenze ludiche di chissà quali significati, questo può significare una cosa: che nei contesti in cui manca una figura maschile, quindi qualcuno che rivesta il ruolo paterno, i piccoli ne risentono, palesando già in tenera età difficoltà nell'assumere comportamenti conformi al proprio sesso. E il fatto che ciò sia stato rilevato in una ricerca limitata, come si diceva poc'anzi, da un campione ristretto - e pertanto meno idoneo a far emergere differenze che non siano davvero notevoli - la dice lunga sulla drammaticità di tale evidenza. Non è un caso che la letteratura scientifica sul padre sia pressoché univoca nel segnalarne il ruolo fondamentale. Si può a questo proposito ricordare come una pubblicazione apparsa su Acta Pædiatrica basata su 24 studi longitudinali effettuati in Continenti diversi abbia portato i suoi autori a concludere come la concreta presenza paterna si traduca, per i figli, in benefici per quanto riguarda lo sviluppo cognitivo, l'equilibrio psicologico e la riduzione di condotte devianti; ne consegue come invece laddove il padre sia poco presente o addirittura assente le conseguenze non possano che essere disastrose. Ed è esattamente questo che, sia pure con tutte le cautele del caso, lascia intendere lo studio di cui si è parlato e troppo frettolosamente sbandierato in casa arcobaleno.Del resto, non si tratta certo del primo lavoro in tal senso, anzi. Persino Repubblica, nel novembre 2016, è stata costretta a parlare di una ricerca dell'università di Oxford che ha preso in esame un campione di 10.440 bambini - 6.000 dei quali, di età fino agli 11 anni, sono stati anche intervistati – concludendo che la presenza paterna è decisiva per lo sviluppo dei figli. Anche se il fatto che ciò trovi conferma addirittura in uno studio pro Lgbt, a ben vedere, fa comunque un certo effetto. E fa riflettere.
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