2023-06-06
Quelle strane coincidenze russe col trappolone che azzoppò Strache
Heinz-Christian Strache (Ansa)
La storia del Metropol ha analogie con un’altra vicenda: l’Ibizagate che eliminò politicamente il vice austriaco dell’FPÖ. Anche in quel caso vigilia di elezioni, un partito sovranista in ascesa e il gran parlare di finanziamenti.L’accostamento - suggestivo e tutt’altro che inappropriato - l’ha fatto Claudio Borghi, parlamentare leghista e membro del Copasir che, sentito sul Giornale a seguito della controinchiesta della Verità sulla vicenda relativa all’Hotel Metropol, ha evocato il caso che coinvolse (e travolse) l’allora vicecancelliere austriaco, nonché leader del Partito delle libertà (FPÖ), Heinz-Christian Strache.Siamo nel maggio 2019, alla vigilia delle elezioni europee, quando due testate tedesche, Der Spiegel e Suddeutsche Zeitung, diffondono un video politicamente devastante relativo a un incontro avvenuto due anni prima a Ibiza, nell’estate 2017. Nel filmato, Strache e un altro esponente politico sono avvicinati da una donna che si presenta come la nipote di un potente oligarca russo e prospetta uno scambio proibito: appalti esclusivi per l’oligarca (con contorno di azioni politiche volte complessivamente a favorire gli interessi russi in Austria) in cambio di finanziamenti al partito FPÖ, più la promessa di un consistente supporto mediatico. Il video viene diffuso il 17 maggio 2019, e il giorno dopo inevitabilmente cade non solo Strache, ma tutto il governo austriaco guidato dal cancelliere Sebastian Kurz. Seguiranno elezioni politiche a settembre 2019: Kurz (popolare) rivincerà ma a quel punto dovrà cambiare schema politico (non più accordo con FPÖ ma con i Verdi). In seguito, un differente e ulteriore scandalo toccherà anche Kurz, ma questa è un’altra storia. Quanto a Strache, l’esplosione dell’Ibizagate lo elimina dalla scena politica. Quattro anni dopo, il leghista Borghi collega per lo meno le modalità del trappolone teso alla Lega a Mosca al metodo usato ai danni di Strache: «In quel caso (ndr, l’Ibizagate) c’era sicuramente la manina di qualche apparato di intelligence, abilissimo nel confezionare dossier che poi forse sono sfuggiti di mano. Non so, ma trovo parallelismi che sarebbe interessante comprendere meglio. Non voglio formulare conclusioni che sarebbero premature, ma dobbiamo capire se c’è stato un tentativo di condizionare la democrazia e incastrare Matteo Salvini». La cautela di Borghi è molto opportuna, però il parallelo non stride affatto, anzi. Anche in questo caso siamo in vista delle Europee del 2019 (per l’esattezza a ottobre 2018, ma la manovra di avvicinamento ai leghisti parte molto prima, come sappiamo); anche in questo caso al centro c’è un partito sovranista in grande ascesa (nell’ipotesi che stiamo facendo, è il soggetto politico da colpire); anche in questo caso c’è l’illusione ottica di consistenti finanziamenti (sempre nell’ipotesi che stiamo disegnando, è l’esca che dovrebbe far scattare la trappola).Non si tratta di scomodare chissà quali regie occulte. Anche perché magari i due episodi sono totalmente scollegati. Però il format è quello, e le coincidenze indubbiamente colpiscono. Peraltro, a rendere tutto più scivoloso è il fatto che effettivamente è plausibile (anzi: è certo) che a loro volta entità russe abbiano cercato di esercitare la propria opaca influenza su alcuni partiti occidentali. È altrettanto verosimile che, su questa base reale, qualcuno altro abbia cercato di inserirsi giocando in contropiede e imbastendo una contromanovra: usando cioè un miraggio russo per incastrare i presunti filorussi qui in Occidente. Attenzione: non è il remake (adattato ai nostri anni) di un romanzo di Graham Greene, non è una spy story, ma è ciò che davvero può essere accaduto. E del resto proprio Roma è stata teatro - qualche tempo prima - di una vicenda per alcuni versi analoga. Tutto nasce dal cosiddetto Russiagate americano, la mega inchiesta contro Trump condotta dal procuratore Robert Mueller. Mesi e mesi di investigazioni, grandi spifferi sulla stampa Usa (e a cascata su quella europea), tifo mediatico scatenato (ogni settimana ci si raccontava che «il cerchio si stringeva intorno a Trump»), ma poi un clamoroso nulla di fatto, con lo stesso procuratore costretto ad ammettere di non aver trovato una prova definitiva della collusione tra la Russia e la campagna elettorale di Trump del 2016. Di più: piano piano è venuto fuori che c’era una macchinazione anti Trump, con sponde politiche dei dem Usa e forse qualche manina del deep State americano. E proprio in Italia accadde un fattaccio clamoroso. Con George Papadopoulos, già nella cerchia dei consiglieri trumpiani, che, alla Link University, avrebbe incontrato un professore maltese, tale Joseph Mifsud, poi rocambolescamente sparito e forse variamente protetto. Il quale Mifsud si sarebbe poi molto agitato (su impulso di chi?) per procurare contatti russi a Papadopoulos: in realtà, a quanto pare, per inguaiare lui e soprattutto Trump. In siciliano, si direbbe per «mascariare» la campagna Trump. In russo, ai tempi della vecchia Urss, si usava l’espressione kompromat: fabbricare materiale compromettente per mettere qualcuno in condizione di non nuocere, danneggiandolo in modo irreversibile. Può darsi che siano tre storie distinte e separate. O forse non del tutto.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)