2021-04-10
Stop liti per sei mesi. Patto Letta-Salvini su vaccini e imprese
Matteo Salvini (Massimo Di Vita/Archivio Massimo Di Vita/Mondadori Portfolio via Getty Images)
Incontro dei due leader. Il leghista: «Dividersi adesso non ha senso, non si aiuta il Paese. L'emergenza restano le riaperture».«Non hanno parlato del Milan ma della Nazionale». Dentro la Lega viene sintetizzato così l'incontro fra Matteo Salvini ed Enrico Letta, come dire cane e gatto, con due soli punti in comune: la passione rossonera e quella per l'Italia in difficoltà, un Paese che va guarito non solo con i vaccini, non certo con lo ius soli, ma di sicuro con la politica. Ed è con questo intento che i due rivali invitati alla tavola di Mario Draghi si stringono la mano, evitano foto commemorative che solleverebbero polveroni social e conversano per un'oretta sotto l'ombrello dell'unità nazionale.«Su alcuni punti la battaglia è comune», spiega il leader della Lega alla fine. «Abbiamo parlato di come vaccinare e dell'imponente e coraggioso decreto per le imprese con diverse decine di miliardi, da fare nel mese di aprile. Il resto può aspettare. Dividersi adesso non ha senso, se mettiamo sul tavolo elementi divisivi non aiutiamo il Paese. Abbiamo fatto tutti una scelta d'amore per l'Italia, i partiti vengono dopo. Abbiamo entrambi interesse che il governo vada avanti bene». Da queste parole si intuiscono due priorità: la necessità di lasciare in soffitta le battaglie di principio care al segretario dem per cementare sette correnti (se ne sta aggiungendo un'ottava, quella di Goffredo Bettini) e l'imperativo di parlare di «imprese» e non più genericamente di «sostegni», termine che sa di vacuo grillismo e di elemosine di cittadinanza. «Dobbiamo aiutare i troppi dimenticati», sottolinea Salvini intendendo specificamente aziende, artigiani, partite Iva. Una strategia condivisa da Letta, arrivato pur sempre dalla Francia macroniana e non dalla Russia sovietica: «L'esecutivo deve varare un decreto che aiuti le imprese a ripartire. Alle elezioni saremo su fronti contrapposti, ma in questo momento sosteniamo Draghi». Il segretario dem sa che non può permettersi zuffe che irriterebbero il suo principale sponsor, Sergio Mattarella.Il colloquio avviene a metà mattina in una sede non certo neutra ma intrigante, negli eleganti e freddi uffici dell'Arel, il centro studi fondato a Roma da Beniamino Andreatta e guidato da Letta da quando portava i bermuda. Salvini entra dopo che nei giorni scorsi erano passati di qui Antonio Tajani, Giorgia Meloni, Giuseppe Conte e Matteo Renzi, in quello che i presenti ricordano come il più surreale degli incontri. Andreatta fu il vero inventore dell'Ulivo, l'economista che un giorno di 26 anni fa - davanti alla cosa rossa allo sbando dopo lo sbarco in politica dell'alieno Silvio Berlusconi - «si pulì gli occhiali con la cravatta, si infilò in tasca la pipa accesa e disse: proviamo con Romano Prodi» (cit. da Edmondo Berselli). Il sulfureo Beniamino e i suoi 120 chili avevano un debole per la Lega e per Umberto Bossi. I due si stimavano e si pizzicavano. «Voi seguite coordinate di un mondo adolescenziale e salgariano», pungeva Andreatta davanti alle ampolle e al dio Po. «Commenti da carognitt de l'uratori», rispondeva il Senatur prefigurando quell'impasto catto-dem che avrebbe paralizzato il Paese per oltre un ventennio occupandone i posti di potere. Altri tempi, altre fantasie. Niente di tutto ciò oggi, con le micidiali emergenze alle porte.Quella più urgente riguarda le riaperture e anche qui Salvini e Letta concordano almeno a parole, perché è un fatto che il Pd rimanga il partito della paura e delle chiusure sistematiche, seguito passivamente da un esercito di media compiacenti. «I dati dei contagi per fortuna sono in progressivo miglioramento, quindi senza forzare o addirittura ricattare come leggo su qualche giornale, è un dovere civico e morale riaprire tutte le attività economiche, sportive, sociali e culturali nelle zone non più a rischio. Se i dati sono positivi devono tornare le zone gialle», sollecita Salvini. Letta tace, quindi secondo prassi acconsente.Nessun accenno alla legge elettorale («per me va bene quella che c'è», ribadisce il numero uno leghista), mentre sul nodo della presidenza Copasir i due leader sembrano concordare sulla «necessità di azzerare tutto». Qui il problema è tecnico. La presidenza del Comitato di controllo sui servizi, ora di Raffaele Volpi (Lega), spetta per prassi a Fratelli d'Italia, unico partito di opposizione visto che il Misto non ha i numeri per esprimere un gruppo. Con la conseguenza che l'intero organismo verrebbe appaltato a Fdi.«Allora dimissioni per tutti, mi sembra un'idea sensata, vediamo se alle parole seguiranno i fatti», dice ancora Salvini, che non ha in programma nessun vertice di centrodestra per trovare un accordo con Fratelli d'Italia. Letta non è contrario a far ripartire da zero il Copasir. Fine dei punti in comune, sul resto libertà di azzuffarsi. Ma dall'autunno e lontano da Draghi.
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