2025-06-23
L’unico epurato alla Pergola è il vecchio direttore (di sinistra)
Stefano Massini (Getty Images)
La sinistra incolpa il governo per il declassamento del teatro fiorentino dove, però, si realizzano poche produzioni contrariamente a quanto avviene in altre sale, molto più prolifiche. E perdendo lo status di «nazionale» incasserà «soltanto» 300.000 euro in meno.Da anni l’intellettuale unico progressista ripete, al fine di svalutare sovranisti e populisti, che non si possono fare risposte semplici a problemi complessi. Poi, però, quello stesso intellettuale fornisce su tutto risposte che più semplici, banali e stereotipate non si potrebbe. La questione del declassamento del Teatro della Pergola di Firenze, ad esempio, viene risolta così:la sinistra ha messo a dirigerlo uno bravo, Stefano Massini, che però sta sulle scatole alla destra perché «rosso», dunque i fascisti al governo colpiscono il teatro per ripicca.L’illustre Franco Cordelli, sul Corriere della Sera, sostiene che Massini venga ostacolato per le sue scelte troppo raffinate. Cordelli paragona il cartellone fiorentino dello scorso anno con quello della stagione attuale. «Nella precedente erano in scena Chiara Noschese, Flavio Insinna, Francesco Pannofino, Alessandro Preziosi, Rocco Papaleo, Michele Placido. In quella che verrà ci saranno Mimmo Borrelli, Romeo Castellucci, Emma Dante, Davide Enia, Antonio Latella, Lisa Ferlazzo Natoli, Thomas Ostermeier, Milo Rau», scrive. «In quanto spettatore da molti anni della scena teatrale, non vi sono dubbi. Semplifico: i primi siamo soliti definirli “commerciali”; i secondi sono artisti “non commerciali”, quelli che nel corso del tempo tengono vivo e vitale ciò che chiamiamo teatro. La domanda diventa: perché cancellare ciò che è vivo e vitale? Come tante, è una domanda senza una risposta che non sia ipocrita».In realtà, il fatto che un teatro presenti anche spettacoli più commerciali non si capisce perché dovrebbe essere un problema. Tanto più che, anche nel 2025, sono previste esibizioni di Toni Servillo, Francesco Montanari, Vinicio Marchioni... Gente non proprio underground. In ogni caso, il problema non è che Massini sia troppo ricercato o troppo bravo. Fino a prova contraria, al vertice di quel teatro «uno bravo» c’era anche prima.Citiamo da una fonte non proprio destrorsa, ovvero il Manifesto, articolo a firma di Gianfranco Capita: «Il direttore della Pergola nella precedente gestione era Marco Giorgetti, abile amministratore di un teatro, tanto che era riuscito a dare smalto anche internazionale alla storica sala fiorentina. Aveva stretto legami con sale di Parigi attraverso coproduzioni internazionali e clamorosamente aveva realizzato la produzione di un nuovo spettacolo firmato addirittura da Bob Wilson. Tanto che, nei mesi scorsi, il suo nome era ricorso ripetutamente per la direzione dello Stabile romano, all’Argentina. Grazie, quindi, alle sue molte iniziative, la commissione ministeriale per il teatro aveva riconosciuto alla Pergola il titolo di teatro nazionale, benché unico rispetto agli altri a non essere “teatro stabile” (avendo come proprietario il Comune di Firenze, che risulta come una privata proprietà perché non deve sottostare ai meccanismi di nomine e rendiconti di quelli “pubblici”)». Ed ecco il primo nodo spesso della faccenda. Massini è senza dubbio un gran talento e una celebrità ed è stato chiamato dal sindaco di Firenze, Sara Funaro, che non ha saputo gestire i rapporti con il direttore generale Giorgetti, il quale ha lasciato l’incarico non prima di firmare un accordo (segreto) che gli garantisce la liquidazione di almeno una parte dello stipendio previsto fino al 2027 (qualcuno parla di 200.000, altri di 300.000). Domandiamo: dove sta la persecuzione se una amministrazione locale non sa gestire i professionisti? Dove stanno le censure se l’unico vero epurato è Giorgetti? Poi, piaccia o no, ci sono le faccende più tecniche. Lo status di teatro nazionale comporta alcuni obblighi. Bisogna, ad esempio, che «ogni anno vengano prodotti o coprodotti almeno quattro spettacoli di autori viventi, di cui almeno due di nazionalità italiana e almeno uno di questi ultimi under 35, rispettando la parità di genere; ogni anno vengano prodotti o ospitati almeno tre spettacoli di nuova drammaturgia e nuove scritture di scena, rispettando la parità di genere». Quindi la ricerca è obbligatoria per statuto, anche quando in cartellone ci sono spettacoli «commerciali».Osservando la proposta presentata dal Teatro della Toscana, si nota che in cartellone non sono presenti tantissime produzioni «in proprio», e che la principale è il monologo su (contro) Donald Trump di Stefano Massini. Secondo alcuni è inopportuno che un direttore produca i suoi stessi spettacoli, ma nel nostro piccolo non concordiamo: Massini fa benissimo ad andare in scena. Il punto è che la sua è la più importante produzione del teatro. Altri fanno decisamente di più. Prendiamo il Teatro di Torino:14 produzioni, compagnie fino a 18 attori impegnate. Altro livello.C’è, infine, un altro elemento da rilevare. Le norme prevedono che un teatro, una volta presentato il programma da finanziare, non possa modificarlo troppo: non oltre il 10%. Una soglia che il teatro toscano sembra proprio superare. Di nuovo: dove sono le censure fasciste? Ultima annotazione. Nel 2024, il Teatro della Toscana ha percepito 1.889.163 euro di finanziamenti. Perdendo lo status di teatro nazionale, i fondi pubblici diminuirebbero un po’ ma non verrebbero certo azzerati. La Pergola otterrebbe comunque lo status di «teatro delle città» e percepirebbe almeno 1.511.330 di euro. La differenza, insomma, è minima. E allora perché tutto questo trambusto per una variazione tutto sommato contenuta che dipende da standard non raggiunti? Molto rumore per nulla, tanto per restare in tema.
(Totaleu)
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