
Ieri il cda non ha sciolto il nodo Sinochem, il socio di Pechino che può danneggiare il gruppo sul mercato Usa.Fumata nera. Il consiglio d’amministrazione di Pirelli non ha trovato l’accordo sulle nuove regole di governance che dovrebbero portare al passo indietro dei cinesi di Sinochem. Da qui la decisione di aggiornare l’appuntamento al 28 aprile e l’assemblea dei soci al 12 giugno. Ci sarà tempo per esaminare la situazione e arrivare all’approvazione del bilancio. Fino all’ultimo i legali hanno trattato per arrivare a una soluzione concordata, che tuttavia non è stata trovata.Per evitare lo stallo totale che avrebbe conseguenze pesanti sull’attività industriale, come sottolinea l’amministratore delegato Andrea Casaluci «il management di Pirelli continuerà a lavorare per trovare una soluzione e consentire alla società di adeguarsi alle nuove normative sul mercato americano così come in tutti i mercati in cui opera». Un impegno a uscire dalla palude. Ma non sarà proprio una passeggiata considerando la molteplicità degli interessi in gioco. Al centro del confronto, infatti, ci sono i nuovi dazi imposti dall’amministrazione Trump su tutto il settore dell’automotive. Nel caso della Pirelli si aggiunge il divieto di vendere in Usa tecnologie «made in Pechino». C’è sempre il dubbio che, attraverso questi sistemi, possano essere catturate informazioni sensibili. Per questa ragione la presenza di Sinochem, che detiene una quota del 37% del gruppo milanese, è diventata un problema. Le regole imposte dall’amministrazione Trump vietano la vendita di strumenti digitali provenienti da aziende legate a Cina e Russia. La compagnia italiana si trova a fronteggiare una situazione complessa, poiché la tecnologia utilizzato per il suo pneumatico «intelligente» (il Cyber tyre) rischia di cadere nella tagliola Usa. Il chip dialoga con le centraline dell’auto elaborando i dati trasmessi dalle gomme. Quanto sono protette queste informazioni e, soprattutto, come evitare che vengano copiate e trasmesse a Pechino? L’algoritmo e il software sono made in Italy, ma per gli Usa l’azienda che le ha messe a punto è controllata dalla Cina. Il problema, oltre a Pirelli, coinvolge anche le centraline su cui è installato il sistema informativo. Lo stop imposto dalla Casa Bianca rischia di compromettere i piani di sviluppo dell’azienda negli Usa, che vale il 40% delle vendite dei pneumatici high-value.Il tema è delicato e di importanza vitale: l’azionista cinese, visto il ruolo di primo piano nella governance, ha possibilità di accesso a queste tecnologie? Un problema non nuovo. Già in passato Marco Tronchetti Provera, gran capo del gruppo, aveva messo in guardia contro il trasferimento di informazioni sensibili da Milano alla Cina.Secondo le ultime indiscrezioni, Pirelli avrebbe chiesto a Sinochem di ridurre la propria quota sotto il 25% diventando così il secondo azionista dopo il 26,4% di Camfin, la holding in cui sono raggruppati gli interessi di Marco Tronchetti Provera e dei suoi alleati. In alternativa si potrebbe pensare a un mutamento delle regole di governance, costruendo un cordone sanitario intorno ai prodotti d’avanguardia della Pirelli.Gli analisti di Equita non escludono che, in caso di mancato accordo, potrebbe intervenire il governo italiano attraverso l’esercizio del Golden power come già accaduto in precedenza. Questo scenario potrebbe indurre Sinochem a cedere una parte significativa della sua quota (circa il 12%), con la possibilità per Camfin di acquisire un ulteriore 3,5% per salire al 29,9%.La soluzione, però, non è semplice considerando che bisogna trovare un compratore disposto a rilevare i titoli che Pechino sarebbe costretta a mettere sul mercato. Un percorso impervio perché, se c’è un venditore obbligato, il prezzo ovviamente tende a scendere. Talvolta anche in misura sensibile I segnali allarmanti, in questo senso, non mancano: nell’ultimo mese, con il diffondersi delle voci di fratture fra i soci le quotazioni sono scese dell’8,5% a 5,57 euro.Le trattative tra Pirelli e Sinochem si sono intensificate nelle ultime settimane, con i legali della compagnia che hanno cercato una soluzione che possa soddisfare entrambe le parti. Tuttavia, fino a ieri, nessun accordo è stato raggiunto.La delicata questione della governance e dei rapporti con Sinochem non è l’unica in gioco: le difficoltà legate alle normative americane potrebbero compromettere i piani di sviluppo di Pirelli negli Stati Uniti, mercato chiave per la società, soprattutto per quanto riguarda l’innovazione tecnologica legata agli pneumatici intelligenti.
Lirio Abbata (Ansa)
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(Stellantis)
Nel 2026 il marchio tornerà a competere nella massima categoria rally, dopo oltre 30 anni di assenza, con la Ypsilon Rally2 HF. La storia dei trionfi del passato dalla Fulvia Coupé alla Stratos alla Delta.
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Lo ha annunciato uno dei protagonisti degli anni d'oro della casa di Chivasso, Miki Biasion, assieme al ceo Luca Napolitano e al direttore sportivo Eugenio Franzetti: la Lancia, assente dal 1992 dalla massima categoria rallystica, tornerà protagonista nel campionato Wrc con la Ypsilon Rally2 HF. La gara d'esordio sarà il mitico rally di Monte Carlo, in programma dal 22 al 26 gennaio 2026.
Lancia è stata per oltre quarant’anni sinonimo di vittoria nei mondiali di Rally. Un dominio quasi senza rivali, partito all’inizio degli anni Cinquanta e terminato con il ritiro dalle competizioni all’inizio degli anni Novanta.
Nel primo dopoguerra, la casa di Chivasso era presente praticamente in tutte le competizioni nelle diverse specialità: Formula 1, Targa Florio, Mille Miglia e Carrera. All’inizio degli anni ’50 la Lancia cominciò l’avventura nel circo dei Rally con l’Aurelia B20, che nel 1954 vinse il rally dell’Acropoli con il pilota francese Louis Chiron, successo replicato quattro anni più tardi a Monte Carlo, dove al volante dell’Aurelia trionfò l’ex pilota di formula 1 Gigi Villoresi.
I successi portarono alla costituzione della squadra corse dedicata ai rally, fondata da Cesare Fiorio nel 1960 e caratterizzata dalla sigla HF (High Fidelity, dove «Fidelity» stava alla fedeltà al marchio), il cui logo era un elefantino stilizzato. Alla fine degli anni ’60 iniziarono i grandi successi con la Fulvia Coupè HF guidata da Sandro Munari, che nel 1967 ottenne la prima vittoria al Tour de Corse. Nato ufficialmente nel 1970, il Mondiale rally vide da subito la Lancia come una delle marche protagoniste. Il trionfo arrivò sempre con la Fulvia 1.6 Coupé HF grazie al trio Munari-Lampinen-Ballestrieri nel Mondiale 1972.
L’anno successivo fu presentata la Lancia Stratos, pensata specificamente per i rallye, la prima non derivata da vetture di serie con la Lancia entrata nel gruppo Fiat, sotto il cui cofano posteriore ruggiva un motore 6 cilindri derivato da quello della Ferrari Dino. Dopo un esordio difficile, la nuova Lancia esplose, tanto da essere definita la «bestia da battere» dagli avversari. Vinse tre mondiali di fila nel 1974, 1975 e 1976 con Munari ancora protagonista assieme ai navigatori Mannucci e Maiga.
A cavallo tra i due decenni ’70 e ’80 la dirigenza sportiva Fiat decise per un momentaneo disimpegno di Lancia nei Rally, la cui vettura di punta del gruppo era all’epoca la 131 Abarth Rally.
Nel 1982 fu la volta di una vettura nuova con il marchio dell’elefantino, la 037, con la quale Lancia tornò a trionfare dopo il ritiro della casa madre Fiat dalle corse. Con Walter Röhrl e Markku Alèn la 037 vinse il Mondiale marche del 1983 contro le più potenti Audi Quattro a trazione integrale.
Ma la Lancia che in assoluto vinse di più fu la Delta, che esordì nel 1985 nella versione speciale S4 sovralimentata (S) a trazione integrale (4) pilotata dalle coppie Toivonen-Wilson e Alen-Kivimaki. Proprio durante quella stagione, la S4 fu protagonista di un drammatico incidente dove morì Henri Toivonen assieme al navigatore Sergio Cresto durante il Tour de Corse. Per una questione di giustizia sportiva il titolo piloti fu tolto alla Lancia alla fine della stagione a favore di Peugeot, che era stata accusata di aver modificato irregolarmente le sue 205 Gti.
L’anno successivo esordì la Delta HF 4WD, che non ebbe rivali con le nuove regole del gruppo A: fu un dominio assoluto anche per gli anni successivi, dove la Delta, poi diventata HF Integrale, conquistò 6 mondiali di fila dal 1987 al 1992 con Juha Kankkunen e Miki Biasion. Lancia si ritirò ufficialmente dal mondo dei rally nel 1991 L’ultimo mondiale fu vinto l’anno successivo dal Jolly Club, una scuderia privata appoggiata dalla casa di Chivasso.
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